“Quando sento qualche giovane attivista che dice che negli ultimi quarant’anni non è cambiato niente, mi salta la mosca al naso”: sono all’incirca queste le parole con cui Franco Grillini – verso la fine di Let’s Kiss, documentario-monumento dedicatogli da Filippo Vendemmiati, presentato l’altra sera al Cinema Anteo di Milano – liquida il qualunquismo di chi glissa sui traguardi raggiunti dal movimento LGBT+ nostrano, crogiolandosi nel mito dell’immobilismo italico.
Certo, alcune dinamiche rimangono sempre le stesse: i moti d’orgoglio, in Italia ma non solo, devono essere sollecitati da momenti di sdegno cocente. Come la pubblicazione sulla Stampa, il 15 aprile 1971, di un articolo con un titolo di ordinario pietismo, L’infelice che ama la propria immagine, che indusse Angelo Pezzana e un gruppo di omosessuali torinesi ad organizzarsi in quello che si sarebbe costituito come Fuori!, prima associazione gay in Italia.
Oppure come l’omicidio di Salvatore Pappalardo, reo soltanto di cercare un’avventura nel parco di Monte Caprino, a due passi dal Campidoglio: la sua morte, il 24 aprile 1982, fu da sprone perché i gruppi gay romani preesistenti, superando le differenze ideologiche, si amalgamassero in quello che sarebbe diventato il Circolo “Mario Mieli”, tuttora punto di riferimento della comunità LGBT+ romana. O ancora, molto più recentemente, come la bocciatura in senato del DDL Zan lo scorso 27 ottobre: nell’arco di ventiquattr’ore, migliaia di persone si sono aggregate presso l’Arco della Pace di Milano, giusto per citare una città, per protestare contro l’affossamento del disegno di legge e contro l’incivile esultanza dei suoi detrattori.
Nonostante le batoste e le umiliazioni che il movimento LGBT+ (o quello che per praticità viene definito tale) continua a subire, ciò che Grillini afferma è incontestabile: qualcosa è proprio cambiato, soprattutto nella mentalità degli italiani. Delle persone gay, lesbiche, bisessuali e transgender in primis, ma anche di quelli che un tempo si sarebbero chiamati “normali”, e che ora vengono arruolati come “alleati”. Questo cambiamento è certo avvenuto grazie alla visibilità degli attivisti, ma anche grazie alla cultura in tutte le sue forme. Non è un caso se l’avventura del Cassero di Bologna – la sede ottenuta quarant’anni or sono dal Circolo di Cultura Omosessuale 28 giugno, dopo un serrato confronto con la municipalità – è iniziata con la creazione di una biblioteca, oggi denominata Centro di documentazione “Flavia Madaschi”.
A raccontarlo è lo stesso Grillini – che proprio nell’82 ha “officiato” un liberatorio coming out, debuttando nella militanza gay presso il Cassero – all’interno del documentario di cui sopra, Let’s Kiss. Il film di Vendemmiati diventa così virtualmente l’ultima acquisizione di tale biblioteca. I maligni (ma del resto un po’ di malignità era, e forse è ancora, un prerequisito per accedere all'attivismo gay) hanno detto che in Let’s Kiss c’è solo e soltanto Grillini, con gli altri militanti ridotti al rango di oscure comparse.
È vero, ma per riempire un documentario di 85 minuti Grillini basta e avanza, perché la sua vita è fatta di capitoli macroscopici: la militanza nel PDUP, le imprese del Cassero, la leadership in Arcigay nazionale, la lotta contro l’AIDS, gli otto anni da deputato (2001-2008) e, infine, la battaglia contro il mieloma con cui convive da più di dieci anni. La malattia ha cambiato molto il suo aspetto, ma non la sua energia e – soprattutto – non la sua voce. Quest’ultima accompagna tutto il film, dopo essere stata arma di persuasione negli inesauribili dibattiti (con amici e nemici) in cui si è sempre gettato a capofitto, certo di vincere “per sfinimento”, alternando battute popolaresche a dissertazioni progettuali con orizzonti sempre più ampi e quasi futuristici.
A risarcire quei militanti che hanno accompagnato o preceduto il suo percorso devono provvedere altre iniziative (come la mostra per i quarant’anni del Cassero o il podcast Le radici dell’orgoglio). Né, a onor del vero, tali militanti mi sono sembrati offesi dalla “canonizzazione” di Grillini: molti dei “superstiti”, tra quanti si vedevano nelle immagini di repertorio, erano in sala, all’Anteo, ben felici di applaudire il loro amico; penso che così sia stato (e sarà) anche nelle altre città dove Let’s Kiss è in programmazione. Lungi dall’essere un esercizio di trionfalismo, il docufilm è uno spunto – tra i tanti possibili – per festeggiare (o accorgersi) di numerose vittorie condivise. Per piccole che possano sembrare... agli ingrati.