Tutti più realisti del re, ieri a Milano. Alla fine Quentin Tarantino è stato il più disponibile, ha dato l’idea che avrebbe anche parlato volentieri – “Am I supposed to talk?” è stata l’unica cosa che ha chiesto, smarrito –, ma il codazzo di assistenti, guardaspalle, figure di spicco di varia risma, invitati speciali che si è trovato attorno si è rivelato un guscio protettivo alquanto scomodo. Non sapremo mai se Tarantino avrebbe, per sua scelta, detto qualche frase per dare un senso all’incontro; di certo la cortina umana che lo ha scortato, avvolto e isolato è parsa particolarmente apprensiva e impermeabile.
Forse lui è abituato a momenti in cui tensione e solennità tendono a convergere – immaginate Papa Francesco in visita alla Moschea Blu di Istanbul, tipo –, ma il pomeriggio vissuto all’interno della scintillante nuova Mondadori in piazza Duomo a Milano è stato, per i più, un’esperienza svilente. A Milano c’era la gente (tanta), i giornalisti (un bel numero), i fotografi (un bel numero parte seconda, solo che loro erano anche più ingombranti, con l’attrezzatura e tutto quanto). Tuttavia a uscirne probabilmente soddisfatto è stato solo quello zoccolo duro di fan che, tra la fila fatta per acquistare il libro (era tassativo accaparrarsi “Cinema speculation”, La nave di Teseo, a partire dal 23 marzo scorso, solo alla nuova Mondadori in Duomo) e quella per farsi firmare la copia del medesimo, si è trangugiato dalle 6 alle 10 ore complessive di attesa.
La fregatura, pressoché totale, l’hanno invece presa gli addetti ai lavori, che hanno abboccato all’invito de La nave di Teseo già dai primi giorni dello scorso marzo: “L’autore sarà a Milano per un evento speciale della XXIV edizione della Milanesiana, ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi, dove Tarantino dialogherà con Antonio Monda e "incontrerà i lettori". I lettori, sì, li ha incontrati, sebbene assistito da una sorta di uomo-francobollo, un energumeno uscito da qualche curva della League One inglese, che quando Tarantino era sul punto di imprimere l’ultimo tratto nero della propria firma sul libro spalancato dei fan in adorazione, intimava loro di levarsi dalle palle alla velocità di Flash. Guai a sostare qualche attimo in più nei pressi del luogo dove lo sfiancato ammiratore aveva appena stretto la mano al proprio idolo. Cose fantozziane, ma calate in un ambiente stylish, luminoso e ben curato e quindi di colpo, in apparenza, meno fantozziane.
Quello che è mancato, creando un cratere nelle pagine word dei giornalisti presenti, è stato l’annunciato dialogo. Nulla. Dopo essere stati collocati (in piedi e schiacciati) in piccionaia, il nulla. Giusto qualche parola d’introduzione, secca e tesa (il trend era quello), da parte di Elisabetta Sgarbi, che ha donato a un Tarantino sempre mascherato (l’unico a proteggersi in mezzo a mezza Milano) una creazione artistica che temiamo possa fare la fine, una volta atterrata a Hollywood, di un pregiato sottobicchiere. Poi un apprezzamento da parte di Monda, romanziere e saggista, colui che avrebbe dovuto intrattenersi con San Quentin (sì, ci siamo sentiti un po’ in prigione, quindi ci sta il “San”).
Riemerge quindi che il prossimo film sarà probabilmente l’ultimo. Aggiungiamo – lo abbiamo ufficialmente appreso dalle cronache bresciane (Tarantino, il giorno prima, era a Brescia), ma i fan già lo sapevano – che il film riguarderà il mondo della critica cinematografica. Meno male che sempre Sgarbi, nella sua intro, ha letto le parole di un illuminato Alberto Pezzotta, bravissimo a cogliere, senza dilungarsi, le ragioni per cui è doveroso che Milano, nel 2023, premi Tarantino (“I film di Tarantino hanno rivoluzionato la storia della settima arte mescolando alto e basso, saccheggiando autori di tutto il mondo e tutti i tempi, perché i grandi artisti – come ha detto qualcuno – non copiano, rubano. E rubano per costruire qualcosa che non si era mai visto prima”).
Meno male anche che noi, di “Cinema speculation”, splendido saggio in cui il cineasta di Knoxville ha indagato, selvaggiamente e ironicamente, i film che lo hanno formato, avevamo già parlato in anteprima lo scorso gennaio. È un tomo, istruttivo e divertente, che avrebbe meritato un’ulteriore “speculation” per saziare la curiosità dei tanti giornalisti accorsi o quella, ad esempio, di Nina Zilli, la più vistosa fra gli invitati seduti, proprio davanti a Tarantino, nella zona riservata (perché in uno spazio così sacrificato, ebbene sì, c’era anche la zona vip). Quando ce ne siamo andati con il contentino di un tarantiniano autografo, il servizio d’ordine – occhio e croce, fosse stato ospite Putin, avremmo contato meno uomini con gli auricolari o con i gilet gialli della security – ci ha pure detto di liberare velocemente (eravamo in due, distanti 20 metri l’uno dall’altro) il corridoio che conduceva all’uscita. Leggete “Cinema speculation” (di cui sempre Pezzotta è stato impeccabile traduttore). Già tre edizioni italiane, 28.000 copie finora distribuite. È l’unica cosa che conta davvero. Ieri, per aggiustare tutto il resto, ci sarebbe voluto Mr. Wolf.