Se stiamo insieme ci sarà un perché, e vorrei scoprirlo stasera. Quando un Riccardo Cocciante ancora nel fiore degli anni intonava questo anomalo ritornello, anomalo perché arrivava dopo una serie che sembrava infinita di strofe, per poi non ripetersi che una manciata di volte, alla faccia dei cliché sanemesi, lì sul palco dell’Ariston durante il Festival della Canzone Italiana, anno del Signore 1991, dall’altra parte dell’Oceano, parlo dell’Oceano Atlantico, e la parola oceano ricorrerà a breve in queste righe. Spoiler, i Jane’s Addiction, band seminale della scena underground americana, stava per chiudere i battenti, almeno nella versione originale. Trainati da un leader eccentrico come Perry Farrell, il papà del Festival itinerante Lollapolooza, di lì a poco alla guida dei Porno for Pyros, e dal chitarrista Dave Navarro, intrisi fino alla punta dei piedi (e dei capelli) di ogni tipo di droghe. La band californiana aveva pubblicato due album ancora ritenuti a ragione fondamentali, per la storia del rock e anche per la nascita del grunge, con quel mix di psichedelia e di hard rock, Nothing’s Shocking e Lo Ritual de lo Habitual. Ma la vita da rocker è complicata, e troppe personalità su uno stesso palco, proprio la storia del rock ce l’ha raccontato centinaia di volte, è assai più complicata di quel che si possa pensare.
Così per poter vedere nuovamente Perry Farrell, Dave Navarro, Stephen Perkins e Eric Avery insieme, tutti insieme, si dovranno aspettare diciassette anni. Una fiammata che durerà dal 2008 al 2010, per poi attendere di nuovo fino a oggi. Quando infatti Perry Farrell, nel mentre impegnato in una carriera solista che non sempre ha dato grandi frutti, o in progetti satellite come i Satellite Party, con Nuno Bettencurt degli Extreme, e Dave Navarro, impegnato a sua volta in solo e con varie realtà, su tutte i Red Hot Chili Peppers dell’album "One Hot Minute", subentrato a John Frusciante in una delle sue tante “uscite dal gruppo”, faranno una pace almeno fittizia, sarà Eric Avery a tenersi alla larga dalla band, impegnato a suonare con chiunque, da Alanis Morrissette ai Garbage, passando per i Nine Inch Nails, Stephen Perkins decisamente più accomodante e meno rissoso. I tanti fan della band, quindi, hanno portato pazienza, molta pazienza, perché i due album di inediti usciti, "Strays" nel 2002 e "The Great Escape Artist" nel 2011, non era esattamente con la formazione originaria, e neanche esattamente musica all’altezza del nome della band. Con le reunion, specie quelle posticce, succede spesso così, del resto. Quando quindi è stato annunciato un tour, e anche un nuovo lavoro di studio, con tutti e quattro gli alfieri della band che ha dato alle stampe quei due capolavori lì, usciti va detto quando il mondo del rock era assalito quotidianamente da capolavori destinati a rimanere nel tempo, non fatemi fare il boomer, i molti hanno, abbiamo, esultato. Perché nonostante l’incedere del tempo dovrebbe averci insegnato che quel che si è rotto si è rotto. E che la faccenda delle crepe aggiustate con l’oro dai giapponesi, come quella del fascino delle cicatrici tanto cara al James Ballard di Crash, è una immane cazzata. L’idea di poter rivivere, almeno per una serata, un’epoca che non solo abbiamo idealizzato, ma spesso neanche abbiamo vissuto in prima persona. L’anagrafe a volte è matrigna e ci ritroviamo a essere fan di band o artisti che non abbiamo visto perché eravamo troppo giovani al momento in cui infiammavano il mondo, o troppo giovani e troppo provinciali, maledizione. O ancora, l’idea di poter sognare che tutta quella merda che ci intasa la testa in questa epoca, e non parlo solo di "Sesso e Samba" e affini, parlo proprio della vita, coi problemi dell’essere adulti, quelli particolari della nostra vita e quelli universali del nostro essere esseri umani, per qualche ora sparisca, così, di botto, è qualcosa cui siamo disposti a aggrapparci con le unghie e coi denti, spendendo anche bei soldini, ma soprattutto affatto disposti a rinunciare a qualcosa che ci sembra quantomai questione di vita o di morte.
Il problema, perché "Houston, abbiamo un problema", è che se uno è una testa di cazzo da giovane, quando sì la droga e il sesso e tutto quello che ruota intorno a chi fa rock può darti alla testa, a volte anche in maniera irreparabile, fare la conta dei morti sarebbe a questo punto il corrispettivo di mettere le foto di polmoni o cavi orali divorati dai tumori dovuti al fumo posti sui pacchetti di sigarette. Ma la gioventù è comunque un’ancora di salvezza. Provateci voi a passare una serata a fare a gara di chi beve più tequila boom boom a cinquantacinque anni, poi mi dite quanto ci mettete a rimettervi in piedi. Il problema, dicevo, è che se uno è una testa di cazzo da giovane, figuriamoci cosa diventa da adulto, quasi da pensionato, con tutti quegli anni di eccessi a gravare sui neuroni. E anche con tutto il rimanente bagaglio di irrigidimento delle proprie posizioni che chiunque abbia il privilegio di crescere si trova a gestire. Un vero casino. Se poi a dover gestire tutto questo è Perry Farrell, non esattamente un personaggio che ha fatto della serenità il proprio mood, e Dave Navarro, uno che non solo ha a lungo transitato nel lato selvaggio della strada, pensatelo giovane e tatuato mentre se la spassa con Carmen Electra strafatto di codeina, recentemente incastrato in un disastroso caso di long Covid che gli ha fatto temere di dover rinunciare non solo a tornare nel gruppo, come già annunciato, ma di poter ancora continuare a fare musica tout-court, zero forze e totale capacità di concentrazione, ecco, se a dover gestire il tutto sono questi due personaggi, hai voglia Eric Avery e Stephen Perkins a mettercela tutta, la mission è davvero di quelle impossible, anche per Tom Cruise. Infatti ecco che, dopo aver dovuto rinunciare alle prime date, finalmente Dave è tornato. I quattro si sono messi a provare un tour mondiale che è poi partito, approfittando anche per scrivere qualche canzone nuova, destinata al primo album dal 1990 con la formazione originale. E stiamo parlando di qualcosa come se i Nirvana potessero tornare insieme, per intendersi, stavo per scrivere i R.E.M., ma Stipe e soci di album ne hanno fatti decisamente di più. Insomma, tutto sembrava finalmente allinearsi, come succede coi pianeti in quelli che non a caso vengono indicati come momenti magici, capaci di generare miracoli. I Jane’s Addiction sono tornati, e sono tornati anche in Italia, a La Prima Estate Festival, a Camaiore, questa estate. Chi scrive non c’è andato, perché a perdere gli attimi giusti sono un campione olimpico, plurimedagliato, ma conto sempre sul futuro, per indole e per autoconvincimento. Poi, però, ieri è successo quel che è successo. Durante un concerto a Boston, durante il quale si festeggiavano i cinquantasette anni di Stephen Perkins, i palloncini sulla batteria stan lì per quello, a un certo punto, mentre la band suonava "Ocean Size", seconda incredibile traccia dell’album di esordio, Perry Farrell si è trovato di fronte il conto di anni e anni di eccesso, e non ha saputo esattamente come affrontarli con lucidità. Nel video che trovate qui si vede bene Perry Farrell che fissa Dave che sta facendo un assolo, poi gli si avvicina, la faccia aggressivissia. Dave gli dice qualcosa, e Perry lo colpisce al viso con una gomitata, prima che arrivino sul palco roadies e assistenti a dividerli.
Perry sembra impazzito, e forse lo è davvero. Prova a aggredire di nuovo Dave, che continua a suonare, perplesso. Poi le luci sul palco si spengono e i due vengono circondati da gente dello staff. La musica si spegne. Qualche minuto e la band, senza Perry Farrell, tornerà sul palco per salutare il pubblico, stranamente ancora entusiasta. O forse giustamente entusiasta, perché questo è quel che ci si dovrebbe aspettare quando una band che si è tanto odiata torna insieme, si presume per soldi, che si menino e si mandino a fare in culo sul palco, come fosse parte dello spettacolo. Anche quando parte dello spettacolo chiaramente non è. Perché questa sembra una vera e propria rissa, o un vero e proprio tentativo di rissa, con Perry Farrell che chissà quali demoni del passato si è trovato di fronte, e Dave che chissà cosa gli deve aver detto per farlo scattare così. Da tossici o ex tossici quali sono, magari, è stata tutta una faccenda di fraintendimenti, di vecchi rancori dovuti a cose lontane, o di veri e propri abbagli. Resta che presumibilmente i Jane’s Addiction potrebbero non tornare più a suonare insieme. O se ci torneranno sarà chiaro che il danaro avrà avuto la meglio sulla passione, perché mettere da parte tutto questo, sulla carta, è davvero complicato. Resta una rara immagine di rock ‘n’ roll in questi anni fatti di pose e di autotune. E confessiamocelo, quanto vorremmo tutti mandare a cagare qualcuno con lo stesso impeto con cui Perry ha aggredito di fronte al mondo intero, perché oggi fare una cosa a Boston significa comunque farla di fronte al mondo dei social, faccia brutta e pugno alzato. A questo punto tocca davvero provare a comprarsi il biglietto degli Oasis, perché se tanto mi da tanto ci sarà davvero da divertirsi.