Intendiamoci subito: anche solo pensare di paragonare Raffaella Carrà alle "icone" dei nostri sciagurati tempi è impresa volgare, sgraziata, fallimentare fin dal principio. Di Pelloni ne nasce una su un milione e non in ogni generazione. Lo racconta benissimo Raffa, il documentario in tre puntate a lei dedicato, finalmente approdato su Dinsey Plus. Chi più, chi meno, la abbiamo vissuta tutti. Dai fasti di Canzonissima con quello scandaloso ombelico di fuori, mai visto prima in tv, agli anni Novanta in cui si trasforma in rassicurante padrona di casa con il vizio per le "carrambate". Che sia (stata) un fenomeno musicale, spettacolare, ma soprattutto sociale e culturale lo dimostrano gli occhi lucidi di chi di lei parla ancora oggi, anche in questo doc. Da Fiorello a Tiziano Ferro, passando per lo stylist Nick Cerioni, tutti le tributano parole che arrivano per forza dal cuore. "Ciuri" ricorda come da ragazzino fosse felicissimo di vederla comparire in tv perché "era la gioia di tutti noi ingrifati, a quei tempi non era facile vedere così tanto di una donna". Altri, invece, la rammentano per la sopraffina leggerezza con cui non li ha fatti sentire soli, andando a canticchiare nella Rai di fina anni Settanta del bell'Andrea che la molla per "un ragazzo biondo" e "poi chissà". Raffaella Carrà è lo choc, il reset culturale garbato e ballabilissimo di cui ci sarebbe disperato bisogno anche oggi, con buona pace dei nuovi bigotti(smi). E delle sedicenti "icone" di cui tocca accontentarci.
Con Raffa, finalmente, Carrà ottiene il momumento che merita da sempre e che la Rai ancora oggi stenta a dedicarle, salvo qualche sparuto tributo in trasmissioni più o meno rilevanti. È abbastanza? No. Ma questa è un'altra storia. La storia di Raffaella Pelloni, invece, sembra un film di cui lei è protagonista, regista, sceneggiatrice. In una parola, tutto. "Detesto truccarmi e lo eviterei se potessi, purtroppo però sono brutta e quindi non posso farne a meno". Quale altra diva (o divetta) ammetterebbe mai una cosa del genere in tv, ma pure nel segreto delle proprie mura di casa? Azzardiamo: nessuna. Come nessuna, a 20 anni, si permetterebbe di dare il benservito a Hollywood che la accoglie con Frank Sinatra e villone extra-lusso "perché non voglio continuare a fare il ruolo della fidanzata del capo, me ne torno in Italia". Se ne torna in Italia e passeranno anni prima che la Rai si decida a darle uno straccio di possibilità: tre minuti di balletto in una trasmissione di prima serata. Tre minuti "in cui però faccio quello che voglio io", questa la condizione. Lo fa. E quei 90 secondi diventano il suo biglietto di sola andata per Canzonissima e per tutto il successo che sarà da lì in poi.
Seguendola muoversi, evolversi, cambiare e scandalizzare nel corso degli anni, stupisce un dettaglio mica troppo marginale: Carrà non ha mai fatto un predicozzo che fosse uno. Ha "semplicmente" continuato a ballare, pure lo sfrontatissimo e inaccettabile Tuca Tuca, col sorriso sulle labbra, come se stesse facendo la cosa più innocente del mondo e non una vera e propria rivoluzione culturale che avrebbe cambiato non solo la tv per come era stata fino a quel momento, ma anche la mentalità dei telespettatori. Il solo concetto che le donne potessero iniziare a fare l'amore, anzi, che avessero voglia di farlo, era impensabile per il nostro bigottissimo Paese negli anni Settanta. Figuriamoci se poteva essere contemplata la mera esistenza degli omosessuali. Carrà di questi unicorni, di queste creature leggendarie cantava ogni sera in prima serata sulla Rai, facendo ancheggiare tutti dai vescovi alle casalinghe, fino ai severissimi mariti, ai loro bambini che, inevitabilmente, sono cresciuti un po' più liberi, con la consapevolezza che ci fosse altro rispetto al polveroso ordine prestabilito e imposto dagli adulti bacchettoni da cui venivano educati.
L'Italia non la tratta sempre bene, la Spagna la adotta, Carrà non diventerà, con scorno, mai mamma ma si renderà presto conto di avere milioni di figli adoranti in giro per il mondo. Guardando un documentario su un'icona del passato, si scoprono particolari magari inediti, spesso si cova l'impressione che la narrazione sia stata un po' gonfiata ad hoc, per rendere la storia più spettacolare. Con Raffa, questo rischio non si corre, non viene percepito mai. Perché lei non è un'icona del passato, ma un'icona ancora oggi. E pure domani.
Altrimenti, durante la visione, non verrebbe voglia di indossare tutine attillatissime e tempestate di strass per andare a fare la spesa o ritirare la posta. Carrà è capace, adesso come ieri, di sprigionare una forza emulatrice che non appartiene a nessun'altra all'infuori di lei. Fa sentire liberi, fa pensare che "non importa", trascina in un universo in cui il resto davvero scompare. Non ce ne vogliano le "nostre" Elodie e Annalisa, ma "Raffa" rimette le cose al loro posto, ridefinisce gli standard e impone di utilizzare la parola "icona" con molta più parsimonia rispetto a come si è soliti fare oggidì. Non basta uno shooting sulla boccaccia di tutti, nemmeno fare le femministe, le artiste, le Xena Principesse Guerriere della comunità rainbow. Tocca proprio esserlo. Raffaella Carrà non è mai stata l'eco di qualcos'altro che non fosse se stessa. E lo è stata con fatica, impegno, studio maniacale per le arti dello spettacolo, gentilezza e spirito incendiario in un mix inimitabile, inarrivabile e inarrivato. Ce ne fossero, non ce ne sono. Elodie e compagnia possono solo contare i fagioli sperando nella fortuna di potersi ritrovare un giorno o l'altro pronte, Raffaella.