“È questa la vita che sognavo da bambino?”. Lo cantava tredici anni fa Jovanotti, nel brano Megamix, contenuto nell’album Ora. Credo che da ieri, dopo la conclusione di quella bizzarra e geniale “cosa” chiamata Festival of the Sun, nel borgo di Casole d’Elsa, in Toscana, la risposta sia indubbiamente sì. Nonostante la sua partecipazione a quella “cosa”, non prendete queste mie parole con senso spregiativo, tutt’altro, è che in natura ancora non esiste una parola adatta a raccontarla, lo abbia visto seduto a cantare, certo accompagnato da quel mezzo genio di Adriano Viterbini, lui, Jovanotti, che due canzoni di fila sedute in vita sua non le aveva mai eseguite, costretto in questa condizione dal lento ritorno alla normalità dopo il brutto incidente avuto in bici a Santo Domingo l’anno scorso, è chiaro che aver preso parte, si immagina molto attiva, alla realizzazione del sogno di Rick Rubin lo abbia indubbiamente fatto sentire bene, molto bene. Come molto bene, si suppone, si saranno sentiti i presenti, muniti di braccialetto che ti consentiva di girare libero per il borgo, fermandoti dove volevi, e a quanto si è evinto dove potevi, perché gli spazi erano da borgo, quindi piccoli e spesso riservati, quindi esclusivi di chi arrivava prima.
Il fatto è che Rick Rubin, produttore multi-Grammy Award, una decina nel suo palmares, quella faccia da santone, la barba lunga, i capelli spettinati, i piedi scalzi, da tempo di stanza anche in Italia, lui che ha base a Long Beach, California, ha avuto una visione, il suo modo di produrre è spesso frutto di visioni, e in questa visione c’era che il borgo vicino a quello dove ha da poco ristrutturato una bella villa, impiegando, ha fatto sapere, quasi due anni solo per scegliere il tono di grigio da applicare alle pareti, Cotorniano il nome del borgo dove ha anche aperto uno studio, doppio dello Shangri-La a Malibu, sarebbe diventata location della festa del solstizio d’estate, seguono dettagli. Questa cosa del “seguono dettagli” può sembrare una boutade, ma in realtà il Festival of the Sun, nome appunto indicato a celebrare il sole, è stato suppergiù presentato così, come un Festival sul Sole, senza specificare cosa volesse dire e chi ci sarebbe stato a fare cosa. La gente, perché di gente ce n’è stata tanta, poi è da capire cosa si intende per tanta, perché ormai ci siamo abituati alla grandeur degli stadi, delle maxi arene, quindi un piccolo borgo con qualche centinaia, migliaia di persone potrebbero anche essere poche, pochissime, non fosse che una bottiglia è piena fino all’orlo sia che contenga due litri di vino da supermercato, sia che contenga mezzo litro di vino d’annata (vale anche il contrario, sia che contenga due litri di vino d’annata o mezzo litro di vino all’etanolo, sia chiaro), ma comunque tanta, e tutta accorsa sulla fiducia. Ora, riporre fiducia in uno che ha lavorato con i più grandi, parlo di star internazionali, è forse giocare facile. Ma andare a prendere a scatola chiusa un prodotto che non sai neanche se è un dolce o un tavolino da giardino, per essere chiari, è un bell’esercizio di fiducia. Fiducia, nel caso di Rick Rubin, ben riposta, certo, ora è facile dirlo, ma anche rischiosa, perché lui è quello che ha prodotto Johnny Cash ma anche Jovanotti, con tutto l’affetto per entrambi. Nei fatti il Festival of the Sun, ormai è finito, si è rivelato il sogno da bambino di Jovanotti, credo, e anche quello di un sacco di altra gente, presente o assente, come chi scrive. Cioè un Festival in versione mignon, con più artisti tra gli spettatori che tra quelli che si sono esibiti, una sorta di festa di una comune dove però al cospetto del guru di turno, Rick Rubin, appunto, è accorsa gente che ha l’ammirazione ben riposta di un pubblico che tributa alla musica la giusta attenzione. Il tutto in una cornice, nelle riviste di viaggio si dice così, decisamente incantevole, con a disposizione location a loro volta piuttosto suggestive, piazze, vicoli, chiese. Così, nonostante rilevanti problemi tecnici, o forse proprio grazie a rilevanti problemi tecnici, Rick Rubin è pur sempre il genio del “togliere”, della “sottrazione”, una delle prime performance è stata quella di James Black, solo voce e piano, le sue diavolerie elettroniche andate in pappa, dentro una chiesa antica, il tutto al cospetto di Thomas e Ethan dei Maneskin, di Levante e di Regine Chassagne e Win Butler degli Arcade Fire. Ospiti in vesti di spettatori, i primi, di performer gli ultimi.
Il tutto è partito, si festeggiava pur sempre il solstizio, con un kirtan di Krishna Das, forse una delle rockstar più seguite tra quante accorse al cospetto di Rubin in Toscana, poi proseguito con lo speech del pard di Rubin in questa iniziativa, evidentemente molto costosa e quindi con necessità di un qualche tycoon che ci abbia buttato su soldi, parlo di Jack Dorsey, ex di Twitter, dove l’induismo ha lasciato spazio a una filosofia vagamente fricchettona e post-accelerazionista, per lui nei Bitcoin c’è un futuro fatto di democrazia e libertà, dice, in soldoni, anzi, in criptosoldoni, ma ha avuto nella performance di piazza di Beth Ditto dei Gossip, in quella dei due Arcade Fire, ma anche nelle performance dance di Dj Cosmo Gonik, nell’esibizione in chiave soul dei Rhye, in quelle classicheggianti della pianista di origini armene Marie Awadis o della violoncellista Lucinda Chua, il tutto mentre in giro si vedevano Veronica e Dario de La Rappresentante di Lista, la loro etichetta, la Woodworm è tra gli organizzatori produttivi del Festival, o Ghali, oltre che Riccardo Scamarcio, spesso a entrare in scena nei set dei vari artisti con delle percussioni. Una cosa, ribadisco, mai vista prima, come tratta da scene tagliate di Io ballo da sola di Bernardo Bertolucci, o dai sogni bagnati di qualsiasi appassionato di musica rock, un festival pronti-via che ha dimostrato come i progetti belli funzionino anche in luoghi raccolti, senza fermate di metropolitana vicine, con pochissimo lancio pubblicitario e ancor meno richiamo sui social. Una sorta di anti-Festival, non fosse che invece i Festival dovrebbero essere proprio questa cosa qui, lo spirito, per dire, del primo Lollapalooza di Perry Farrell era appunto quello di chiamare a raccolta gli amici, per costruire insieme qualcosa di bello che non fosse gestito dal sistema, e sappiamo tutti che fine ha poi fatto quel progetto. Rick Rubin è un visionario. Eccentrico, ricco, ma pur sempre un visionario. Scalzo. Un fricchettone di quelli che se ne sta sempre in calzoni corti, ma che muove milioni e soprattutto se alza il telefono, metaforico, uno come lui ce lo immaginiamo che neanche ce l’abbia il telefono, uno che se alza il telefono e chiama arrivano subito tutti. Jovanotti, a sua volta, è un visionario. Anche lui ricco, fricchettone e tutto il resto. Non si sa che ruolo abbia avuto in questo Festival, a parte tornare a suonare dal vivo qui per la prima volta, ma è chiaro che un ruolo ce l’ha avuto, non fosse altro perché è grazie a lui che ora Rick Rubin sta anche in Italia, e già questo è una cosa che sembra assurda, a pensarci da lucidi. Probabilmente il Festival of the Sun, alla seconda edizione, sarà altra cosa, perché accorreranno, anzi, accorreremo in massa, visto quel che è successo nello scorso weekend, e ovviamente ci sarà la fila sia di artisti che vorranno esibirsi che di artisti che vorranno partecipare come semplici spettatori (come Paolo Nutini, che avrebbe anche voluto cantare, ma aveva un contratto di esclusiva col contiguo La Prima Estate Festival, in Versilia). Una cosa nuova è però nata, e già è tanta roba. A riprova che le grandi arene vanno bene per ritrovarsi in tanti, ma probabilmente non sono esattamente il luogo più adatto a godere della musica, quanto piuttosto dell’esserci e essere parte di una massa di persone, un popolo. Sapere che ci sono realtà come queste, da oggi, rincuora. Anche non essendoci stati e avendo giusto visto qualche video sui social. Come capita quando pensi che da qualche parte c’è qualcuno a cui vuoi bene, poco conta che non lo vedi da tempo, o che addirittura non lo hai mai conosciuto. Speriamo che a ogni solstizio Rick ci regali qualcosa. O meglio, ce lo faccia pagare, magari in criptovalute.