Rita Pavone è stata punk prima ancora che esistesse il punk: “Non so leggere una nota, faccio tutto a orecchio. Ma ho lavorato con i più grandi musicisti americani. E canto ancora da dio”. Con La partita di pallone o Il ballo del mattone ha riscattato una bellezza femminile meno patinata, e persino Umberto Eco l'ha analizza in Apocalittici e Integrati per interrogarsi, nella metà degli anni ‘60, su divismo, tecnologia, contrapposizione tra musica alta e bassa. E ha provato a darsi una risposta al perché tutti andassero pazzi per lei: “Questa ragazza che camminava verso il pubblico con l’aria di domandare un gelato, e le uscivano di bocca parole di passione”. Poi una lunga carriera, dove non le è mancato niente, dal cinema al teatro, con riconoscimenti anche e soprattutto all’estero, tanto da arrivare a vendere 50 milioni di dischi. Ha sposato Teddy Reno, divorziato e di 19 anni più grande di lei, e ha fatto scandalo in tempi dove le conseguenze erano più forti di qualche polemica social: "Ora ha 99 anni, ci capiamo senza parole". Adesso è tornata con Gemma e le altre (La Nave di Teseo), libro nato da un concept album del 1989, ignorato dalle radio e dalle tv perché parlava di amori diversi, frustrazione e fierezza femminile: “All’epoca era inaccettabile. Oggi invece è tutto sdoganato. Ma il tempo è galantuomo: quel disco è risorto da solo”. Intanto Rita non si è mai fermata, perché anche dopo un breve ritiro è ripartita più in forma che mai: “A quasi 80 anni (il prossimo 23 agosto, nda) mi sento una 35enne. Se non passo davanti a uno specchio, non me ne accorgo”. Ma, soprattutto, non ha perso la voglia di rischiare: “A Sanremo ci sono ragazze che nei duetti cantano divinamente e poi si arrendono alle canzoncine. Nessuno le fa crescere. Se hai 30 anni, non puoi fare finta di averne ancora 17”. E anche sulle case discografiche è tranchant: “Non ti aiutano. Ti danno una hit ma dura tre mesi”. Altro che nostalgia: Rita Pavone è ancora una mina pronta ad esplodere, come qui su MOW.

Rita sei tornata alla grande: un libro, un disco, la tv (a Ora o mai più), tanti progetti…
Sto bene, sono molto felice per quello che sta accadendo, perché è stata un'avventura pazzesca questa del libro. Io non sono nata per fare la scrittrice, o almeno credevo così, invece si sta rivelando qualcosa di veramente interessante. Ed è nata per combinazione: negli ultimi anni mi capitava di fare interviste e mi chiedevano: “Ma quel disco bellissimo, Gemma, perché non lo ripropone nei suoi spettacoli?”. Io rispondevo: “Ma perché lo conoscono in pochi, solo i grandi fan scatenati”. “Lo dovrebbe riproporre, è talmente bello: belle musiche, bei testi…”. Allora ho messo nei live tre o quattro pezzi e ho scoperto che c'era una risposta bellissima. Poi una sera, durante la Milanesiana con Elisabetta Sgarbi, lei mi chiese: “Ma questi testi, queste canzoni, sono tuoi?”. Dico: “Sì”. “Hai ancora quel disco?”. "Ce l’ho”. Gliel’ho mandato. E dopo lei mi telefona: “Ma questi testi sono preziosi. Devi creare dei personaggi”.
E da lì è nato il libro.
Io sono rimasta così… mi si è rotto il respiro in gola. Poi mi sono detta: “Rita mia, tu hai fatto nella vita tante cose che non credevi di essere capace di fare. Hai fatto il teatro classico con Franco Branciaroli nella Dodicesima notte… ton tutti nomi importanti del teatro, e lui mi ha dato una tale fiducia. Mi disse: ‘Maria la farai bene, nel ruolo starai alla grande’. E così è stato. Ho avuto recensioni bellissime. Il fatto è che se qualcuno mi dà fiducia, io cavalco la tigre!
Il disco nel 1989 era troppo avanti per quei tempi, anche parlando di omosessualità?
Sì, erano tempi non sospetti. E oggi forse di questi problemi se ne parla anche fin troppo. All’epoca era un viaggio nell’universo femminile, in tutte le sue sfaccettature, declinazioni, accezioni… e mi sembrava una cosa molto bella. Ho fatto questo viaggio e ho avuto delle recensioni meravigliose da parte dei critici musicali: “Una nuova Rita”, “Una riscoperta”… Ma il disco non passava mai per radio. Forse perché il tema trainante era Gemma, questo amore diverso dai canoni. Era inammissibile parlare di frustrazione e rivalsa femminile. Il disco è scomparso nel nulla. Io l’ho dato per morto, poi invece è tornato fuori da solo, è riemerso. Così abbiamo deciso di rimasterizzarlo e di rimetterlo fuori in Cd e vinile. Il libro, invece, mi ha dato modo di creare questi personaggi. Alcuni sono stati davvero difficili. Sua Maestà l’Amore… noi non conosciamo che cos’è davvero l’amore. L’amore è un ectoplasma: siamo innamorati, sì, ma dell’altra persona, non dell’amore in sé. Allora individuare, creare questo personaggio è stato il più difficile, devo dire. Tanto che ho cominciato a dormire col telefonino vicino al letto per annotare le idee appena sceglia. Alla fine è venuta fuori una cosa divertentissima. Sono molto felice e molto grata a Elisabetta Sgarbi per aver tirato fuori una parte di me che non conoscevo. Le recensioni stanno uscendo e sono molto positive.

Questo dimostra che non sempre i discografici ci vedono così lungo...
Probabilmente sì. Infatti io avevo autoprodotto quel disco, anche tutta la grafica. L’aveva messo in circolazione la Ricordi, se ben ricordo. Ma la difficoltà era proprio quella: se metti in circolazione materiali da sola, non ti appoggia nessuno, lavori per conto tuo. C’era ancora questa immagine di Rita Pavone sempre legata a Gian Burrasca. Non è così, signori miei! Fate un giro nella mia discografia: ho fatto cinque album per la Rca Victor, sono entrata nelle classifiche americane, in quelle inglesi, francesi, spagnole, tedesche… prima dei Beatles! So che sono alta un metro e cinquantatré, però non potevo e non volevo fare per sempre la ragazzina. Sono diventata donna, ho dei figli, e come tale dimostro un’anima diversa. Qualcuno ci ha creduto. Qualcun altro no. E poi ormai la discografia appartiene a tre grandi case. Non c’è più voglia di creare un artista, farlo crescere. Oggi si vive di canzoncine estive. E se proponi qualcosa di interessante, trovi solo ostacoli. Però nella vita bisogna provarci sempre, questo è il mio spirito.
All’estero il tuo percorso è stato compreso meglio che in Italia?
È vero! Ho conosciuto personaggi meravigliosi. Agnetha degli Abba disse: “Io adoro Rita Pavone, la sua energia, la sua vocalità!”. Ma anche Morrissey o i Kiss. Ho condiviso il palco con Beach Boys, The Supremes, Ed Sullivan, Lloyd Webber… Lloyd Webber è stato il mio produttore per Tried and Seen, che ha inserito in una bella raccolta intitolata Now and Forever. Sono stati più affettuosi con me i produttori stranieri che quelli italiani.
Hai vissuto momenti irripetibili in America. Che ricordi hai di quel mondo?
Un giorno mi portarono al Copacabana di New York a vedere Sammy Davis Jr. Cantava, suonava la batteria, ballava, imitava… era un genio. Mi folgorò. Io dicevo: “Questo non è un cantante, è qualcosa di più”. Il mio riferimento italiano era Caterina Valente. Anche lei sapeva fare tutto. Quando è morta, nessun giornale italiano le ha dedicato un omaggio, eppure aveva cantato anche con Ella Fitzgerald, che la guardava ammirata.

Nel 2005 però avevi deciso di lasciare le scene. Poi sei tornata. Come mai?
Ero stanca. Mi proponevano canzoni che non erano per me, mi dicevano: “Saranno dei successi”. Io rispondevo: “Non con me, perché non mi appartengono”. Alla fine del contratto mi sono detta: è meglio lasciare un bel ricordo che fare cose che non ti rispecchiano. Ho avuto un’operazione al cuore, due bypass, e sono andata a vivere otto anni a Maiorca. Facevo una vita bellissima. Poi Renato Zero mi ha detto: “Faccio 60 anni, tu devi esserci”. I miei figli mi hanno risposto: “Ci devi andare”. Allora ho accettato. Ho chiesto solo che non mi annunciasse, perché non sapevo se mi avrebbero ricordata. Sono entrata a sorpresa. E la gente si è alzata in piedi. Ho pensato: cavolo, non mi hanno dimenticata. Così è nato Masters, il disco della mia vita. Ho cantato quello che mi piaceva. L’abbiamo fatto con arrangiamenti nuovi, anche per le versioni italiane. È stato ai primi dieci posti in classifica per settimane.
Nel panorama di oggi, pensi che gli artisti giovani abbiano paura di rischiare?
Ma certo. Ho visto l'ultimo Sanremo, e nei duetti alcune artiste mi hanno sorpreso. Hanno una grande vocalità. E poi? Si riducono a cantare canzoncine estive. Prima i discografici ti seguivano, oggi no. Se hai 30 anni, non puoi cantare come se ne avessi 17. Bisogna fare uno strappo. Io l’ho fatto con Cuore. L’Rca lo voleva mettere come lato B, dicevano che era troppo adulto. Invece è stato 15 settimane primo in classifica. Se non fai quello strappo, prima o poi perderai tutta la tua credibilità.
Oggi sul corpo delle donne si combatte ancora una battaglia, tra chi lo mostra e chi si sente sessualizzata.
Io ero la bruttina della canzone italiana e ho venduto più di 50 milioni di dischi. Non serve mostrare il proprio corpo. Adele è straordinaria. Le “donne ferme” sono quelle che restano in relazioni che non le rendono felici, che non trovano il coraggio di dire “addio, me ne vado”. Le “donne che camminano” si guardano allo specchio e dicono: “Io valgo per quello che sono”. Non vuol dire nascondersi, ma oggi c’è una perdita di pudore che non condivido. Perché poi… arrivano le rughe, e se ti sei giocata tutto sul corpo, allora in quel momento saranno dolori. Io, nonostante tutto, ho avuto degli ammiratori anche importanti. Dicevano: “Rita non sarà bellissima, ma ha qualcosa”. Quel qualcosa l'ha visto anche il mio Ferruccio (il marito Teddy Reno, nda) . E il 23 marzo facciamo 57 anni di matrimonio. Nessuno ci dava una lira.
Una storia d’amore che fece scandalo.
All’inizio lui aveva le sue ragazze, io i miei corteggiatori. Ma un giorno ci siamo detti: la persona giusta ce l’ho accanto. Ci siamo trovati abbracciati su un'isola, prima di partire per l’Argentina. Lui mi ha detto: “Per me sarà per sempre”. E così è stato. Quando tornò con il foglio di divorzio in mano, perché era già sposato, io lo baciai in aeroporto. Era il Cantagiro del ’67. Scoppiò lo scandalo. Dicevano che il nostro amore sarebbe durato lo spazio di una canzone. Mina l’unica che ci difese: “Saranno affari loro”. Dopo anni, anche mio padre ammise: “Con voi ho toppato”. Gli risposi: “Papà, meglio tardi che mai”.

Guardando la tua carriera e le scelte controcorrente che hai fatto, non sarà che sei tu la prima punk italiana?
(ride) Davvero? La sono stata a mia insaputa! Dicevano che ero bruttina, ma io mi sono sempre ritenuta carina. Non avevo il fisico delle dive, ma avevo ormoni fortissimi! I ragazzini non mi interessavano, preferivo gli uomini. Ho sempre saputo che avrei sposato un uomo più grande. E l’ho trovato. Oggi mio marito ha 99 anni. È un po’ confuso, ma quando parto mi dice ancora: “Vai piano”. Ci guardiamo e ci capiamo. È una delle cose più belle che possano accadere a una coppia: capirsi senza parole.
Oggi le donne sono anche al potere. Da Giorgia Meloni a Elly Schlein, lo stanno interpretando in modo diverso dagli uomini?
Si comportano da donne al potere. Qualche volta esagerano, perché dimenticano la grazia. Ma io sono felice di una Repubblica più rosa. È giusto che ci siano. Alcune donne portano avanti bei discorsi, altre perdono la femminilità. E quando si rivelano per come sono, allora possiamo giudicarle.
Il 23 agosto compirai 80 anni. Hai ancora un sogno nel cassetto?
Mi piacerebbe festeggiare con uno Special tv. Io, se non passo davanti a uno specchio, non mi rendo conto di avere quasi 80 anni. Mi sento una 35enne. La testa c’è, le gambe si muovono. Mi piacerebbe fare qualcosa che resti. Ora ho dei live in programma, il 5 maggio a Milano, poi Torino. In scena mi diverto come una matta. C’è una Rita tranquilla che cura il giardino a casa, e c’è la Pavone che sul palco diventa una tigre. Finché il buon Dio mi dà questa energia, io ci sarò. L’altro giorno un ragazzino mi ha detto: “Io ho 11 anni, ma ti amo Rita”. E ho pensato: allora ho ancora un futuro davanti!
