Nessuno tocchi lucignolo. «L’alunna, dal primo mese di scuola fino al termine delle lezioni, ha visto incrementare le proprie conoscenze e migliorare i propri voti». Sono le parole della sentenza del Tar che hanno permesso a una ragazza di passare all’anno successivo nonostante i suoi docenti avessero considerato la sua preparazione insufficiente in sei diverse materie. Insomma, l’importante è partecipare. A quanto pare si può premiare ugualmente una studentessa impreparata per il solo fatto di averci provato. Questa la sentenza dei giudici. Peccato che la stessa logica non si applichi ai suoi professori. A detta del tribunale i docenti non avrebbero messo a disposizione della ragazza i «sistemi di ausilio e di supporto per il recupero». Insomma, per loro non conta soltanto partecipare. Loro dovevano vincere, lei no. Lei può superare l’anno senza avere neanche le basi di sei materie, loro hanno invece perso. La responsabilità è la loro, hanno fallito.
È chiaro per i giudici, è chiaro anche per molti genitori e per fin troppi alfieri della cosiddetta “scuola democratica”. Inutile ricordare che, plausibilmente, quegli stessi docenti, ogni anno, sembrano vincere con altri diciannove, venti ragazzi (se hanno una sola classe da gestire; ma sappiamo che non è così). Insomma, parrebbe quasi ce l’avessero con la povera sfortunata. Oppure avevano in classe diciannove geni e un’unica studentessa da aiutare a crescere? Non torna anche un’altra cosa: secondo i giudici la studentessa avrebbe dimostrato dei notevoli progressi nel corso dell’anno. Ma quindi i docenti l’hanno aiutata o no? Sono domande che, purtroppo, siamo costretti a porci per via di una sentenza che gioca con l’assurdo, finendo per fare innervosire anche il più tollerante degli amanti dello studio «matto e disperatissimo» di Giacomo Leopardi.
Non solo il più tollerante, a pensarci bene, ma anche il più democratico. Perché una promozione del genere non può che far male a quella ragazza, a qualsiasi ragazzo impreparato, a qualsiasi cittadino del futuro; dunque, alla nostra democrazia. Per far luce sulla questione Paola Mastrocola e Luca Ricolfi hanno scritto un libro, Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza (La Nave di Teseo), dove non ci sono solo dati ma aneddoti, storie, esperienza di prima mano. Ma a cosa vuoi che serva un libro, se quello che si chiede è che i ragazzi superino gli scogli non affrontandoli, ma nuotando a largo. A cosa vuoi che serva un libro che rischia di farti andare a fondo e scoprire un ecosistema ben più complesso e duro di quello inculcato dalla narrazione di comodo che mira a semplificare tutto, a partire dal modo di ottenere dei buoni risultati a scuola. A che serve ricordare quanto scrive Mastrocola, ricordando dei suoi anni da studentessa: «Non ricordo perché studiassimo. Ma ricordo che lo facevamo tutti, chi più chi meno, chi con risultati buoni e chi no. […] Credo che pensassimo che andare a scuola equivaleva a studiare. Era proprio un’equazione perfetta, con tanto di segno uguale. Se no, cosa andavamo a scuola a fare? Forse studiavamo per una ragione ancora più semplice: se non studiavamo non passavamo l’anno e i genitori ci dicevano che ci avrebbero mandati a lavorare». Il termine “democrazia” è oggi tra i più fraintesi. C’è chi crede che sia la dittatura della maggioranza e chi invece la dittatura delle minoranze in consorzio. Ma democrazia è esattamente quanto raccontato da Mastrocola: la possibilità di studiare e, se non studi, di essere mandato a lavorare. È cioè, la possibilità di un’alternativa a qualcosa che viene considerato peggio. Democrazia significa poter scegliere il meglio o, per essere realistici, il “meglio per ora”.
Siamo sicuri che promuovere una ragazza facendole evitare un altro anno pur di continuare ad andare avanti sia fare il suo bene? Davvero è così superfluo sapere ciò che quella ragazza non ha saputo? Davvero si può sopravvivere di avanzi? Perché è quello che accadrà. Questa ragazza dovrà essere bocciata prima o poi, altrimenti non potrà che vivere di bocconi smangiucchiati da altri, magari una ragazza più grande che le farà ripetizioni, magari una donna fin troppo buona. Bocconi che le permetteranno di superare con fatica gli anni davvero difficili (che non sono le medie), quando avrebbe potuto continuare ad allenarsi con lo studio e la fatica al momento giusto, per poi avere il cervello e il fisico pronti per le superiori? Per i giudici, che per essere dove sono avranno sicuramente dovuto studiare e sacrificare molto, no. È chiaro che la scelta di promuoverla è la bandiera bianca di un sistema ormai convinto di poter risolvere i problemi negandoli.