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Paolo Ruffini è il poeta che non sapevamo di avere? Tra scoregge e puzza di piedi con i bambini sui social è l'erede di Silvano Agosti con D'Amore si vive. Altro che cinepanettoni...

  • di Ottavio Cappellani Ottavio Cappellani

24 marzo 2025

Paolo Ruffini è il poeta che non sapevamo di avere? Tra scoregge e puzza di piedi con i bambini sui social è l'erede di Silvano Agosti con D'Amore si vive. Altro che cinepanettoni...
Altro che comico da cinepanettoni: Paolo Ruffini è un genio postmoderno, e chi ride (solo) per le scoregge non ha capito niente. Tra Lyotard, Popper, Pasolini, Agosti e la puzza di piedi, i suoi format sono un atto filosofico. E sì, ci crediamo sul serio...

di Ottavio Cappellani Ottavio Cappellani

Paolo Ruffini è un genio. I suoi due format, Il Baysitter e Il Badante sono pura poesia, ma poesia prosaica, non retorica: Paolo Ruffini è un poeta. Di lui apprezziamo tutto, il giudizio che dà delle commedie all’italiane, dei cinepanettoni, la sua trasversalità che sarebbe piaciuta a Umberto Eco: se c’è qualcuno che ha messo in pratica la lezione di Eco, ecco è Paolo Ruffini. Se vi sembra che stiamo esagerando, pazienza. Ma se voi approfondiste il Gruppo 63, la decostruzione, ed Eco che interviene e dice una parola, “postmoderno”, e cita La condizione postmoderna, di Jean-François Lyotard, capireste che i “format” di Paolo Ruffini sono “altissimi”, proprio perché, secondo la lezione di Lyotard (che arriverà in traduzione in Italia solo nell’82, e che ancora, purtroppo, nessuno, in Italia, ha veramente letto e compreso), mettere insieme “alto” e “basso” è la vera “drammaturgia contemporanea”. C’è un precedente, al format di Paolo Ruffini, e siamo sicuri che Ruffini ne sia cosciente, ed è D’amore si vive, di quel cineasta oramai mitico che risponde al nome di Silvano Agosti, con la sua intervista al "bambino Franck", di otto anni, che parla delle sue prime esperienze sessuali. Roba impubblicabile oggi, ma, se si è capaci di contestualizzare, un capolavoro di chi voleva liberare il sesso dal giudizio borghese e cattolico, dal senso di colpa. Ecco, Paolo Ruffini, riesce ad attualizzare quella “esperienza”, quel “racconto” (era l’epoca di Pasolini e della rivoluzione sessuale), liberandola dagli eccessi del radicalismo e arricchendola di quell’umorismo – amato da Umberto Eco – che è tipico dell’infanzia, o della terza età, un umorismo corporale, “scatologico”, fatto di scoregge e puzza di piedi.

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Un umorismo “puro”. Un umorismo salvifico fatto di “realtà”, di imperfezione, di “basso”, fatto di tutto quello che il “fascismo”, inteso come esaltazione del bello classico, ha sempre voluto cancellare nel suo delirio di perfezione. Dobbiamo ricordare Karl Popper, se vogliamo parlare di Paolo Ruffini, e a chi l’accostamento sembra esagerato o eretico lo invitiamo a gurdarsi mentre defeca. Popper smontò il superuomo nazista (Nietzsche non c’entrava nulla, il superuomo e la volontà di potenza furono inventate dalla sorella del filosofo, aderente al nazismo, anzi, per Nietzsche, la volontà di potenza, per chi sa leggerlo, era il “male” assoluto) con una semplice osservazione: “Facciamo quelle scale da una vita e a un certo punto inciampiamo”. A chi non è capitato? Come può esistere un superuomo, che si arroga il diritto di giudicare gli altri, se poi si dimentica un gradino? E come può esistere un superuomo a cui, come accade, puzzano i piedi, scoreggia, fa la cacca?

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Paolo Ruffini, con il suo Babysitter compie una altissima operazione filosofica. Mostra la risata dell’autoironia. Mostra l’uomo che ride di se stesso. Mostra i bambini che ancora non hanno perso la capacità della “commedia” (quella Commedia che Umberto Eco, nel Nome della Rosa, voleva nascosta e messa all’indice, d una cultura che voleva fondare il suo potere sulla paura e sulla “seriosità”). Guardatelo, Paolo Ruffini, quando intervista i bambini, e fatelo, il confronto, con Benito Mussolini senza nessuna ironia affacciato al balcone di Piazza Venezia, con quel suo mascellone serioso e ridicolo. Lo ripetiamo: Paolo Ruffini è un genio postmoderno. Chi non lo capisce è ottuso, serioso, col mascellone in fuori, pronto a indignarsi. O forse, ha solo avuto una infanzia triste, dove nessuno rideva in maniera “scatologica”. Grazie Paolo. Ti dobbiamo un favore!

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