Oliviero Toscani inizia a lavorare giovanissimo, pubblicando la sua prima fotografia sul Corriere della sera a 14 anni. Nato nel 1942, ha fondato Colors e Fabrica, e ha diretto radio e programmi televisivi, accostandosi alla politica con i Radicali. Vive oggi in Toscana, dove alleva cavalli e produce vino e olio.
Dal 1982 al 2000 (e poi dal 2018 al 2020) stringe con Benetton un sodalizio creativo che gli permette di portare sul palcoscenico della fotografia commerciale i temi dell’attualità e del giornalismo coi tratti della grafica pubblicitaria. Le eccellenti doti tecniche non sono mai manieriste o auto compiacenti: vengono declinate verso una narrazione nuova, provocatoria, ironica e innovatrice. I contenuti dei suoi scatti e delle sue campagne travolgono gli occhi del mondo della moda, abituati alle immagini e alle patinature velanti e sognatrici, distanti, quasi distratte, astratte, portando tutto sotto lo sguardo di un pubblico più ampio. Il modus della comunicazione è rivoluzionato dalla sua attitudine. I cartelloni di Benetton iniziano a martellare le città e a mordere le coscienze, travolgendo sguardi e preconcetti, anche i miei, lo confesso. Tra le fotografie più rappresentative e indimenticabili ricordo quella del bacio tra prete e suora, che mira a fotografare l’amore universale invitando a superare i concetti di amore sacro e amore profano. Oppure i tre cuori identici con le scritte bianco giallo e nero, riferito al colore della pelle e alla unica natura dell’animo umano.
È una sorta di rivoluzione che conduce a un’occhiata in più, a uno sguardo che deve mirare più lontano rispetto a quel mondo degli anni ’80 che viveva appartato e favoloso, quasi parallelo rispetto agli accadimenti sociali e storici. Quando mette in scena la sua visione delle cose si accendendo i riflettori non più sul limbo del set fotografico tradizionale (la parete di fondo, in genere bianca, inclinata in una curva per dare l’illusione di astrazione dallo spazio limitante) ma sulle strade del mondo contemporaneo. La narrazione confortante cede il passo ai riflettori sociali grazie a una simbologia potentissima, richiamando l’abbagliante veridicità, i contrasti e le contraddizioni della vita vera, per quanto fotografica e imitativa. Da Toscani in poi la fotografia di moda esce dal contesto protetto e privilegiato e diventa un media più frequentabile, diretto, immediato. Non più modelle rarefatte e lontane, perfino nella seduzione, ma elementi delle battaglie quotidiane: sociali, politiche, laterali. Oliviero narra la mafia, la malattia, il razzismo, con scatti scioccanti, arrivando a usare in una campagna commerciale quelli non proprio autorizzati dei condannati a morte in America. Tiene conferenze e si racconta e nel farlo tira in ballo mille cose tra verità scomode e frasi al limite dell’assurdo, della comprensibilità, perfino del pudore, di cui non ha mai avuto timore.
La sua vita privata è privata, mentre le sue dichiarazioni sono assolutamente fruibili, contestabili, spesso offensive. Mi sono arrabbiato diverse volte, per questo. Ma, ancora: lui parla e io mi arrabbio. Chi ha ragione? Chi “vince”? Chi fa la prima mossa? Mentre leggo le cause intentategli ancora mi dico: sto leggendo di lui su wikipedia. Oliviero è un uomo controverso, ho avuto varie volte il privilegio di scorgerne il profilo e poi il suo viso pieno, quando si girava per vedere in faccia chi gli stava dicendo. Ciao Oliviero! "Chi sei?" Sono il nipote di Giovanni. "Bravo, bravo", mi sfotteva. "Come sta lo zio? Salutamelo. Ciao". Sempre convinto e consapevole della bellezza del proprio mestiere, non rinnega mai l’essere privilegiato. Per questo, sono convinto, si spinge spesso oltre gli estremi del politicamente corretto: per far discutere di un tema delicato, cosa c’è di meglio (e di più coraggioso) dell’esporsi per primi? Niente. Il resto è una replica, un po’ come questo pezzo, che è, a ogni modo, un omaggio. Per questa ragione, nonostante spesso in disaccordo con la sua visione del mondo, gli riconosco il coraggio del leone, la forza di chi esprime una verità personale prima di tutti, per quanto discutibile. Anzi: è grazie a lui che noi, a volte iene, altre volte convinti di avere il manto del leone, ne discutiamo. Quando ti ho visto in televisione così dimagrito ho sentito un grande dispiacere. Mi è venuta voglia di chiamare i tuoi figli. Sapevo che quando un uomo forte perde la forza fisica e rende manifesta la propria fragilità, la gente non discuterà più con quella veemenza che proprio tu hai sempre proposto, dalle ospitate al Costanzo show a tutto ciò che hai fatto, perché diranno – diremo, solo – hai visto come è dimagrito? È malato. Continua a ruggire, Oliviero. Questo è un abbraccio da un ammiratore, che una volta o due hai salutato confusamente, ma sempre deciso e ironico.
Facile sarebbe commentare una qualche ipocrisia legata alla sua vita, abbandonarsi alla piacevolezza di dire di qualcuno: è un coglione. Si può fare, naturalmente. Ma è una tentazione a cui vorrei resistere sempre. Il resto è una battaglia che rasenta l’eterna guerra tra iene e leoni. Ma esiste anche una verità che assomiglia allo psicodramma: ogni tanto si ha la cresta, più spesso si masticano cadaveri. L’ultima volta in cui vidi Toscani, lui raccontava dello zio appena morto. Contro i leoni da tastiera, Oliviero, hai proposto i leoni da pianoforte: coloro che battagliano fuori dal web, senza nemmeno raccontare gli echi della guerra appena affrontata. Ho letto una tua recente intervista, Oliviero. Sembravi curioso, non spaventato dalla fine. Mi è sembrato che dicessi: “Chi rivedrò dopo l’ultimo tendaggio? Lascerò mio malgrado questo palcoscenico straordinario che è stata la mia vita; ho amato e sono stato amato, ho proposto il mio coraggio alla fotografia e la conoscenza della luce alla politica, non ho mai smesso di essere vero, né onesto intellettualmente. Non mi sono mai interessati i pettegolezzi o i commenti degli altri, ho vissuto come un leone, non morrò come un vecchio vagone abbandonato alla ruggine.” Il sipario è ancora alto, sul palcoscenico della tua vita, e tu ancora gridi la tua parte.