Francesca Fagnani taglia l’intervistato con l’accetta, lo fa in qualche maniera rientrare nel “tipo” che ha in mente. Non so quanto ne sia consapevole, ma è un antico trucco degli sceneggiatori: a me lo ha insegnato Ugo Chiti mentre sceneggiavamo un mio romanzo (progetto mai andato in porto); ogni personaggio deve essere associato a un animaletto, così gli si può dare coerenza. Ovviamente il “tipo” o l’animaletto o la belva, sono anche un pregiudizio. E in realtà le interviste della Fagnani sembrano questo: animaletti in gabbia che tentano di venire fuori dalle sbarre del pregiudizio che è della Fagnani ma anche dello spettatore. È un po’ come il “compare” nelle truffe da strada, o la “piaciona” nelle cene. Quella che prende di mira qualcuno per farlo “rientrare” nei ranghi. O nella gabbia. Le sue mossettine, i suoi “mm” a prendere improvvisamente le distanze, le sue alzate di sopracciglia, sono mosse da ammestratrice. Ma prima di domarli, gli animaletti vanno catturati e la Fagnani è un’esperta di esche. Come tutte le piacione sanno, le vittime vanno in qualche maniera, appunto, ad-escate. Ogni animaletto ha un punto debole (parliamo di “tipi” e quindi di “archetipi” e quindi di talloni di Achille). Chi ha la vanità, chi ha un ego straripante, chi se sente bello, chi si sente furbo, chi si sente artista, chi si sente coraggioso e via animaletteggiando. La Fagnani sembra ferma sullo sgabello, ma gira intorno alla preda. È bravissima a nascondere lo sghignazzo dietro il sorriso. So che state pensando alla volpe, ma c’è qualcosa di umano troppo umano nella Fagnani: è in qualche maniera una überfrau, in senso nicciano. Può essere, la Fagnani, accostata a un animaletto? La risposta la sappiamo, l’ha data lei, si sente un Jack Russel: “Perché quando azzanna la preda non la molla”. E non deve essere un caso se il Jack Russel è una razza canina creata per la caccia alla volpe: autodefinendosi si definisce più furba di una volpe. Ma il Jack Russell non è “umano”. Esiste una categria di animali umani? Una categoria di übertierisch, di superanimale? Ci arriviamo.
“Definire” qualcuno è una forma di “character assassination”, è una maniera di sfilargli la “storia” da sotto il sedere. Gli animaletti non hanno “storia”, hanno “caratteri”. La Fagnani mi ricorda la prima definizione di mansplaining che abbia mai letto, quando ancora non esisteva neanche il termine: è di Manlio Sgalambro; “L’uomo immagina di spiegare qualcosa a una donna mentre quella ha già capito tutto alla prima occhiata”. Ma alla prima occhiata si capisce il “personaggio”, non la sua storia. In questo senso la Fagnani “divora” la sua preda. La smembra, letteralmente, le toglie via una “parte”, la sua storia. C’è una sorta di “determinismo” nelle interviste della Fagnani: è il personaggio che fa la sua storia, mai il contrario. Ognuno ha il suo ruolo nel teatro della vita, pensa la Fagnani, un po’ alla Marchese del Grillo. E’ assolutamente “romana” in questo, non solo nel colore e nel taglio dei capelli. Per lei sono tutti, in qualche maniera, “Alieni a Roma”, di flaianesca memoria: un alieno arriva a Roma, fa notizia, diventa famoso, lo celebrano, poi si annoiano e lo snobbano: il solito alieno. Come negli animaletti: qualcuno è predatore, qualcuno preda. Ma bisogna essere umani (“troppo umani”) per sbranare le storie e mettere a nudo le “maschere”. La Fagnani smaschera, ma al contrario: prende una persona e le mette una maschera. Di Ferro. Dietro urla la belva o l’animaletto o la persona, mentre la Fagnani le si avventa addosso. La adesca con la paraculaggine piaciona e la incatena nei sotterranei. Potrebbe essere un “vampiro”, i mammiferi chirotteri fillostomidi dell’America centro-meridionale, da cui derivano le mitologie vampiresche che nascondono i succhiasangue dietro sembianze umane. In realtà pensavo a qualcosa di “mannaro”, per dare umanità (troppa umanità) alla Fagnani. Ma mi rendo conto che il vampiro aderisce come in controluce alla giornalista. È seducente. Ti avviluppa con gentilezza. Ti fa sentire a tuo agio. Ti gira intorno lentamente facendoti sentire al centro dell’attenzione. Ed è quando ti rilassi che spuntano le zanne, luccicano i canini. Poi ti si avventa sopra, ti succhia via la storia e tu resti una maschera come un’altra.