Le probabilità di successo erano pochissime. Il rischio di sbagliare quasi del 100%, soprattutto visti i precedenti. Invece, il live action di One Piece è un prodotto ben riuscito. La trasposizione del leggendario manga di Eiichirō Oda rispetta lo spirito del fumetto e riesce persino a dare qualcosa in più. La serie è sbarcata su Netflix il 31 agosto ma già si prospetta una seconda stagione. L’impressione è che il gigante dello streaming non abbia voluto sparare tutte le cartucce a disposizione per questa prima parte della storia: i personaggi sono ancora acerbi così come le ambientazioni e le battaglie. Chi ha letto il manga sa che il proseguo dell’avventura di Luffy e compagni diventerà un caos barocco di colori, forme e dimensioni impossibili da ricreare fedelmente. Questo, si sa, è il bello del manga, il luogo in cui Oda gioca e si diverte a deformare i propri personaggi. Li rende giganteschi o minuscoli, capaci di compiere qualsiasi evoluzione. Un mondo fatto di gomma, come il corpo del protagonista. Il live action non può fare tutto questo. Neanche la semi-onnipotenza di Netflix può stravolgere le leggi del mondo. Per questo, la serie doveva “accontentarsi” di ricreare l’atmosfera di un’opera che va avanti da più di vent’anni. Leggendo le varie recensioni e ascoltando le reazioni a caldo, c’è un elemento che emerge in maniera trasversale: il cuore. L’ultima creazione Netflix ci mette davvero cuore nel rendere credibile il sogno di libertà che è il fulcro del fumetto. I pirati non sono sinonimo di morte e violenza.
Piuttosto, salpano con le loro navi per inseguire i loro sogni. Quello di Zoro, interpretato da Mackenyu, ormai esperto di live action dopo I Cavalieri dello Zodiaco e JoJo, è diventare il più grande spadaccino del mondo: la profondità raggiunta dall’interpretazione dell’attore giapponese è molto superiore rispetto a quella del personaggio nel fumetto. Così come sono perfetti Nami e Sanji (Emily Rudd e Taz Skyler). La prima è la “gatta ladra” che guida i compagni tra i mari e li indirizza nei loro comportamenti: una bussola morale oltre che il navigatore della ciurma. Il cuoco Sanji, invece, è affascinante e corrotto nel suo amore quasi maniacale per le donne. Può dare ancora molto nei prossimi archi narrativi. Usopp (Jacob Romero Gibson) è il racconta-balle che conosciamo e deve ancora evolvere. La fanbase di One Piece è una delle più tossiche del mondo del fumetto. Spezzata in due tra una fazione di fedelissimi, incapaci di vedere qualsiasi difetto nella storia di Oda, e una di oppositori accaniti, timorosi di vedere rovinato il “loro” fumetto.
Netflix si è presa un grosso rischio data la natura stessa del live action. Né duplicato né contenuto parallelo. Un’esistenza ibrida a metà tra il cosplay e l’opera “tratta da”. Un difficile connubio tra fedeltà e originalità. Le maggiori incertezze sono legate all’estetica, alle scenografie e all’impiego della tecnologia. Buggy e Arlong (Jeff Ward e McKinley Belcher III), i due principali antagonisti di questa prima parte, non convincono pienamente per il loro carachter design. Soprattutto l’uomo-pesce è un po’ grottesco con quel naso a forma di sega. Anche i suoi compagni di ciurma, in effetti, sono goffi nei loro costumi. Un grosso punto interrogativo saranno le future scene di battaglia: nel manga diventano sempre più coinvolgenti e spettacolari; quindi, c’è da vedere come la CGI terrà il passo con una simile spregiudicatezza. In questo senso, c’è chi ha parlato di un investimento insufficiente. In realtà si tratta della prima stagione Netflix più costosa in assoluto. La piattaforma ha dunque puntato molto su questa serie, nonostante qualche asso nella manica ancora non visto. Ad ogni modo, One Piece targato Netflix è promosso. Lo spirito di avventura che si respira in ogni episodio vale il rischio corso. Consapevoli di non poter accontentare tutti e dei limiti imposti dalle leggi della natura, il live action del fumetto più famoso del mondo ha raggiunto l’obiettivo. Ora non deve fermarsi qui. L’attesa è già alle stelle per la seconda stagione. Il test è superato ma il bello deve ancora venire.