In occasione della festa al cinema di Roma, MOW ha uno spazio in cui intervistare i suoi ospiti. Tra i primi ospiti c'è Rodrigo d’Erasmo. Polistrumentista, amante del suono, quello vero, nudo, svelato e forse meno di quello artificiale. Il suo modo di approcciarsi alle parole e alle immagini gli consente sempre di ricavarne una musica che in poco tempo si trasforma nella colonna sonora perfetta di un film. Questo è stato il caso di Caracas di Marco D'Amore, ma anche del suo ultimo progetto, il film presentato ad Alice nella città, “Non dirmi che hai paura”.
Rodrigo, sei alla Festa del cinema nella sezione Alice nella città per il film Non dirmi che hai paura, che è la storia di una ragazza che sfida i tabù correndo per le strade di Mogadiscio in una società dove a una donna viene persino vietato di correre. In un'intervista hai detto che lavori molto per immagini quando devi comporre colonne sonore. Ecco, in questo caso, qual è stata l'immagine del film che ti ha ispirato per realizzare la musica?
Per questo film sono entrato nel progetto in una fase avanzata. Sai, spesso il compositore viene coinvolto in momenti diversi durante la lavorazione di un film. A volte si comincia a lavorare già dalla sceneggiatura, insieme al regista o allo sceneggiatore, il che permette di immaginare le scene e trasformarle in musica. Ma in questo caso sono stato chiamato piuttosto tardi, quando il film era quasi in una versione definitiva, con un montaggio già stabilito e una serie di musiche temporanee scelte da Yasemine, la regista, e dai montatori. Quando sono arrivato, c'era già molto materiale da vedere e ascoltare. Ho chiesto di rimuovere la musica temporanea per evitare di essere influenzato e ho lavorato partendo dalle sole immagini. La prima immagine che mi ha colpito e che penso rimarrà impressa in chiunque veda il film non è tanto quella della protagonista Samia adulta, che arriva persino a correre alle Olimpiadi – un traguardo straordinario per una velocista somala – ma piuttosto quella di Samia bambina. La vediamo correre con grande gioia per le strade di un paese che presto sarebbe stato travolto dalla guerra civile. In quel momento, la sua infanzia è ancora felice, spensierata. Lei corre per le vie del suo paesino, non lontano da Mogadiscio, insieme al cugino che poi diventerà il suo allenatore. Questa scena mi ha ispirato una musica dolce, tenera, ma allo stesso tempo tragica, perché c'è una tragedia all'orizzonte che non si può ignorare. Ho cercato di catturare entrambe queste emozioni: la gioia dell'infanzia e la tragedia che, purtroppo, sarebbe arrivata. Sì, mi piace partire dalle immagini, ma è vero anche che amo lavorare con le parole, con il testo, da cui spesso ricavo il suono, specialmente quando si tratta di colonne sonore.
Ecco a proposito di testi. Come si fa a dare suono a una parola?
Per questo film, sapendo che era tratto da un libro di Giuseppe Catozzella, mi sono chiesto se dovessi leggerlo prima di iniziare a scrivere la musica. Spesso, infatti, i film sono basati su libri o sceneggiature, che rappresentano il punto di partenza. E quando sono tratti da libri, ancora di più, perché hai a che fare con una materia letteraria che può influenzare profondamente la creazione musicale. Però, in questo caso, mi hanno detto di non leggerlo, perché avevano fatto delle piccole modifiche al testo per rendere la narrazione cinematografica più efficace. Quindi, mi hanno consigliato di concentrarmi su quello che avrei visto nel film. Inoltre, il film è recitato per buona parte in una lingua tradizionale del luogo, che sarà sottotitolata quando uscirà nelle sale. Questo ha reso il mio rapporto con la parola piuttosto particolare: il suono della lingua è molto interessante e ho cercato di integrarmi con esso musicalmente, anche se non ne capivo il significato preciso. È stato un lavoro diverso rispetto al solito. Di solito, quando si parte da un libro o da una sceneggiatura, le immagini non ci sono ancora e si devono costruire mentalmente. Anzi, in certi casi, come per esempio con Marco D'Amore per il film Caracas, ho creato la musica prima ancora che il regista cominciasse a girare. Marco ha ascoltato la musica durante le riprese e mi ha detto che questo gli ha dato tanti spunti narrativi. È un approccio diverso ma altrettanto affascinante, perché in quel caso, le immagini si costruiscono attorno alla musica.
Il film su Volonté presentato quest'anno a Venezia, prima ancora quello su Sergio Leone, e lo straordinario sodalizio artistico che ti ha legato a Marco D'Amore. Insomma si ha l'impressione che ti stia legando sempre di più alla settima arte. Come mai?
Il mio lavoro è spesso al servizio di una band, come nel caso dei Afterhours, o di artisti solisti come Manuel Agnelli o Diodato, con cui sto collaborando molto ultimamente. Ho registrato, arrangiato archi, prodotto musica per tanti altri artisti nel corso degli anni. A un certo punto, colleghi e discografici hanno iniziato a chiedermi: 'Ma un tuo disco quando arriva?' La mia risposta iniziale era un po' vaga, perché avevo già intrapreso il percorso delle colonne sonore. Poi ho chiarito le idee e ho capito che per me, una colonna sonora deve avere una sua autonomia dalle immagini. Voglio che, quando premi play e ascolti la musica tutta di fila, questa abbia la dignità di un album vero e proprio. Con gli ultimi lavori penso di esserci riuscito. Alcune delle composizioni precedenti, riascoltandole, le sento troppo legate al film per cui erano state create, non funzionano come produzione autonoma. Invece, le cose recenti mi sembrano capaci di reggersi da sole, come mi hanno confermato anche critici, colleghi e amici. Quando le ascolti in viaggio o in un altro contesto, non hanno bisogno del film per avere senso. Anzi, nel film diventano un valore aggiunto. Come ha detto Marco, per 'Caracas', la musica è diventata quasi un personaggio del film. Quella è l'ambizione massima per me: creare una colonna sonora che abbia una forza narrativa propria. Il cinema mi sta dando questa opportunità, e ogni progetto mi permette di rinnovarmi artisticamente. Parlando con un collega, ho realizzato che mi piace molto questo nuovo percorso, perché è come se ogni volta mi venisse concessa una sorta di 'verginità artistica'. Quando lavori su commissione, devi partire da zero, e questo ti obbliga a lasciare alle spalle i tuoi cliché e le tue zone di comfort, che è una sfida naturale per qualsiasi artista con anni di carriera alle spalle.
E con la regista Yasemin Samdereli?
Quando collabori con un regista o una regista, come Yasemin per 'Samia', devi immergerti nel loro immaginario, abbandonando il tuo. Con Yasemin, questo processo è stato molto intenso. All’inizio le ho inviato dei brani e lei ha subito amato il suono. In una settimana le avevo già mandato quasi tutta la musica del film, perché mi aveva davvero ispirato. Tuttavia, poi ha voluto lavorare nel dettaglio, scena per scena, e alla fine abbiamo ribaltato molte cose. Quello che sembrava già pronto è stato trasformato, e lei mi ha spinto a esplorare soluzioni artistiche che non avrei mai immaginato di usare. È stato un processo divertente e stimolante, perché mi ha portato fuori dai miei schemi e mi ha fatto abbandonare certe idee per lasciarmi contaminare dalla sua visione. Naturalmente, devi stimare la persona con cui lavori, come in questo caso, per credere che ciò che ti propone possa arricchirti. È una sfida entusiasmante, che ti spinge a raggiungere luoghi artistici a cui da solo non saresti arrivato. Ogni volta è una nuova avventura.
Nel mercato musicale italiano c'è sempre un forte utilizzo di tecniche come l’autotune e un suono che tende verso l’artificiale. Pensi che l’attenzione riposta verso quel suono autentico, legato agli strumenti, stia cambiando, o forse scemando?
Secondo me, è un processo in continua evoluzione. C'è stato un periodo, qualche anno fa, in cui l'arrivo dell'urban ha spazzato via il suonato, perché non aveva quasi bisogno di strumenti tradizionali. Lo stesso è successo all'inizio con la trap: bastava un Mc e qualcuno dietro le macchine a creare un beat con basse potenti e un sound incisivo. Con un performer che spacca al microfono, il gioco era fatto. Ma i tempi cambiano in fretta. Negli ultimi cinque anni, ho notato che gli stessi rapper e trapper si sono stancati di stare da soli sul palco con un deejay. È molto più divertente condividere il palco e lo studio con una band di 5-6 musicisti, ognuno con il proprio talento e creatività.
Perché?
Viaggiare e fare tour insieme, anziché solo con il manager e il deejay, credo renda tutto più entusiasmante. Vuoi mettere fare un tour in van? Io questo lo so bene, perché vengo dagli anni Novanta, quando suonare in una band era la norma. Per me, questo discorso va a onde: adesso sta tornando di moda il suonato, con strumenti veri. Parlando di innovazioni poi come l'intelligenza artificiale, è un ambito affascinante, tutto da esplorare, ma personalmente non mi interessa al momento. Mi diverte molto di più chiudermi in studio per tre giorni con un gruppo di persone, come ho appena fatto per le musiche di un cortometraggio, e creare qualcosa insieme. La magia di mettere insieme tanti talenti è imprevedibile e creativamente più ricca di quanto possa offrire, per ora, l'idea di seguire delle linee guida e basta. Penso che il talento di tanti singoli che si mettono insieme sia molto più imprevedibile anche della stessa Ai.
E tornando al cinema e alla musica, se la tua vita fosse una colonna sonora, quale sarebbe?
Ti faccio un nome: Jerskin Fendrix. Lui ha fatto le musiche di Lanthimos, di Poor Things, che secondo me dovevano vincere a mani basse la miglior colonna sonora al posto di Oppenheimer visto che ha portato veramente una ventata di novità. Questo giovane proviene dalla musica classica, ma ha esplorato nuovi orizzonti intorno ai 25 anni, sfruttando poi i mezzi di oggi. Ecco, trovo che il suo approccio creativo sia davvero affascinante e un po' simile al mio, nonostante abbia parecchi più anni di lui. Cerco di non sedermi mai e di muovere gli ingranaggi della mia creatività un passetto avanti. Questo il cinema me lo permette. Quella colonna sonora, per esempio, vedendo Poor Things, che ho amato tantissimo, quelle musiche, mi hanno proprio super ispirato e condizionato anche per le cose che ho fatto immediatamente dopo o che magari realizzerò più avanti perché la trovo non solo contemporanea, ma proiettata nel futuro. È esattamente come mi piacerebbe si cominciassero a vedere le colonne sonore. Come qualcosa che spingono il film in un'ulteriore dimensione, gli danno un 20-30% di fantasia, di creatività, ma anche di leggibilità in più. Senza quelle musiche tanta della storia sarebbe meno efficace, ed è quella la grande forza della musica per immagini.