Sanremo. Prima puntata 2024: 10,6 milioni di telespettatori per il 65,1% di share. Prima puntata del 2023: 10 milioni 757 mila spettatori con il 62,4% di share. Prima puntata del 2023: Blanco straccia fiori e lancia vasi, Chiara Ferragni dona (è il termine giusto?) un monologo di altezza letteraria e profondità di pensiero del tutto trascurabili (segno che la sua comunicazione fosse già in crisi un anno fa). Prima puntata del 2024: non c’è Blanco (i fiori ringraziano), non c’è Chiara Ferragni (va da sé). Ma soprattutto non ci sono grandi monologhi. Eppure l’ascolto è in linea e lo share regge, nonostante una controprogrammazione su Mediaset notevole. Quest’anno abbiamo i Ricchi e Poveri, longevo manifesto dell’italianità nazionalpopolare che sa solo divertirsi sul palco dell’Ariston, Dargen D’Amico rigonfio di peluche che dice no alla guerra che non appena esce tutti si scordano, mentre ricorderanno per sempre gli orsetti a mo’ di pelliccia (se gli animalisti fossero attenti al simbolico…), Fiorella Mannoia in versione spagnola (presa, in effetti, da una febbre, quella dell’hit estiva), Mengoni prestato alla comicità da locale in periferia, con sketch recitati come andava di moda quindici anni fa, Amadeus che si siede sulle gambe del presidente di Rai cinema per parlare con due gioviali salottieri, ragazzoni immagine di Poltrone Sofà, mentre Fiorello sfila con un mantello di venticinque metri che cita la fortuna frase della sfortunata influencer, frase su un mantello, mantello – anche questo metaforico – su cui la Ferragni è inciampata, più volte, in questi ultimi tempi: “Sentiti libera”. C’è Gahli vestito da segnalibro glitterato che si accompagna a una specie di ippopotamo alieno, parente stretto dei liocorni, c’è Mr Rain con le sue altalene rubate a un set horror, la cosa meno orrorifica dell’esibizione, ed è forse l’unico vero accenno di patema d’animo lontanamente accostabile ai funesti ricordi della funesta prima puntata del vecchio Sanremo, vecchio perché del 2023, vecchio perché da ieri non se ne parlerà più, soppiantato dal nuovo.
Si diceva che il vecchio Sanremo dovesse ringraziare anche le buone intenzioni di Chiara e la maleducazione di Blanco, proprio perché tra la rabbia e il pianto, come una lama da forgiare, c’è il successo italotelevisivo, soprattutto se si parla di Rai. Ma sembra si trattasse più di un mito dei media, una leggenda metropolitana diffusa per impaurire chi avesse voluto, da quel momento in poi, tentare uno spettacolo meno polemico e meno impegnato allo stesso tempo. Tolto qualche minuto per il ricordo di chi non c’è più, fatto forse sovrapponendo alla dolcezza e al dolore di una madre un leggero eccesso di napoletanità pensata a tavolino, Sanremo molla gli ormeggi e lascia a terra, per ora, tutto il già visto nei talkshow politici e al Grande Fratello. Si legge che è l’ultimo per Amadeus, che tara l’intero spettacolo su due convinzioni, una autoindotta e l’altra suggerita anche da gran parte della stampa: la prima, semplicemente, è l’idea di non poter fallire proprio nell'ultima partita. Convinzione autoindotta perché persino il Sanremo del 2023 dimostrava che qualche imprevisto, qualche caduta di stile, non inficia più di tanto la riuscita della settimana bianca della televisione italiana. La convinzione suggerita dai media, attentissimi a non pestare i piedi al conduttore, è invece il principio dell’infallibilità papale. Basta organizzare tutto e tutto andrà bene. Così ogni particolare è ora programmato e da direttore artistico il Nostro si trasforma in maestro d’artifici. Involontariamente tenendo in vita il grande ciclo che Sanremo, ogni anno, innesca, dove c’è sempre qualcosa da criticare ma mai il qualcosa dell'anno prima. E persino ora che lo spettacolo si avvicina al fisiologico esaurimento – e il “dopo Ama” sarà difficile da prevedere – chi vuole criticare può, chi vuole godersela può, senza il momento soliloquio di chi deve impartirci una grande lezione sulla vita e, per il momento, senza l’eccesso di polemica in diretta, appunto, la polemichetta.