Un milione di follower su Instagram. Numeri che non mi scompongono. Se penso al senegalese milionario o ad altre imperscrutabili ascese. Exploit sorprendenti, nutriti da adorabili amenità. Sarebbe il significato intimo del mondo intronato e luccicante che andiamo osservando, a metà tra jet set e flaneur borghesi di nullità esposte a caro prezzo. Cristina Fogazzi ha un milione di follower, per essere la cosiddetta Estetista Cinica. Un marchio depositato e aziende che fatturano qualcosa come 60 milioni di euro. Dov’è la novità. La novità è forse che nel guizzo di produrre, suggerire, una strizzatina alla pancia, una crema sciogli qualcosa, c’è una verve, una ironia, un blog, un libro. Una vita. Una “milanesità” acquisita, nel sacrificarsi e arrivare con la disciplina del self-made-man (forma blanda del più obsoleto harakiri), c’è una normalità (sì avete capito bene, normalità), c’è una donna come un’altra, insomma.
Mi piace pensare all’influencer in una maniera confinante con la normalità di una ragazza di provincia, che ha un sogno, fatica e più o meno lo realizza. Non un che di esoso, malgrado poi lo sia diventato per la Fogazzi. Un sogno, come lo abbiamo ognuno di noi. Per il resto, il brand che investe sul corpo, la bellezza, eccetera, è la cifra degli anni che si consumano ai nostri piedi, in uno sgomento silenzioso, giacché democraticamente realizzeremo in tempo che bellezza e corpo sarà pula spazzata dal vento. Democraticamente bellezza e corpo diventeranno ex voto, nella migliore delle ipotesi, salvo preferire un faccione clonato che riguarda oramai qualsiasi starletta, al punto da distinguere con grandissima difficoltà l’allegra settantenne da una trentenne uscita da un reality. L’attricetta dalla cantante inquieta. L’ex moglie dalla nuova compagna. Io le confondo, sembrano tutte le cugine di Parietti-Moric-Marini.
La narrazione di una tale fraudolenta bellezza con la Fogazzi si ricolloca con modestia, con una presunta onestà. Non più una roba da Joker. Finalmente un senso di verità ad appannaggio di individui ordinari persino. Quanta consolazione nell’esserlo, paradossalmente nell’eccezione. Un viso ordinario oggi è la perla, si distingue da labbroni enormi come spaventose bocche di un drago, ridicoli assemblaggi per una idea un po’ deficiente di perfezione. Una idea che può diventare perversa, inducendo segretamente, ma non tanto segretamente, al significato patetico, ridicolo, ridanciano, di un surplus di ostinazione, consapevolezze rivoltate che diventano siparietti di vanità. Così arriva la Fogazzi e rimette a posto le attese apicali. Se hai la ritenzione idrica ti spiega come intervenire con un paio di melanzane sulle mani. Mettici il sale, dice. Come con le melanzane, che poi spurgano.
Nel frattempo riesce ad arrivare ovunque, le grandi passerelle, le serate di gala. La normalità nel dress code. In una foto con la Ferragni, il duo risulta un colpo d’occhio. E non si sa bene cosa preferire, il patinato all’inverosimile, che non riguarda certamente le donne, o l’autentica grama pastosa degli anni che ci calpestano, una combutta con un segno dietro l’altro, ovvero il principio coraggioso e anche un tantino retorico per ostentazione al contrario tradotto dalla Fogazzi. Balle. Non ci sta bene nemmeno l’autentica sull’ordinarietà. La medietà proposta come alternativa etica al proteiforme reiterato bluff, l’estetica ovvero. L’estetica che partorisce un solo clone, che clonerà sghignazzando, una sola faccia, ebete abbastanza, labbrone infinite, supereranno le galassie, sempre più estese, Jocker elefantiaci. Una faccia per tutte. E come direbbe qualcuno, una risata ci seppellirà.