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Perché i filosofi parlano di tutto, ma si tengono lontano dal "fango della realtà"? Cacciari, Galimberti, Ferraris, Braidotti, Fusaro, andate in tv a cercare "l'uomo nella sua verità" o nuovi follower?

  • di Leonardo Caffo Leonardo Caffo

18 giugno 2025

Perché i filosofi parlano di tutto, ma si tengono lontano dal "fango della realtà"? Cacciari, Galimberti, Ferraris, Braidotti, Fusaro, andate in tv a cercare "l'uomo nella sua verità" o nuovi follower?
A Genova Marassi esplode l’ennesima rivolta: uno stupro tra le mura del carcere, poi la rabbia, la disperazione, la violenza. I detenuti gridano, ma i filosofi tacciono. Dove sono oggi i pensatori “impegnati” mentre lo Stato annienta corpi e dignità? Troppo occupati a pontificare su etica e intelligenza artificiale dai loro studi televisivi, lontani anni luce dal fango della realtà

di Leonardo Caffo Leonardo Caffo

Italia: si parla di indulto, di carcere, di punizione. Si parla, ma la gente non sa. Eccoci qui, nel cuore pulsante dell'insostenibile, dove la realtà si scontra con l'immagine patinata che la società borghese si ostina a proiettare di sé. Lo scorso 3 giugno 2025, a Genova Marassi, la rivolta. Un'ennesima violenza sessuale, un orrore ripetuto tra le mura che dovrebbero "rieducare", e poi l'aggressione alle guardie, l'esplosione di una disperazione compressa fino al limite del parossismo. Il garante dice: "La situazione è insostenibile, i loro diritti ignorati". E come potrebbe essere altrimenti, quando il sistema stesso è un meccanismo di annientamento, di deprivazione non solo della libertà fisica ma della dignità più elementare? Chi si sta occupando davvero dei diritti dei detenuti oggi?  Pensiamo a Foucault, a quel Michel Foucault che non era un filosofo da salotto televisivo, non un commentatore onnisciente, ma un pensatore che si sporcava le mani con la concretezza dell'oppressione. Foucault, con la sua insopprimibile curiosità per i margini, per gli "anormali" che la società borghese produce e poi esclude per mantenere la propria illusione di normalità. Fondò riviste con i detenuti, non su di loro; li visitava, li ascoltava, dava loro voce, sapeva che la verità si annida spesso nelle pieghe più scomode della sofferenza umana. La filosofia, quando era filosofia, serviva a questo: a interrogare le strutture di potere, a denudare le violenze nascoste, a dare conto di quelle questioni spinose, complesse, che non si risolvono con un'opinione bonaria in prima serata. Detenuti, reclusi ospedalieri, presunti matti: questi erano i suoi interlocutori privilegiati, perché è nel loro sguardo che si riflette la violenza sistemica che la società "civile" opera quotidianamente.

Il problema atavico delle carceri italiane
Il problema atavico delle carceri italiane foto Ansa

E ora, guardiamo il panorama odierno. I nostri filosofi "famosi", da Cacciari a Ferraris, da Galimberti alla Braidotti o Fusaro, si esibiscono in performance intellettuali di alto livello, dissertando di ogni cosa possibile, dalla geopolitica all'amore liquido, dalla tecnica all'etica dell'Intelligenza Artificiale, ma sempre con una distanza rassicurante dal fango della realtà. Dove sono nelle carceri di Marassi, o di qualsiasi altro luogo di sofferenza? Che cosa dicono sulla violenza sessuale subita da un detenuto e sulla successiva esplosione di rabbia che ne è scaturita? Non scrivono riviste con loro, non si occupano di ciò che potrebbe togliere loro fama o, peggio ancora, portare problemi. La loro filosofia è diventata un passatempo borghese, un intrattenimento colto, un ornamento per le coscienze, anziché una lama affilata per squarciare il velo dell'ideologia dominante. Si discute dell'essere e del nulla, dell'etica e della bioetica, ma si ignora deliberatamente l'inferno quotidiano che si consuma a pochi chilometri dai loro studi televisivi. E se la filosofia è diventata questo, una chiacchiera oziosa, una mera consolazione per gli intellettuali di successo, forse vale la pena richiamare uno che filosofo lo fu davvero, uno che non si curava delle convenienze o delle buone maniere. "Olà uomini" gridò un giorno Diogene, girando con la sua lanterna in pieno giorno, e subito lo circondò una massa; ma egli la percosse col bastone, dicendo: "Uomini chiesi, non merde". Questa brutale franchezza, questa radicale avversione per l'ipocrisia e la falsità, è ciò che manca. Diogene non cercava applausi; cercava l'uomo, l'uomo nella sua nuda, scomoda, forse anche sgradevole verità. E quando trovava solo la massa conformista, la "merda" dell'omologazione, la colpiva, non per violenza fine a sé stessa, ma per scuotere, per mostrare la miseria di un'esistenza priva di autenticità. I fatti di Marassi, l'ennesima violenza, la rabbia che ne scaturisce, sono il sintomo di un sistema che non funziona, di diritti ignorati, di corpi annientati. E la risposta non può essere la semplice repressione, la mera condanna morale dall'alto di un pulpito televisivo. La filosofia dovrebbe essere lì, in mezzo a quel fango, a urlare con i detenuti, a denunciare l'insostenibile, a smascherare le false promesse di "rieducazione" e "recupero" che celano solo punizione e dimenticanza. Se i filosofi si ritirano nelle loro torri d'avorio, lasciando il campo libero a politici e opinionisti, allora la filosofia stessa si svuota di significato, diventa una parola vuota, un mero passatempo. Diogene ci ha mostrato che l'uomo non è una merce, non è un prodotto da consumare, e la sua dignità, anche la più elementare, non è negoziabile. E questa, questa è una verità che i nostri "filosofi" alla moda sembrano aver dimenticato, nel loro bonario chiacchiericcio che si occupa di tutto fuorché dell'insostenibile.

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