Produci, consuma, crepa; il pensiero non è originale, si trova in Morire, e chi lo scorso ottobre l’ha ascoltata dal vivo al Teatro Valli di Reggio Emilia – in quella reunion senza concerto la cui originaria unica data è risultata immediatamente sold out ed è stata subito prevista per il bis il giorno dopo – e poi si è fiondato alla strepitosa mostra “Felicitazioni!” ai chiostri di San Pietro, deve averla canticchiata nella sala del merchandising. 100 euro una felpa, 50 una t-shirt, e sarà pure una questione di qualità, ma non è una formalità: restano pur sempre una felpa con un patacchino – un logo, oddio: “Non sono un vuoto a perdere, né uno sporco impossibile, né un marchio registrato, né un prodotto di mercato” – e una maglietta. Dai, prendiamo il catalogo, che ne costa 39, ma insomma è arte, è estetica, forma e sostanza, ma siccome per la cultura il prezzo è giusto, così sia. E invece no, qui è esaurito, “però lo trovi nei negozi e negli store online”.
Insomma: la sensazione – tra i prezzi folli del merchandising della mostra, la superfetazione del concerto berlinese nel tour estivo in Italia annunciato dopo il sold out tedesco, l’uscita del nuovo album e chissà cos’altro – è che la celebrazione dei 40 anni dall’uscita dell’EP Ortodossia dei CCCP si sia trasformata in una clamorosa operazione commerciale, e nei forum e nelle pagine social dei fan la base pronta a partire per Berlino mugugna. L’anagrafe dei fan di sempre e di un po’ dopo sconsiglia di tifare rivolta, e poi è comunque amore, e pazienza pure che la critica della purezza da socialismo reale sia fuori tempo massimo da un pezzo (venne sdoganata ai tempi del contratto con la Virgin, figurarsi), però tra chi gli appuntamenti della celebrazione li timbrerà tutti, la base insomma, i mugugni non mancano.
Dai, facciamolo un sacrificio: fuori i soldi, oggi a Reggio, domani a Berlino, poi viviamo di brani, ricordi e paccottiglia, ché la è storia perfetta. Del resto Berlino (Est) è un luogo centrale nell’immaginario dei CCCP e dei loro fan, e l’annuncio delle date – la prima, poi la seconda, quindi la terza: tutte sold out in pochi minuti, con una successiva lunga lista di attesa sulle piattaforme autorizzate – appariva la perfetta chiusura del cerchio aperto con l’arcinoto incontro tra Ferretti e Zamboni, l’archè (ἀρχή) di un percorso artistico ed estetico senza pari in Italia. C’è chi ha prenotato per FOMO – è la fear of missing out, sembra una bestemmia piazzarla dove si parla di chi voleva rifugiarsi sotto il Patto di Varsavia, ma tant’è – e chi perché davvero pensava che non ci sarebbe stato altro, e allora ecco le carte di credito strisciare virtualmente sui siti di prenotazione di voli e alberghi, chi con il biglietto già in tasca e chi no, e certo nessuno dei presenti rimpiangerà la scelta anche solo per poter dire “io c’ero”. Però, dopo il sold out, l’annuncio del tour estivo italiano certifica che Berlino non sarà affatto la chiusura del cerchio, e alla fine si paga l’esperienza, sicuramente ottima, ma appunto la retorica del “pagare l’esperienza” è uno dei mantra più classici del consumismo elitario.
In sostanza: nessuna delle tappe italiane del tour – tappe ancora non annunciate – è e sarà mai Berlino, però una parte di chi ha previsto di investirci magari mezzo stipendio tra alloggio, vitto, concerto, birre e merchandising, pensando che non ci sarebbe stato un domani, magari avrebbe volentieri speso un terzo o un quarto di quella cifra per vedere anche solo una tappa italiana a uno o due centinaia di chilometri da casa e arrivare meno tirato a pagare le bollette. Com’era? Il passato è afflosciato, il presente è un mercato, e magari la prima parte non è del tutto vera (tira eccome il passato dei CCCP), ma la seconda racconta un mondo dove c’è più molto Adam Smith che Karl Marx, ma non è una questione di incoerenza, quanto piuttosto di non fossilizzarsi nell’estetica di un immaginario oggi più arte che ideologia. La critica comportamentale ha sempre un senso, ma poi alla fine c’importa ‘nasega, già CCCP in DDDR (Deutsche Demokratische Dismantled Republik) ha un qualcosa di mitologico, ce l’hanno insegnato che niente è gratis, niente è a posto e allora sta tutto in quei quattro quarti: un quarto al benessere, un quarto al piacere, un quarto all'ideologia e l’ultimo quarto – quello dell’anniversario commerciale, in questo caso – che se li porta tutti via.