Padre Amorth (Russell Crowe) in “L’esorcista del Papa” sembra davvero il classico protagonista “spaccone ma alla mano” di uno degli infiniti film sui supereroi. Scherza con le suore facendo delle pernacchie e allo stesso tempo è irremovibile quando si tratta di discutere del suo operato. La commissione che deve esaminarlo non riesce a scalfire l’orgoglio e la fede di un esorcista progressista che sa distinguere il male psichico dal male metafisico. L’esistenza del secondo, però, non è mai messa in discussione. Anche perché senza il male cosa può farsene il mondo di una chiesa che perde seguito e che è attanagliata da contraddizioni irriducibili? Il diavolo, se non altro come contraltare di sé stessa, “serve” alla chiesa. Il Papa (Franco Nero), non appena fiuta la reale presenza del demonio nel piccolo Harry, spedisce Amorth all’abbazia di San Sebastian, dove il ragazzino si è trasferito insieme alla madre Julia e alla sorella Amy. Harry, dalla morte del padre, ha smesso di parlare e la madre è incapace di gestire la situazione vista anche l’irrequietezza della sorella. Il diavolo conosce il mestiere: si insinua in anime già fragili e si alimenta dei peccati di coloro che incontra sul suo cammino. Il suo obiettivo, però, è quello di impossessarsi di un prete così da poter tornare a Roma per distruggere dall’interno la chiesa. Quale miglior modo di farlo attraverso l’esorcista del papa?
Questo è infatti il nucleo di serietà che il film tenta di mettere in campo. Amorth e il pretino padre Esquibel (Daniel Zovatto) scoprono nelle catacombe sottostanti l’abbazia i diari di un antico esorcista: il testo è chiaro, il diavolo è già da secoli eminenza grigia che muove i pezzi sulla scacchiera. La stessa Inquisizione, si legge, è stata un’invenzione del diavolo. Una chiesa che è marcia fin nelle sue fondamenta, dunque, e la cui immagine difficilmente può sdoppiarsi rispetto a quella diabolica del suo passato; abitata da peccatori come Esquibel, che ha avuto una relazione con una ragazza della parrocchia e che fin dall’inizio sembra incapace di tenere a freno la libidine nei confronti di Julia. Lo stesso Amorth è un uomo che ha fallito nel salvare una ragazza psicotica morta suicida. Ma, appunto, quello del film è solo un tentativo di serietà. Il lato trash, eroico, splatter è senza dubbio quello che ha il sopravvento. Non si risparmiano battute anche nei momenti peggiori e lo scontro finale viene combattuto con i soliti anelli, medaglioni e crocifissi infiammati impugnati da Amorth come l’eroe che è. Diligente ma col vizietto dell’alcol, è tanto bravo nel suo lavoro da potersi permettere un goccetto anche quando porta la divisa. Si sposta persino in Vespa. Da Roma alla Spagna in Vespa, senza casco. Bah, in fondo sono gli anni ’80. Immancabili le schiene spezzate, le frasi semi-blasfeme (“Da chi vuoi essere estinto oggi: da Cristo o dalla Santa Madre?” “Fanculo la Santa Madre!”) e le volate del maligno che rompono vetri e catapultano in giro per la stanza i protagonisti.
Almeno il finale sembra far capire che il film andava preso così, alla leggera. La vicenda [SPOILER ALERT] si conclude in modo sbrigativo e in una sala delle biblioteche vaticane che sembra il quartier generale dei Men in Black, i due redivivi, Amorth e il pretino, vengono incaricati di partire per un viaggio che li porterà a scontrarsi con altri 199 demoni nei luoghi dimenticati da Dio. La saga è appena cominciata, quindi. Chissà che non ci aspetti un L’esorcista del papa: il ritorno. Almeno ci vengono risparmiati chiarimenti finali in cui le gesta dell’Amorth reale vengono riepilogate nella loro grandezza e attendibilità. Non era questo l’obiettivo di Julius Avery, probabilmente, che comunque ci tiene a ricordarci che sì, i libri di Amorth, almeno, sono belli.