«Ragazzi ma perché non siamo nati tutti finocchi? Sarebbe stato perfetto».
(Gastone Moschin in Amici Miei Atto II)
Sono dallo psicologo. Ho trent’anni. Non ho il coraggio di guardarlo in faccia e parlo intrecciando le dita. Il groppo in gola è tanto e con commozione gli dico: devo dirle una cosa. Lui mi guarda con fare paterno, comprensivo, si prepara al peggio: avrà un tumore, pensieri suicidi, chissà quale peccato da confessare. Io balbetto: a otto anni ho avuto esperienze gay con un mio amico. Secondo lei sono gay? Il silenzio della seduta è rotto dalla sua risata beffarda. Deve coprirsi la bocca con le mani, perché sputa dal ridere. Ma quale gay, mi dice, sono esperienze di esplorazione sessuale, è normale tra i maschi.
Be' in effetti due anni dopo già mi davo da fare con entrambe le mie cugine, però ecco c’è sempre una fase in una vita di un uomo in cui si chiede: sono gay? Una sera a Milano ero con una cricca di amici tra cui tanti omosessuali. Il più bello, che mi stava più simpatico, era anche il più evidentemente gay. Mi guardò e mi disse col suo marcato accento toscano: «A te ti garba troppo la topa, non sarai mai gay, purtroppo». Stupendo, avevo un certificato emesso direttamente da un super ricchione (si definiva così lui stesso). Ero salvo. Un’altra volta il fotografo Jacopo Benassi, omosessuale dichiarato, mi ringhiò: «Che peccato che non sei frocio Banhoff». Era il secondo attestato. Avevo collezionato ben tre diagnosi. Eppure per un ipocondriaco come me, non bastava mai.
Nel mondo in cui sono cresciuto io, gli anni Ottanta e Novanta, non c’era il gay pride. Non c’era nessun pride nell’omosessualità. Se eri omosessuale erano cavoli tuoi. “Frocio” è forse l’insulto che più di ogni altro ti metteva fuori uso a undici anni. Se ti davano del gay, eri bollato a vita. Andatevi a leggere la storia di Paolo Villaggio e De Andrè, il poeta degli ultimi, che in giovinezza si divertivano a lanciare le pietre agli omosessuali genovesi. Altro che DDL Zan. Sono nato in un mondo patriarcale e virile, in cui gli uomini dovevano avere una gran virilità e conquistare le donne. Stop. Poi per fortuna il mondo è cambiato e si è aperto ai dati di fatto. Ovvero che fin dall’inizio dei tempi gli uomini e le donne hanno avuto le loro tendenze sessuali.
Io sono sempre stato magro e gentile, a diciotto anni avevo i capelli lunghi e spesso mi chiedevano se ero gay. Dicevano che sculettavo, in realtà avevo una gran classe e imitavo le rockstar come Axl Rose o Steven Tyler. Avevo un sacco di amiche e anche questo avvalorava la teoria che potessi essere ambiguo. Ma sono stato il primo del mio gruppo ad avere una fidanzata, poi una schiera di fidanzate, e il dubbio negli altri si è dissipato. La donna era ciò che mi attraeva di più, ma negli anni di studio universitario mi chiedevo se quell’attrazione fosse sana o freudianamente sbagliata. Non la sapevo gestire la donna, con tutti quei bisogni, con quel senso di colpa che mi faceva provare, con quell’essere sempre problematica come mia madre. A un certo punto pensi: forse un uomo mi capirebbe di più.
Negli anni Zero spuntarono chatroulette e i siti porno. Su chatroulette uno ci andava per cercare le donne, ma alla fine si aprivano sempre schermate con tipi dal batacchio gigante. Una volta mi sono masturbato in compagnia di un maschio. Ma era più una trasgressione che altro. Poi ho avuto la fantasia dei trans, li volevo dalla mazza enorme e dalle tette giganti. Ma anche in questo caso restava tutto a livello di immaginazione erotica. Nella realtà mi dava fastidio l’idea di un maschio nel letto. Ma non per il membro, quanto il contorno. Ginocchia secche, calcagni screpolati, peli orrendi sul sedere, dita e unghie dei piedi, ascelle, mento ruvido, mani callose.. Se fossi stato attratto da un uomo non avrei avuto questi pensieri, no? E quindi alla fine, ripenso spesso alla risata dello psciologo: alla fine la mia è sempre stata curiosità sessuale.