La body art, diciamo così, è un’attività espressiva introdotta nel mondo delle possibilità espressive dalle avanguardie. Si tratta di “fare”, appunto, “arte” mettendo al centro dello sguardo altrui, dello spettatore, un corpo, il corpo nella sua evidenza materiale, il corpo come tale. Mostrare, meglio, fare “mostra”, esposizione, “vernice” del corpo dell’artista stesso. Una “disciplina” estetica che di recente ha incredibilmente trovato, e non sembri un paradosso, o ancora peggio una boutade, il proprio terminale ultimo in modo esemplare in tale Bianca Censori, un “soggetto” femminile in possesso di una autosufficiente carica mediatica, spettacolare. Se l’oggetto della body art, anzi, il suo referente militante dovesse sembrarvi oscuro, incomprensibile, estraneo, mai sfiorato, provate a consultare su Wikipedia i nomi di Gilbert & George, o magari a Gina Pane, o perfino a Orlan, l’artista francese che ha donato, “offerto”, sì, quest’ultima, il proprio corpo, come fosse un’ostia, sempre all’arte. Per le cronache spicciole, da rotocalco 3.0, Bianca Censori è la “compagna”, se non l’“ostaggio” di un rapper travisato da un cappuccio nero, Kanye West, irrilevante tuttavia, in questo caso, per la nostra riflessione, ciò che molti possano sospettare, ossia che l’altro, l’Uomo dal cappuccio nero, la tenga al guinzaglio, come fosse lui un Mangiafuoco e l’altra una vittima agita nel dominio del Male. Dimenticavo, restando in tema di body art, in questa nostra storia, altrettanto occorrerebbe citare Marina Abramović, così dicendo il fondale narrativo dell’intera nostra storia dovrebbe essere ormai chiaro.

La body art, ripeto, è un’espressione, come dire, “performatica”, può svolgersi in presenza di un pubblico, ma anche attraverso un riflesso, diciamo, fotografico, personale, testimonianza di un’azione che vede sempre e comunque al centro della scena il corpo, il corpo di chi sceglie di “agire” un proprio messaggio, dove il vettore espressivo è il corpo stesso, quasi a rapportarsi con le molte icone antiche che ostentano San Sebastiano trafitto dalle frecce, irrilevante se raffigurato in modo estatico da Perugino o magari drammatizzandone la figura come accade invece in Cosmè Tura. Diversamente da ciò che potrebbero pensare alcuni, nella body art non c’è narcisismo, forse neppure esibizionismo, ancor meno ostentazione, piuttosto “teatro” nella sua forma più alta, assoluta, “crudele”, nel senso di un Antonin Artaud: il primo piano sanguinante del teatro stesso. Bianca Censori, al di là di ogni considerazione prosaica e bassamente riferibile al più modesto gossip, si impone ora e sempre attraverso la “presenza” pubblica del proprio corpo, Bianca Censori è un corpo mai accompagnato dalla parola, un corpo senza didascalia, spetta agli altri, a chi guarda, come fossimo davanti a un enigma, decidere quali pensieri attribuirle, intuirne l’intento segreto o magari bassamente pubblicitario. Nel suo mostrarsi Bianca Censori marca infatti il proprio tratto anemotivo, o almeno così pare. Bianca Censori è comunque un unicum nel mondo dell’evidenza pubblica del corpo spettacolarizzato, impossibile perfino assimilarla alle moltitudini femminili che fanno del selfie ostentazione di sé, quasi un grido che reclami presenza, conferma d’esserci. Bianca Censori è assimilabile semmai alla una replica della Pietà di Michelangelo, e poco importa che “tenga in braccio” solo sé stessa; il suo corpo, appunto.

Da qualche tempo ho modo di osservare su Instagram il profilo di Gilbert & George, coppia di artisti ormai storicamente antologizzati, “statue viventi” che perseguono il proprio mito nel flusso dei social. Bianca Censori penso ormai possa a tutti gli effetti essere ritenuta una loro “collega”, e, ripeto, ogni considerazione “etica” che comprensibilmente vive in modo incombente si possa fare circa la sua effettiva volontà personale e determinazione rispetto al Mangiafuoco che lo ostenta alla fine appare irrilevante. Corpo e silenzio sono diventati infatti un’opera, la sua opera. Altrettanto irrilevante immaginare che possa trattarsi di un espediente nella prospettiva di un impegno futuro. Bianca Censori, nel suo sguardo presumibilmente dolente trascende perfino la sequenza fotografica che la mostrava a Venezia su un taxi intenta forse a praticare sesso orale al suo accompagnatore-padrone. Kanye West lì seduto, i pantaloni abbassati, e lei in ginocchio, sguardo immobile, accanto alla pierre in piedi vestita di nero, gli occhiali da sole quasi a vigilare come una sentinella. Qualcuna potrebbe pensare che il fulcro della presenza spettacolare di Bianca C. sia, ripeto, nell’ostentazione della propria nudità, velata e insieme oggettiva, evidente, e invece nulla di tutto questo, il “punctum” come direbbe Roland Barthes, dell’esistenza stessa, diciamo pure artistica, di Bianca Censori sta in un altrove paradossalmente inattingibile, in un iperuranio che solo illusoriamente può essere ritenuto “erotico” poiché la persona trascende l’eros stesso. Sono arrivato a questa conclusione facendo caso a una sequenza di polaroid che da qualche giorno ne occupano profilo Instagram: Bianca ora in piedi ora seduta in posa velata, la genitalità offuscata, su un fondale assolutamente anodino, che mette insieme le suggestioni dell’antico “autoscatto”, memoria analogica dei cartacei hot di un tempo, e insieme rimanda al lavoro estetizzante di Carlo Mollino, architetto, che ha fatto proprio attraverso l’uso del mezzo fotografico istantaneo un safari dell’osservazione del femminile. Bianca Censori, si sappia, è ormai il ready-made di sé stessa.
