Sta tutto in quella D in più il concerto uno e trino Cccp in Dddr, ovvero Deutsche Demokratische Dismantled Republik, e cioè smontata, smantellata, non solo la Ddr, ma Berlino, loro, noi, visto che “nulla dura per sempre”, come da proclama di Annarella, benemerita soubrette, nelle prime fasi del concerto dell’Astra Kulturhaus. Posto iconico in un luogo che smantellato lo sarà tra pochi anni, ma frantumazione e sgretolamento sono puro Cccp: la città è quella giusta, l’anagrafe e la storia dei protagonisti pure, ciò doveva trasformarsi l’ha fatto e ancora lo fa, non rendersene conto o fingere – come fa il pubblico, anch’esso di età rispettabile – di rivivere l’estetica dell’acciaio e del cemento è parte del gioco, non la realtà.
Cccp in Dddr è un'installazione vivente, arte da palco all'insegna del disfacimento dei luoghi dell’anima – “nella mia Berlino il Reichstag è un palazzotto vetusto” mentre oggi la capitale tedesca è “una città del Nord Europa come tante altre”, dice Ferretti – e del deperimento dei corpi – il video di Tomorrow, proiettato tra Libera me Domine e Tu menti, è un formidabile segno del panta rei – nonché della decomposizione delle idee – il centro dell’immaginario Cccp –, ma non dell’attitudine punk di gente che per vent’anni buoni si è evitata. Quell’attitudine, sì, è ancora viva. Ed è questo che consente alla deformità gaudente (rispetto all’era giovanile, s’intende) di Fatur di essere un dettaglio scenico, ad Annarella di mantenere la solennità e il mistero di allora, e persino di dare un senso alla presenza social-pop di Andrea Scanzi, inconsistente fosse stato solo per il monologo – riduzione dello stesso monologo di abissale banalità proposto al teatro Valli di Reggio, per introdurre Emilia Paranoica – ma sul palco per dar vita a una performance dal carattere debordiano, uno spettacolo in cui chi parla è insignificante e sparisce, perché il centro diventano il pubblico e Ferretti, la sua mimica, l’aria gongolante di quello che ha centrato il bersaglio, il conseguente pseudo-pistolotto necessario alla comprensione dell’attitudine di cui sopra, perché un concerto di solo entusiasmo e passatismo e sai che palle, no, non era roba da Cccp ai tempi e non lo è adesso, e del resto “le insegne luminose attirano gli allocchi” (è, appunto, Tu menti) e Scanzi è luminosissimo.
A proposito di luci, salta anche la corrente elettrica in una pausa tra un brano e l’altro la prima sera, non è un effetto voluto ma ci sta benissimo. Curami, nella tappa del sabato e in generale, si conferma trascinante e trafigge in quanto a potenza ed espressività persino Emilia paranoica, sempre iconica ma vagamente depotenziata dall’intermezzo di cui sopra (e dal confronto con la versione teatrale degli impetuosi tamburi e percussioni del Gran galà punkettone), il giro di basso di Allarme miete sempre vittime (al basso c’è Luca Rossi, alla chitarra Simone Filippi, al violino Ezio Bonicelli: gli Ustmamò insomma), Zamboni è un Ostberliner ad honorem per come introduce in tedesco e canta alla fine Kebabtraume, cover dei Daf incisa come inedito ora in Altro che nuovo nuovo, il pubblico si regala più selfie e dirette video che pogo, si esalta quando la cover di Bang bang sfuma in Spara Jurij, chiude con Annarella e Amandoti ed esce in estasi mistica, dimentico – o consapevole, non ha importanza – che i Cccp usano il cervello e i nervi con disinvoltura, e allora lascia che guidino loro, perché lo spettacolo uno e trino è irripetibile, almeno così, e ciò che conta è avere la tacca anche del momento clou, quello più immaginifico di una reunion comunque epocale.