La solidarietà è un sentimento strano e ambivalente, può essere buona e cattiva. Se solidarizzi con la vittima sei buono, per esempio, ma se solidarizzi con il carnefice – per via della sua infanzia infelice, dello stato economico, dell’etnia – allora sei cattivo. O marxista. Il punto è che a volte la solidarietà è una toppa sulla scena muta del pensiero critico. Per esempio Roberto Saviano va alla Buchmesse di Francoforte, la Fiera a cui non era stato invitato nell’anno in cui l’Italia era “Paese ospite”. Va e trova una sala piena, i giornali che lo sostengono, lui che, gioioso del successo, rilascia interviste e dichiarazioni. Un plebiscito, a suo dire: uno schiaffo al governo e uno alla botte, nel senso che Saviano è riuscito ad andare dove desiderava e rimanere comunque la “vittima”, il censurato della storia. Nell’intervista sul Corriere della Sera si dice intellettuale contro cui i poteri forti avrebbero posto un veto. Lui, a differenza di Scurati e Terranova, censurati nei contenuti, è ontologicamente censurato. Così tanto che i poteri forti, gli stessi che avrebbero lottizzato la Rai (e cosa dovrebbe fare un governo con una televisione pubblica? Nessuno mai che dica che il problema è proprio avere un’emittente di Stato), gli avrebbero poi permesso di portare su Rai 3 il suo programma flop, Insider, quello censurato l’anno prima dalla tv fascista. Stupisce, anzi, che Saviano abbia voluto provare l’ebrezza di essere parte del palinsesto della propaganda MinCulPop.
Comunque, dopo l’ora di libertà in Germania è dovuto tornare in Italia, dove non è libero di essere intervistato dal più importante quotidiano italiano, non è libero di scrivere per La Stampa, non è libero di pubblicare con grandi editori e così via. E fa il punto sulla trasferta: lui si sente “barricadero” (ora ci spieghiamo l’esperienza in Rai), quindi forse sarebbe andato anche a seguito di un invito ufficiale del governo. Forse è più la voglia di esserci, di apparire, di non mancarne una, che non quella di colpire del segno. Il segno è il suo ego. Comunque non l’hanno invitato, è andato entrando dalla finestra, ed è stato accolto coma una boccata di aria antifascista dalla folla in delirio. “Questa è la mia vendetta” ha dichiarato, per poi spiegare che intendeva questo: “È stato anche molto bello, come non mi capitava da tempo, vedere tanta passione, tanta solidarietà, tanta curiosità in un Paese che è spaventato da quello che sta succedendo in Italia, perché potrebbe succedere anche lì”. Un Paese, compiendo una fallacia logica (o una brutta inferenza voluta?), credendo che lo stuolo di suoi sostenitori rappresenti uno Stato. E parla di democratura, termine usato per esempio per la Russia di Putin o per l’Ungheria di Orban (ma siamo arrivati anche noi a quel punto?), cioè il brutto sogno della democrazia, che si scopre illiberale (termine che, preso alla lettera, dovrebbe essere utilizzato per parlare di qualsiasi manovra più a sinistra di una socialdemocrazia e non solo più a destra del conservatorismo). Resta il problema dell’egemonia cultura, che si costruisce dal basso, dice lo scrittore. Cosa neanche falsa, ma insensata. Non c’è nulla di più basso del mandato popolare che ha portato all’elezione del governo. E non c’è niente di meno basso di chi è a capo di collane, fa l’editor e pone veti o dà indicazioni di pubblicazione da decenni nel mondo della grande distribuzione. Quel che resta da capire è quale sarà il posto di Saviano nel nuovo assetto. Se a un vero eretico forse spetterebbe, per contrappasso, l’oblio, cosa dovremmo pensare della sovraesposizione del nostro?