Andrea Cati ce l'ha fatta. Tutto è iniziato con un blog che rappresentava il primo vero tentativo di fuga da uno schema vita-lavoro in cui non riusciva a riconoscersi. Apre Interno Poesia, un sito in cui non si pubblicano recensioni, note, e testi pieni di citazioni colte dal tedesco e il latino. Niente di tutto questo. Solo un testo al giorno, con una foto in bianco e nero dell'autore. Dal 2014 a oggi chiunque abbia avuto intenzione di entrare a far parte del cosiddetto ambiente poetico è passato da Interno Poesia, è stato letto da Andrea Cati. Quasi un timbro per gli esordienti, un lasciapassare. La visione di Cati è rara, soprattutto in Italia. Figlio di una mentalità, che è quella commerciale dei mercanti (e non degli oligarchi economici), che richiede inclinazione al rischio e tanta conoscenza, in pochi anni la casa editrice, nata due anni dopo il sito, è una delle più distribuite e premiate in Italia. Il "prestigio" dietro a questi numeri da magia? Un doppio binario, che premia voci più commerciali e, parallelamente, voci più complesse e meno popolari.
Quando lo chiamo sta aspettando l'aereo di linea che lo porterà a casa, in Puglia, dove ha scelto di tornare dopo molti anni "al Nord", prima a Bologna e poi a Milano, per "mettere le radici nel luogo più bello e fragile che c’è: casa mia". Prima di iniziare mi racconta che alla stazione Termini, alla libreria Borri, una delle libreria di poesia più fornita del Paese, ha trovato undici titoli di Interno Poesia: "Certo, quasi tutti classici, però quando finisci in una libreria di catena vuol dire che le cose iniziano a funzionare". In questi anni, tuttavia, non sono mancate le polemiche. Troppo commerciale, pensa a vendere e non alla qualità, è stato tra i pochi a difendere l'antologia Crocetti curata da Jovanotti. Insomma, l'opposto dei poeti e editori che si accontentano ormai solo della nicchia.
Come tutte le storie, partiamo dall’inizio.
Prima della casa editrice è nato il blog che ancora gestisco. Era il 2014 e ancora vivevo a Bologna. Mi ero laureato in filosofia e lavoravo per una multinazionale nel settore industriale, ma l’editoria era sempre stata il mio pallino. Avevo seguito corsi dedicati all’editoria, come alla Fondazione Mondadori e alla Scuola del Libro Minimum Fax. Mi interessava capire e vivere l’oggetto libro, da dietro le quinte.
Hai cominciato da solo?
Sì, era cominciata per gioco ma avevo avvicinato le persone che in quel periodo frequentavo di più, i poeti Valerio Grutt, Giovanna Rosadini, Franca Mancinelli. Potevano mandarmi degli inediti o consigliarmi dei poeti da inserire. L’obiettivo era semplice: pubblicare una poesia al giorno con una foto. Una cosa strana in un periodo in cui andavano di moda i lit-blog e la critica letteraria sul web.
Sapevo che esistevano soprattutto offerte ragionate intorno alla poesia. C’erano recensioni, analisi critiche, quasi parafrasi. Quello che ho fatto è stato semplicemente offrire il testo più una foto e l’informazione bibliografica dell’opera. Era un pacchetto molto pop e fruibile, soprattutto da smartphone. Una formula vincente a posteriori.
Poi arriva la casa editrice.
Nel 2016.
A proposito di foto. Anche la tua collana storica è impreziosita dai ritratti di Dino Ignani, forse il fotografo di poeti più famoso d’Italia.
Il paratesto è fondamentale e imprescindibile, anche per poter proporre un catalogo a festival, premi e soprattutto librerie. Devi occuparti sempre anche della forma. Fin dal blog, come ti dicevo, ho usato questa formula, con la foto in bianco e nero a mezzobusto. Ho voluto dare un volto ai testi dei poeti. E così anche con le copertine di Interno Poesia. C’erano di mezzo anche le mie ossessioni editoriali. Da giovane ho girato, soprattutto a Bologna, per tantissime librerie e mercatini dell’usato e mi innamorai della collana I Millenni di Einaudi (creata da Cesare Pavese nel 1947), un pezzo di storia dell’editoria apprezzata soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta. Loro proponevano in copertina un riquadro con la foto dell’autore e il bordo sempre colorato di rosso. Sicuramente questo modello di copertina è stato per me fonte di ispirazione per le mie copertine con Interno Poesia.
E hai recuperato questa intuizione.
Esatto, attualizzandola. Anche perché c’è di mezzo anche il tentativo di sfruttare uno dei simboli dell’epoca dei social, il selfie, l’autoritratto per così dire.
Ora però arriverà una novità, delle copertine con delle opere pensate apposta per i libri della tua casa editrice.
Sì, saranno di Valeria Puzzovio, una bravissima illustratrice che abbiamo inserito in un progetto legato all’altro marchio, nato due anni fa, Interno Libri Edizioni. Molti magari non vogliono comparire in foto, per questo abbiamo optato per la creazione di un altro marchio, distinto ma ben riconoscibile e assimilabile alla famiglia di Interno Editoria.
Prima che editore sei stato un poeta. Ricordi cosa si prova a essere pubblicato?
Caspita… Pubblicai il mio primo libro dopo aver vinto un concorso letterario in Sicilia. E la mia prima sensazione è stata: “Ho vinto il concorso e finalmente riuscirò a pubblicare un libro senza spendere un euro. Cioè, senza metterci un euro di tasca mia”. Ma l’euforia non è durata molto perché ho scoperto sulla mia pelle che un libro non vive, non inizia nemmeno a vivere, dopo la registrazione di un ISBN e dopo dieci copie che l'editore ti regala, ma quando esce fuori dal grembo della piccola cerchia legata a te e al nome dell’editore. Sono partito anche da questa esperienza per capire che tipo di casa editrice volessi realizzare.
Cosa non va nell'editoria italiana attuale, soprattutto di poesia?
Io mi considero un editore abbastanza liberale, nel senso che osservo da editore e da fruitore gli altri poeti, i curatori di collana, gli altri colleghi, quindi so che ci sono percorsi diversi e strade che uno sceglie di intraprendere dopo aver riflettuto e programmato il suo piano editoriale. Il grande problema però è spesso la mancanza di consapevolezza da parte degli autori di cosa possono aspettarsi da certe collane, da certi editori e da certi contesti. Io stesso quando ho pubblicato il mio primo libro ero sicuramente molto più ingenuo. È un classico, soprattutto per i più giovani, affacciarsi al mondo della poesia e aspettarsi un successo immediato. Ma le cose non vanno quasi mai così.
A proposito di scelte, molti di criticano perché ti considerano troppo commerciale.
Sono critiche giuste, è giusto che le mie scelte editoriale siano poste sotto la lente non solo dei più affiatati lettori e lettrici legati al marchio, ma a chi osserva a distanza più o meno ravvicinata o lontana la nostra proposta editoriale. Non mi vergogno di quello che sono, alcuni possono apprezzare ma va benissimo anche questo genere di reazioni, la critica, talvolta poco diplomatica o argomentata (i social offrono gli strumenti adatti per ergersi a posizioni da critico letterario). Io amo il mio mestiere perché penso di essere totalmente libero di fare quello che amo, di quello che propongo: tutti i libri che pubblico li ho amati e li ho scelti perché mi hanno dato qualcosa. In questo momento, per esempio, sto collaborando anche con Franco Arminio per la curatela di un libro di un poeta del Novecento che uscirà all'inizio del prossimo anno. Provo a essere un editore plurale e aperto a quelle che sono le varie proposte della poesia. M'immagino come una sorta di disc jockey e curatore di un programma radiofonico, qualcuno che sta in regia e tira fuori ogni volta la più ampia proposta artistico-editoriale del settore, il meglio di ogni genere legato alla poesia.
Seleziono quelle che per me sono le migliori proposte tra i classici, i poeti che potremmo tradurre provenienti da varie parti del mondo e tra i poeti italiani. Cerco di proporre sia le nicchie ma anche le voci più commerciali.
Quelli che vendono di più insomma.
Quelli che trovano un sostegno e che riescono ad entrare in empatia con un pubblico formato da giovanissimi ma non solo. Tra i contemporanei ho trovato Andrew Faber, un autore che ha un curriculum di lungo corso, che sicuramente rappresenta il classico autore commerciale che mi criticano e che però vende. Meno male che ci sono poeti e autori di questo tipo che vendono di più, perché sono quelli che mi permettono di pubblicare libri meno fruibili e che non di rado arrivano a vendere trenta o cinquanta copie. Se dovessi lavorare soltanto con questi libri di nicchia sicuramente non potrei essere presente nel mercato editoriale attuale. Non sarei nella grande distribuzione o alle fiere del libro.
Un traguardo anche questo.
Direi di sì. La proposta culturale non è soltanto la proposta dei poeti più sperimentali, dei poeti che vorrebbero entrare in un canone e che vorrebbero far parte di una cosiddetta società letteraria di cui in questi giorni si sta parlando molto. Riguarda anche i poeti che vivono il presente attraverso i social, che si fanno apprezzare attraverso strumenti non ufficiali o comunque non novecenteschi, non provenienti dall'accademia, non provenienti dalle riviste specializzate, dalle terze pagine dei quotidiani o dai convegni.
Non avere filtri critici non è un problema?
Intanto è un fatto dei nostri giorni. Io cerco di accogliere questo fatto nella mia offerta, registrandolo e trasformandolo in offerta editoriale.
Sei anche stato tra i pochi a difendere l’antologia di poeti estivi curata per Crocetti da Jovanotti.
È lo stesso discorso. Credo che non ci siano dei libri che sono oggetti sacri e libri che non lo sono. Nulla è intoccabile e i libri non possono o devono essere prodotti soltanto da chi viene dall'accademia, chi viene e frequenta il mondo delle lettere. Anche un Jovanotti può promuovere la poesia, perché no? Diversamente si rischia poi di restare sempre con il solito pubblico, di vedere alle presentazioni sempre le solite persone, gli amici degli amici degli amici, mai un volto nuovo. È un po’ come per la musica, non c’è solo il jazz che raggiunge vette altissime, ma anche altro, anche altri generi. Ripeto, è come lavorare in radio e scegliere le migliore proposte, è questo l’obiettivo, almeno per me, puntando ad essere quanto più plurale e aperto.
C’è dell’invidia nel modo in cui spesso criticano te o i tuoi autori?
Invidia non saprei, magari qualche volta sì. Ma il punto è che non si può pensare solo che la poesia sia qualcosa di non commercializzabile. Che la poesia riesca a vendere è il desiderio più bello di tutti. Di poeti che riescono in questa impresa ne nascono pochi. Penso a Leopardi e a Dante, che se guardi le classifiche di vendita sono sempre presenti. E non solo perché vengono insegnati a scuola. Sono tra i poeti più venduti anche all’estero. Ma ecco, parliamo di autori lontani secoli tra loro. Forse ne nascono 1 o 2 per ogni secolo.
Consigliaci un poeta e una poetessa del tuo catalogo.
Sono entrambi autori che ancora devono uscire. La prima è Francesca Serragnoli, collaboratrice storica di Interno Poesia. Uscirà con la sua nuova raccolta, Non è mai notte, non è mai giorno. Sono davvero orgoglioso per questa uscita. L’altro autore è Daniele Piccini, non proprio uno sconosciuto direi. Sarà una riedizione di un suo volume con delle integrazioni, ma non dirò il titolo.
Quali sono i poeti che proprio vorresti nel tuo catalogo?
Mi piacerebbe sicuramente comprare i diritti di alcuni grandi poeti, anche già pubblicati da altri. Penso a Brecht, che vorrei ritradurre per Interno. O a Ingeborg Bachmann. Alcuni poeti meriterebbero di essere riportati in vita nella lingua di oggi. Poi io leggo e apprezzo voci contemporanee come De Angelis, Anedda, Rondoni, Magrelli poeti molto diversi tra loro che un giorno mi piacerebbe avere nel catalogo.
Che cantanti ascolti in questo periodo?
Intanto l’ultimo album di Maria Antonietta, con titolo noto per chi legge la poesia: La tigre assenza. Mi piacciono molto le voci femminili: da Laila Al Habash a Kate Bush, passando per Sampa the Great fino a Boyrebecca.
Pubblicheresti mai il libro di poesie di un trapper?
Non direi no a prescindere. Dipende dal progetto. Non sono disposto a pubblicare di tutto per vendere tanto. Dietro al libro cerco un’esperienza, un percorso con lingua, una storia, una motivazione importante. La motivazione non è soltanto un'argomentazione la motivazione è anche un amore, una testimonianza, qualcosa di diretto, l’attraversamento di una lingua, di uno stile. Qualche anno prima di pubblicare avevo conosciuto dal vivo e letto i testi di Giorgia Soleri, che decisi di non pubblicare semplicemente perché non mi avevano convinto, non per qualche motivo di principio.
Vuoi fare un pronostico sullo Strega.
No, dai. Però sono molto curioso, anche se non capisco perché protrarre fino ad autunno la premiazione, al contrario di come si fa con la narrativa. Spero vinca il più amato, il più votato, fuori da considerazioni di tipo editoriale.
Cosa pensi della selezione?
Devo dire che la giuria ha offerto un panorama abbastanza variegato di autori. Sono molto contento per Simoncelli e un editore come Pequod. E non farei neanche tanti complottismi. È naturale che alcune case editrici, come Einaudi e Mondadori, siano rappresentate. Lo saranno sempre.
Anche Donzelli è in finale con Ballate di Lagosta di Christian Sinicco, anche se Elisa Donzelli, la direttrice di collana, è in giuria.
Sì. In questo caso a mio avviso si è parlato di conflitto di interessi, ma conosco e seguo Elisa da tempo, come operatrice culturale e editrice, accademica e critica letteraria, e sono sicuro che il suo sguardo sul mondo della poesia contemporanea sia obiettivo. Inoltre non conosco le regole interne allo Strega per la determinazione dei finalisti, quindi ci andrei piano con la raffigurazioni di strategie, neanche tanto velate, per portare i propri autori in finale. Mi auguro che le giurie possano cambiere ogni tot di anni e che potranno finirci anche altri direttori di collana.