Idolo dei flâneur dei social, amato dai cinefili di nuova generazione, antesignano dei critici polemici 2.0 Truffaut torna in libreria grazie alla nuova edizione del libro di Paola Malanga ‘Tutto il cinema di Truffaut’ edito da Baldini+Castoldi. Abbiamo incontrato Paolo Mereghetti per parlare di questo e dello stato del cinema in generale. Chi non ha letto le sue mirabili recensioni sicuramente avrà visto (come non notarlo?) in libreria il suo Dizionario del Cinema ‘Il Mereghetti’, che prima di internet (dal 1993) ma anche oggi, rimane con le sue migliaia di schede il punto di riferimento per noi aficionados della settima arte. Paola Malanga ha collaborato per anni a Il Mereghetti e Paolo, dal canto suo, ha ricambiato con una prefazione per parlare dell’immenso lavoro (720 pagine) di cui è composto il libro. “È un saggio ben fatto, una analisi completa e grazie al tempo passato dalla sua morte (dodici anni dalla prima edizione e quasi quaranta da questa uscita) permette a Paola Malanga di prendere la giusta distanza mantenendo, al contempo, un certo grado di empatia con Truffaut” ci racconta Mereghetti, e ancora “Truffaut ha avuto la fortuna di vivere in un momento particolarmente esplosivo per il cinema, è diventato grande alla fine degli anni ‘50 quando in Francia stava nascendo un nuovo modo di approcciarsi a quest’arte. Il patrigno artistico era André Bazin, uno dei più grandi critici francesi nonché fondatore di Cahiers du Cinéma, che accompagnò il regista de I 400 colpi nel suo amore per il cinema. Erano anni in cui i colleghi di redazione si chiamavano Jean-Luc Godard, Eric Rohmer, Jacques Rivette, un mondo unico e irripetibile. I giovani critici (i giovani turchi) non facevano sconti a nessuno, volevano tagliare teste, fare i critici guardando al cinema con un occhio particolare e Paola ha colto quell’atmosfera e l’ha saputa raccontare al meglio. Oggi non è più così, non c’è più euforia, entusiasmo o la partecipazione che c’era in passato. Erano gli anni della Nouvelle Vague francese come svedese, brasiliana o cecoslovacca. Da noi, in Italia, avevamo Federico Fellini, Luchino Visconti, Michelangelo Antonioni, Roberto Rossellini. Bernardo Bertolucci era l’erede della Nouvelle Vague francese, ma impiegò un po’ di tempo prima di esplodere nella sua bravura, così come Marco Bellocchio che lo ha fatto con rabbia, più politico e meno interessato al cinema fine a sé stesso. La Francia, invece, criticava il cinema dei ‘padri’, visto come reazionario”.
Per chi scrive qui, Truffaut è sempre stato apolitico, meno interessato alle questioni scottanti in campo politico rispetto ai critici che militavano a Positif. Paolo Mereghetti, però, ci ricorda che François Truffaut firmò l’appello dei 121 contro la guerra d’Algeria diversamente da Rohmer o Godard. Ripensando alla vis polemica di Truffaut e degli altri giovani turchi chiedo a Paolo se ci siamo piegati, come critici, a troppi compromessi, venduti agli uffici stampa, alla politica delle simpatie, se -chi più e chi meno- risultiamo sul libro paga delle case di produzioni etc. Il critico de Il Corriere della Sera decide di difendere la categoria dei critici ricordandoci che benché non esistano in Italia l’equivalente dei Cahiers o di Positif, ci sono giovani critici e webzine che meritano di essere lette come Filmidee, Sentieri Selvaggi, Coming Soon e Mymovies: “Certo, non tutti i critici sono uguali” continua lui “l’autorevolezza di un critico non dipende dalla testata per cui scrive, dalle parole roboanti che usa, ma nasce dalla credibilità della persona; se qualcuno ha qualcosa da dire avrà inevitabilmente un seguito. Ci sono anche situazioni che sembrano cassa di risonanza degli uffici stampa che fanno, semplicemente, il loro mestiere, ci vorrebbe un mondo della comunicazione più attivo e indipendente, che trovasse dei modi diversi di autofinanziarsi che non dipenda dai banner pubblicitari. Bisogna aiutare i giovani a conoscere il cinema, vada non conoscere Friedrich Murnau ma neanche Federico Fellini? Come se la gente non andasse a ritroso oltre Blade Runner. Ci ho fatto un dizionario sopra. Il libro di Paola affronta i film di Truffaut in questo modo, cronologico, attento, bisognerebbe, forse, conoscerlo tutto il cinema. Quando ero giovane mi prendevo una settimana sabbatica prima di riprendere le lezioni, andavo a Parigi e vedevo 5/6 film al giorno perché solo così conosci e impari. Il film non si riduce al video di due minuti su Youtube, è uno dei problemi più tragici e deleteri di quest’epoca, si vede la scena della scalinata della Corazzata e ai giovani basta, invece una scena prende forza dall’interezza del film stesso”.
Siamo in prossimità della Berlinale e condivido con lui la mia perplessità su quanti pochi film italiani si vedano nel circuito festivaliero, esclusa Cannes e la sopracitata Berlino. Per Paolo Mereghetti i costi per andare ai festival sono ingenti per un produttore, ecco perché il cinema italiano punta tutto su Venezia, e ancora: “A Venezia facciamo meno fatica, il cinema che ha qualche ambizione si riversa su Cannes che prima della pandemia favoriva maggiormente la conoscenza all’estero dei nostri film e Berlino, d’altra parte, aveva guadagnato un po’ di forza attraverso il mercato. Quest’anno la Berlinale ha ridotto la sua durata da 10 a 6 giorni per via della pandemia. Il problema, a mio avviso, è che il nostro paese deve convincersi che il cinema ha bisogno di supporto, che il cinema è importante. Se pensiamo a Spider Man: No Way Home a parità di popolazione in Francia ha guadagnato doppio al botteghino, lì ti accorgi che qualcosa non va. In Francia hanno investito sulla cultura, di conseguenza sul cinema e il pubblico è molto più attento del nostro. Hanno un modo diverso di approcciarsi alla cultura, non possiamo cambiare la situazione in due minuti, ma c’è bisogno di un investimento a lungo termine, ma in Italia oggi si pensa alla prossima elezione o agli interessi personali. Tutto il cinema di Truffaut, di Paola Malanga, ci ricorda di un tempo in cui persone come il regista de L’uomo che amava le donne riusciva a trasmettere una passione grandissima, che fosse in sotto-forma di recensione o di film. La forma è importante ma se dietro non c’è un cuore che batte non serve a nulla, stanca. Truffaut da questo punto di vista non era solo l’uomo che amava le donne, ma anche la vita le sue passioni, si sentiva quando filmava e quando scriveva. Quando prendeva posizione non lo faceva solo per il gusto della polemica, ma c’era una passione autentica che sta scomparendo”.
Al caro Paolo, alle ultime battute del nostro incontro in diretta social, condivido lo spaesamento provato leggendo il libro sull’immensa solitudine di Truffaut, sulla sua famiglia disfunzionale e del suo rapporto con la sala cinematografica, quasi come una incubatrice come per il piccolo protagonista de Il lungo giorno finisce di Terence Davies, ma per lui Truffaut vede la sala in modo diverso e non come ‘protezione o difesa, Truffaut trova i sogni al cinema che non ritrova nella vita. Il cinema è una finestra aperta sul mondo, un modo in cui imparare ad affrontare la realtà. Lui, attraverso i suoi film, come Nanni Moretti ha raccontato sé stesso, ma con una disponibilità rara: i suoi personaggi affrontano la vita con una energia diversa da Moretti che pare sofferente, schiacciato dalle sue stesse ambizioni molto alte. François Truffaut accetta i propri limiti, gli errori, ha più comprensione verso sé stesso e il mondo, ed è per questo che oggi lo amiamo ancora moltissimo’. E così sia.