Non ho mai avuto un particolare interesse verso la ricchezza. Sarà che non sono ricco, non lo sono di famiglia e non lo sono diventato di mio, e sarà, piuttosto, che non ho mai guardato alla ricchezza come a qualcosa cui ambire, conscio che per dirla con Luca Carboni: “Oh no, i soldi lo so non danno la felicità, immagina però come può stare chi non li ha”, tutto vero, ma tra essere tranquilli e fare dei soldi il proprio Dio ce ne corre. Di più, ho sempre guardato alla ricchezza con una certa diffidenza, forse anche con antipatia che a volte scivola nell’odio, non per una mera faccenda di classismo, il non essere nato ricco di cui sopra, quanto piuttosto per una questione di appartenenza, avete presente tutti la storiella dei padroni e di chi padrone non è, lo scegliere in che squadra voler militare. Dico questo per specificare che, in natura, io uno come Gianluca Vacchi lo dovrei vedere esattamente come l’anello della catena che dovrebbe essere destinato il prima possibile all’estinzione nell’evoluzione dell’uomo, possibilmente per mano di un sottoproletario di quelli che lavora per lui, vestito di verde, felice perché il dottor Vacchi dice “per piacere passami l’asciugamano”, magari dopo essersi fatto qualche vasca nella sua piscina olimpionica, poco conta che il tipo venga chiamato “filippino” dal dottor Vacchi, come neanche in un vecchio cinepanettone con Boldi e De Sica o in una di quelle bella gag con Marco Mazzocca e Corrado Guzzanti. Ora, chiarito che Gianluca Vacchi è quanto di più lontano io possa identificare nel panorama del genere umano, anche più di una Laura Pausini o di una Giorgia Meloni, gioco sugli eccessi, ci terrei a dire qualcosa riguardo questa specie di sommossa popolare che sta montando per far ritirare dagli schermi, schermi dei nostri televisori e tablet, la serie che Prime Video gli ha dedicato.
Una serie che, stando a una lettura anche superficiale e super veloce, non è che la si possa guardare con troppa calma e approfondimento, diciamocelo, è in sostanza un tentativo goffo di farci passare un viziato figlio di papà cui la famiglia ha lasciato agio di cazzeggiare, si suppone per non far danni al patrimonio di famiglia, in genere gli eredi scemi si ritrovano a fare gli scrittori, pensa te, uno che non prova evidentemente vergogna nel mostrarsi in condizioni che chiunque abbia un minimo di amor proprio auspicherebbe non finisca mai sotto lo sguardo anche distratto di chicchessia, balletti idioti, atteggiamenti imbarazzanti, pratiche discutibili tipo il dormire in bare iperbariche o fare il bagno nei ghiaccioli, il tutto al fine di non invecchiare, un tentativo goffo di farci passare questo viziato figlio di papà per un geniale iconoclasta, irriverente si definisce in un passaggio epico, uno che si è fatto da solo e che, da bravo Mr Enjoy, ha davvero scoperto come si vive felici e non può o non vuole tacercelo. Niente di realizzabile, per i motivi di cui sopra, ma che ha invece l’incredibile pregio di far apparire noi, povere bestie che nella vita dobbiamo lavorare, e lo dice uno che per lavoro si guarda la serie di Vacchi steso sul divano di casa, le ciabatte riposte ordinatamente a terra, una birra fresca usata come refrigeratore della fronte prima che dello stomaco, non certo uno che va alla pressa otto ore al giorno, per dirla con l’allenatore del Pisa D’Angelo, ha l’incredibile pregio di far apparire noi, povere bestie che nella vita dobbiamo lavorare, come intestatarie di un destino decisamente meno matrigno, niente servitù costretta a fingere una felicità che evidentemente non conosce, niente ostentazione di una frivolezza che, suppongo, superati i dodici anni diventa più sinonimo di irrequietezza patologica, qualcosa di paragonabile a quei ghigni alla Joker che ci fanno sembrare sorridenti anche un attimo prima di dare fuoco a una pila alta cinque metri di banconote da dieci dollari, quello che si suppone Vacchi avrebbe fatto fosse rimasto a lavorare nell’impresa di famiglia, di qui il suo essere stato libero di cazzeggiare ben foraggiato per farlo, Prime Video non ce la conti giusta.
Ma a parte questo riconciliarsi con un destino che avevamo sempre considerato baro, poteva sempre andarci peggio, saremmo potuti essere ricchissimi ma con un QI paragonabile a quello del pesce rosso che teniamo in una vaschetta in cucina, perché credo solo il pesce rosso e Vacchi considerano chi non vuole ostentare idiozia sui social “ridicolo”, il motivo che dovrebbe indurci tutti a fare il tifo perché Mucho Más, questo il titolo della serie dedicata al milionario bolognese che il mondo ci invidia, resti in onda, che dire resti in onda di qualcosa che è in streaming, lo so, è a sua volta sintomo che toccherebbe temere più il Gianluca Vacchi che è in noi più che quello che se ne sta in una qualche villa a fare monologhi degni del Milanese imbruttito, è che mai come in questo caso, avere una conoscenza così dettagliata del “nemico” ci è agevolata, tanto è minuzioso il racconto che Vacchi fa di se stesso, certo sottolineando numeri laddove dovrebbe dar spazio alle parole, e il “nemico” che conosci è sicuramente un “nemico” in netto svantaggio nei tuoi confronti.
A partire dall’incipit, nel quale Vacchi sciorina tutti i suoi successi, più che altro possessi, partendo però da una premessa da stand up-comedian, quando cioè comincia dicendo che non sappiamo nulla di lui, vero, e che quel che sappiamo è sicuramente una cazzata, della serie “ma chi te se incula?”, andando poi a dare ai cinquanta milioni di followers, gente che vorrei fissare negli occhi, giusto per capire quanto può essere profondo l’abisso nietzschiano che guarda dentro di noi, uno che segue qualcuno che si autodefinisce una popstar del life style, credo, dovrebbe essere ricoperto di pece e piume e poi andare a fanculo, andando poi a dare a quei cinquanta milioni di followers quasi un valore morale che, temo, non hanno, tutto in Mucho Más attesta come essere sfasciati di soldi e pensare che il lusso e il successo, inteso come essere seguiti per quel che si ha più che per quel che si è, o almeno questo c’è da augurarsi guardando uno che ripete “col cazzo che cedo” mentre fa flessioni vestito come uno dei RIS, il tutto in una villa da favola, tutto in Mucho Mas attesta come essere sfasciati di soldi e pensare che il lusso e il successo siano tutto è la vera cazzata del millennio. Del resto, come controprova della sua tesi, “non posso essere un cretino”, il nostro usa un assioma a prova di bomba, “mi seguono cinquanta milioni di persone e in caso dovrebbero essere tutti cretini”, come se di colpo avere dalla propria una ipotetica massa, vai poi a capire se quella massa ce l’hai appresto perché ti stima o perché ride di te, sia prova di una qualche qualità o valore, qualcuno spieghi a Slow Food che McDonald’s è molto meglio dei cibi fatti con buoni prodotti e con tanta amorevole cura che promuovono loro, dilettanti.
Insomma, Gianluca Vacchi e la sua Mucho Más deve stare tra noi, come antidoto al pensiero unico dominante, volendo anche come vera e propria alternativa al pensiero e basta, perché chiunque ha diritto a sentirsi più intelligente di uno che ha successo, e perché in fondo le nostre vite routinarie, a guardarle sotto certe angolature, sono molto meno inutili di quando, certe notti, andiamo a pensare. Enjoy.