Lo spirito dei '90 è sopravvissuto per tanti anni. Quell’arietta tagliente, postmoderna, grondante sangue e comodità autodistruttiva. Noi, seduti sul divano, con Mtv accesa mentre Eminem esplodeva fuori dal tubo catodico in un flusso di coscienza folle, in chiave rap ipercitazionista da paroliere divino ed occulto: odio, cinismo pop, con una spruzzata di neo romanticismo avventuriero. La sua era una strafottenza demenziale di chi si è fatto da solo e non ha nulla da perdere tranne il talento. Di chi ce l’ha fatta, grazie alla forza più grande di tutte, la voglia di riscatto che è lo story-telling del rap e dell’essere per certi versi “americano”, “il fot*uto stron*o” che ce l’ha fatta. E ancora: era il benedetto dalla musica e dello star system. Attenzione però, perché Eminem non è mai stato solo questo stereotipo di rapper. È stato un maestro di cerimonie di questo gioco, il numero uno dalla pelle di cartone, come 50 Cent che ha lanciato poco dopo in quel finire di anni Novanta con la sua etichetta, oggi colonna sonora di mille palestre, nel sangue le strade della 8 Mile percorse da pericolosi psicopatici bipolari e fieri di esserlo come Marshall Mathers.
Nella bocca di Eminem c'è il sapore del piombo dei proiettili di odio che sparano un flow da mitraglia rap e schizzi di saliva al veleno. Ci sono posti squallidi, vie costellate dal sangue dei rapper e dei gangster; polaroid di posti vissuti male, vuoti; roulette abitate da spazzatura umana bianca; bambini che urlano.; luci intermittenti al neon blu e bianche; anni di razzismo al contrario subito in un ambiente dove per i ragazzini ne*i contava solo il rap e quanto fossi ne*o; il microfono come pugnale sacrificale per raccontare quelle storie maledette; metropolitane piene di graffiti come geroglifici che scorrono e portano in un altro mondo, nero inferno, verso le periferie interne. Nel sud di Detroit, ancora una volta solitario lungo la 8 Mile, tra i bulli le lotte razziali tra gang, i bagni vomitati, le ragazzine incinta a 15 anni, i pornoshop e le put*ane, i barboni e i vagabondi, le pasticche, le depressioni, i deformi, i surreali magnaccia nani da circo, visioni di un incubo sociale, tra problemi mentali e degrado, un ronzio di Synth in scantinati e parcheggi cupi sotto basi elettroniche, gare di freestyler. È qui che nasce Slim Shady. Ed è qui che nasce il gioco di Eminem, con la bocca impastata di sangue. Slim Shady è solo una delle incarnazioni di EM, una personalità scorretta, piena di odio e humor nero che fai il verso a Bowie, a Superman, a Batman, con venature splatter; un personaggio a mano armata, vendicativo, violento con le donne, omofobo, geloso, capace di tutto pur di riprendersi la sua ragazza, uno stalker col microfono, capace anche di umiliarla pubblicamente in dischi rap che scalano le classifiche mondiali. Questo è Slim Shady, e cioè la parte malvagia di Eminem, che forse è il primo personaggio pubblico mondiale apertamente scorretto politicamente, in fondo un precursore di Trump.
Da un mese Eminem è tornato con The Death of Slim Shady. Coupe de Grace, letteralmente colpo di grazia. Dopo i recenti lavori deludenti, cosa poteva fare il rapper più grande di tutti i tempi, se non suicidarsi musicalmente? L’album affronta uno dei problemi principali dell’essere un artista di 52 anni: ha senso fare rap a 52 anni suonati? Farlo senza rischiare una tremenda crisi di mezza età e risultare patetico, o come si dice oggi cringe, pur essendo il migliore Mc del mondo? Ha senso essere ancora in pista, per strada e poi nei palchi di tutto il mondo, in un genere che è ancora legato ad un certo giovanilismo, anche se il tuo stile è ancora funambolico, ironico, scorretto e fa man bassa di barre, incastri, allitterazioni, onomatopee, metafore e rime improbabili a tre, a quattro parole? Ha ancora qualcosa da dirci a velocità supersonica? Lo sa, Eminem, che in pochi riusciranno a capirlo? Lo sa che le generazioni più giovani, che infondo lui odia, sono pronte a massacrarlo, a dire che è finito, a diventare suoi hater, a dire che non può, non potrà mai essere meglio di TikTok? Perché ora su TikTok ci sono rapper più volgari, più violenti del vecchio Slim Shady. E allora chi difenderà Eminem dai tanti Slim Shady che ha creato? Ha senso dissare Michael Jackson, ha senso dissare Cristopher Reeve ormai morto, ancora una volta? Ha senso prendersela con gli omosessuali? Ha senso, se sei Eminem. Se appena esce il tuo album lo stroncano subito e lo bollano come “roba da boomer”, come archeologia del rap volgare, mentre in una settimana, come per magia mistica, EM diventa padrone delle classifiche di tutto il mondo. Ha senso perché probabilmente questo album è l’album rap più conscius di tutti i tempi, un album volutamente cringe, che chiama all’adunata l’intera generazione x. E non importa se lo si è ascoltati o meno. E la generazione x risponde ad un album che affronta la crisi di un artista e di un uomo, e di un genere musicale allo scoccare del mezzo secolo di vita.
Come sempre Eminem è un rapper atipico, non passa il tempo a mostraci che si fa le fic*e, che è pieno di soldi, non racconta più la strada che ha abbandonato da tempo, l’album è quasi un blues, è subconscio ed introspettivo, per certi versi vitreo, trasparente nel tentativo di essere vero, pieno della sua verità di vita filosofica, delle sue debolezze, delle sue dipendenze, di tutte le volte che non si occupato di sua figlia, e di tutti i dissing di cui persino si pente e si scusa. Eminem prende per il cu*o se se stesso, dissa se stesso, e si stavolta ci riesce, finalmente ha ucciso il vecchio Slim Shady, in un concept album mai banale, a tratti commovente, pieno di interrogativi esistenziali, specie nei pezzi dedicati alla figlia. È un album francamente maturo, forse cupo, che consigliamo di ascoltare. Segnaliamo, in particolare, il pezzo Guilty Conscience 2. In una delle ultime rime dice: “Sei fondamentalmente immaturo mentalmente, un tredicenne assetato di qualche controversia ribelle”. È il manifesto di una generazione, una auto denuncia, un processo politicamente corretto al politicamente scorretto e viceversa, il solito gioco di incastri concettuali di EM, ma stavolta sono incastri esistenziali. Il mondo è ancora di Slim.