Sto spingendo a fatica un carrello strapieno di prodotti dentro un supermercato tedesco (non che ce ne siano tanti, in Italia, ma non mi pagano, non vedo perché far loro pubblicità). A fatica perché in casa in queste settimane siamo sette, di solito sei ma abbiamo con noi mia suocera, e la spesona settimanale è faccenda complicata e che porta via parecchio tempo e denaro. Le corsie che prevedono i prodotti settimanali, quelli cioè che fanno la loro comparsa e scomparsa sugli scaffali nei giorni che ruotano intorno al mercoledì, quando esce il volantone con le offerte speciali, scaffali che prevedono scarpe, trapani, bambole, giacche a vento, oggetti legati al Natale e tutta una serie di cose che variano di settimana in settimana, sono particolarmente intasati. Credo di essere l’unico cliente fisso di questa catena che non ha mai gettato lo sguardo su questi scaffali, troppo preso a comprare tutto il resto. E per tutto il resto intendo davvero tutto il resto, o quasi, seguendo una lista meticolosa fatta la sera prima, ieri sera, da mia moglie Marina. Lista che segue una sua stringente logica, e che nulla ha a che fare con la logica vera e propria. Nel senso che la lista segue la disposizione dei prodotti nella nostra dispensa, non la disposizione dei prodotti all’interno del supermercato. Il che si traduce con me che cerco di imparare a memoria una lista lunghissima, così da non dover fare di continuo avanti e dietro spingendo il carrello stracolmo di roba. Per dire, quando entri la prima cosa che incontri, a sinistra, è lo scaffale che contiene cracker, pancarrè, panini da hot dog, da Hambuger e via discorrendo. A seguire, girando l’angolo degli scaffali, marmellate e Nutella. Poi si imbocca un corridoio con biscotti, caffè, tisane e the, a sinistra, verdure a destra. L’isola dove si trovano le verdure, girandoci intorno, quindi tornando verso l’ingresso, presenta poi la frutta. Mentre alla sua sinistra, a destra se si imbocca direttamente questo corridoio entrando nel supermcato, il pane fresco, le brioche e tutti lievitati vari. Senza che ora io vi stia a dire come prosegue il resto del supermercato, che ovviamente conosco a memoria, vi basti sapere che spesso mia moglie infila la frutta verso la fine della lista, o in mezzo, per poi infilare il caffè all’inizio, ma i biscotti molto dopo. Così, random. Del resto vengo sempre io a fare la spesa. Sono già qui alle otto, quando il supermercato apre, così da non dover passare poi troppo tempo alla cassa, cassa che ovviamente monopolizzo, avendo io così tanta spesa nessuno osa infilarsi dietro di me. Contando nel caso sia la sola cassa aperta, nell’apertura repentina di una seconda cassa, o sperando che io faccia passare avanti, cosa che in genere faccio con un paio di clienti, non di più se no passo la giornata qui dentro. Dopo aver riempito tutto il nastro, lasciando sempre i prodotti presi in più unità, il vino, la birra, la salsa di pomodoro e altro, dentro il carrello, e dicendo alla cassiera “tre di queste”, “quattro di queste”, così da evitare a lei di passarne più e più volte, a me di star qui a togliere e mettere prodotti comunque già presenti nel carrello. Dopo aver riempito il nastro, dicevo, e aver passato la tessera del supermercato, che prevede offerte e sconti, lascio sempre le cose fragili, uova, ciambelline, frutta, nella parte dove in teoria si dovrebbero mettere seduti i bambini piccoli, mai visto uno alle otto di mattina, corro dalla parte opposta del nastro, cioè oltre la cassa, così da riempire in maniera velocissima ma di una precisione svizzera, le buste di plastica resistente portate da casa. Sono ossessivo, in questo, so in che busta vanno messe le bottiglie, in quale i panini da hod dog, non tanto per una questione di feticismo, comunque presente, quanto piuttosto per la resistenza delle buste stesse. Che io comunque sia ossessivo, foste lì con me a riprendere anche i minuti precedenti al mio uscire per andare a fare la spesa, verso le 7:40 di mattino, lo capireste già da quel che faccio una volta alzatomi dal letto, un secondo dopo il suono della sveglia nello smartphone di mia moglie, io sono sempre già sveglio da tempo, soffro di insonnia. Ho infatti tutta una serie di riti che rispetto meticolosamente, vado in cucina, accendo il caffè nella caffettiera da sei già preparata la sera prima, vado verso lo spazio dove sono Brina, il nostro pesce rosso, e Sparky, la nostra tartaruga d’acqua dolce, do prima di mangiare all’una e poi all’altra, dopo aver acceso la luce che scalda la vaschetta di Sparky. Mi volto poi verso la credenza comprata un paio di anni fa, tiro fuori tre tazze, una per me e due per i gemelli, i primi a alzarsi dopo di me visto che vanno alle medie e entrano a scuola alle 7:55, e una tazzina per mia moglie. Sempre le stesse tazze, per me una con dei gufi, per i gemelli due delle principesse Disney, che stranamente Francesco, il gemello maschio, si fa andar bene benché sia in quella fase della vita nella quale non indosserebbe qualcosa di rosa neanche sotto minaccia della vita, la tazzina di mia moglie può essere variabile, purché non sia quella blu con l’interno giallo che io uso a pranzo, tazzina che se per caso si dovesse trovare nella parte più esposta della credenza mi spingo a nascondere dietro con una certa velocità, per fugare il rischio che la usino poi i miei due figli grandi, Lucia e Tommaso, che si fanno il caffè da soli (uno dei due con una caffettiera da uno che ho sempre preparato io la sera prima). Fatto questo, e disposte le tazze e la tazzina alla sinistra della piastra coi fuochi, vado verso il frigo, a destra del piano cottura, e recupero il latte, uno senza lattosio per i gemelli, l’altro per me. Riempio le due tazze dei gemelli. Ci metto del cacao dolcificato e metto la prima tazza nel microonde, quaranta secondi a 800. Prima che il caffè della caffettiera grande sia venuto su, cercando anche di disporre le quattro tovagliette, la rossa a sinistra del tavolo della cucina per mia moglie, la blu a capotavola, per me, le azzurre a destra, per i figli che ci si metteranno. Al centro del tavolo dispongo una biscottiera che contiene dei frollini. Suona il microonde in genere quando viene su il caffè. Prendo la tazza, dopo aver spento la fiamma, e ne dispongo un’altra. Verso prima il caffè nella tazzina, il resto me lo verso nella tazza. Sono caffettiere da sei che in realtà riempiono tre tazzine fino all’orlo. Quindi metto nella tazza coi gufi il corrispettivo di due tazzine fino all’orlo. Metto la caffettiera sotto il getto dell’acqua fredda, dentro il lavandino, e subito dopo dispongo le due tazze dei gemelli sulle tovagliette rossa e azzurra. Le nostre caffettiere, dopo un po’, perdono il manico nero, quello che volendo si può sostituire, stando a quanto hanno previsto le fabbriche che le costruiscono, andando a fare dei fori col trapano nel manico di plastica nera, e infilando poi una vitina in quel foro e nel supporto in metallo della parte superiore della caffettiera, cosa che ci fa sempre desistere, al punto che per prendere la caffettiera dalla fiamma e versare il caffè prendo sempre due presine, sempre le medesime, a rotazione (una volta alla settimana mia moglie le sostituisce, per lavarle). A questo punto lavo la caffettiera e la dispongo nello spazio per scolare sopra il lavandino, e vado a chiamare i gemelli, che dormono ancora nelle loro camere. Mentre loro si alzano verso il latte con lattosio nella mia tazza, mi siedo a capotavola, immergo due biscotti, uno alla volta, nel caffelatte e poi bevo il tutto. Nel mentre i ragazzi sono arrivati a tavola, lui seduto alla mia destra, lei, Chiara, alla mia sinistra. Mentre loro bevono il latte col cacao vado in bagno a farmi una doccia per poi prepararmi per uscire. Dopo essermi vestito, ovviamente prima di farmi la doccia passo qualche minuto sulla tazza, leggendo prima i titoli di Repubblica, poi di Rockol, infine controllando al volo le notifiche prima di Facebook e poi di Instagram. Uscito dalla doccia, dopo essermi asciugato e fatto pulizia del viso e essermi lavato i denti, passo a vestirmi, lasciando accesa la luce dell’antebagno per non svegliare mia moglie, che ancora è a letto. Noi abbiamo un bagno per me e mia moglie, passo a vestirmi, sempre seguendo una precisa sequenza, sequenza che si conclude, il giorno in cui esco per fare la spesa, perché fin qui questa è la sequenza che ripercorro tutti i giorni dal lunedì al venerdì, si conclude con me che allaccio le scarpe, prima la sinistra e poi la destra, allaccio si fa per dire, non ho mai imparato a fare i lacci come si deve, e anche qui ho stabilito una mia gestualità efficace anche se poco coreografica da esibire in pubblico. Cosa che avviene comunque dopo che i gemelli sono andati a scuola, io che li guardo dal balcone mentre attraversano la piazza sottostante nei punti regolati da due semafori, saluntandoli a ogni semaforo. Un pazzo furioso, penserà qualcuno. Un artista, potrei replicare, mi fregasse un caz*o di quello che pensa la gente di me. Perché, di questo parla questo pezzo, lo avrete capito o fedeli lettori, invece di quel che la gente pensa di altre cose mi interesso, spesso con il piglio dell’antropologo fai da te, o antropologo mancato, a seconda di come la si voglia vedere. A volte con la spocchia di chi si sente appunto artista, anche se in questo caso sentirsi un cazzo, uno o lo è o non lo è, e io lo sono, e quindi pensa di avere uno sguardo sul mondo comunque altro, rileggetevi tutto quel che ho scritto qui sopra per credere. Mi interessa quel che pensa la gente laddove la gente ha modo, col proprio pensare, di influire sulla mia vita, cosa che non accade riguardo quel che pensa di me, in generale, il me che la gente può pensare di conoscere è quello che passa dalla mia penna o dalla mia voce, quindi qualcosa comunque di filtrato, non certo di necessariamente reale, la narrazione è per sua natura figlia di una finzione.
Accade invece in sede di elezioni, essendo noi ancora genuflessi a una romantica idea di democrazia, la gente che va a votare, in una messinscena di libertà d’azione a stabilire chi vince e chi perde. Ovviamente, siamo oggi, le elezioni cui faccio riferimento sono quelle statunitensi, e dico statunitensi e non americane solo per ergermi su un piedistallo di intellettualismo, perché l’America è America anche per chi ben sa che gli USA ne sono solo una porzione, elezioni, le loro, che hanno matchato come non mai con il mondo del quale generalmente fingo di occuparmi, quello della musica. Si è fatto un gran parlare, infatti, ieri, di come i tanti, tantissimi endorsement di popstar e rockstar americani abbiano avuto zero rilevanza alle urne, anzi, di come forse proprio quegli endorsement, da Lady Gaga a Taylor Swift fino a Springsteen, con tutto quel che c’è nel mezzo, siano stati deterrenti a votare democratici. Come se l’élite fosse in effetti solo quella di chi si circonda di popstar, e non quella di un multimiliardario che ha come compare Elon Musk, tutti a parlare di sinistra che occupa il centro, la destra ha le periferie, e via a dar fiato alla bocca. Di questo sto parlando, forse distratti dal cercare di dare un nome a una mia presunta patologia mentale non ve ne siete ancora accorti. Di gente e di musica e di democrazia e di voto e di risultati elettorali. E torno quindi a me che spingo un carrello stracolmo di prodotti dentro un supermercato tedesco. Sono le 8:20 di un giovedì mattina, la spesona la faccio sempre di giovedì perché mio figlio Tommaso, diciannove anni, primo anno di Economia Gestizione Aziendale, il giovedì mattina non ha lezione, quindi è a casa e può scendere a prendere le sei, sette enormi buste di plastica resistente dentro le quali disporrò a breve la spesa, un maledetto cantiere di un maledetto palazzo che stanno costruendo proprio di fronte al mio a impedirmi di poter parcheggiare momentaneamente l’auto mentre porto su le buste in ascensore, come ho sempre fatto da che abito qui, l’idea di fare un passo carraio nel nostro cortile, idea proposta esattamente quattro anni fa durante una riunione straordinaria di condominio da un nostro vicino che abita sei piani sotto casa mia, ancora lì, a distanza di quattro anni, una bella cifra data come caparra per iniziare ipotetici lavori, poi vai a parlar male degli amministratori di condominio, mio figlio che scende perché, salito in macchina dopo aver disposto le buste nel bagagliaio, quattro una a fianco all’altro nel piano del bagagliaio, due su uno dei due sedili della terza fila, ho un suv a sette posti, leggi alla definizione “famiglia numerosa”, dopo aver disposto le buste nel bagagliaio, prima di mettere in moto la macchina ho digitato sul gruppo WhatsApp di famiglia, anche noi come tutti ne abbiamo uno, la frase “Tommy scendi”, messaggio che invierò quando avrò superato una piazza che si trova a meno di cinquecento metri dal parcheggio, circa a metà strada tra me e casa mia, così che lui possa scendere mentre io arrivo, tenendo conto che devo superare quattro semafori, in genere sincronizzati, e che il più del traffico a quell’ora, in genere verso le 8:40 è ormai andato. Torno quindi a me che spingo un carrello stracolmo di prodotti dentro un supermercato tedesco, sono le 8:20 di un giovedì mattina, eccomi che imbocco un corridoio meno affollato, quello dove si trovano da un lato le bibite, Coca-Cola, succhi di frutta, The al limone o alla pesca, dall’altra snack dolci e cioccolate, oltre che, a un capo, noccioline, mandorle e altra frutta secca. Sono qui quando dalle casse della filodiffusione del supermercato, ormai da anni, come a seguire questa moda della pervasività violenta della musica, da che esiste Spotify e lo streaming ci hanno fatto credere che sia normale ascoltare sempre musica. Ogni minuto della nostra vita, spesso musica davvero di merda, ormai da anni, dicevo, tutte le catene di supermercati hanno le loro radio private, con musiche spesso discutibili che ci deprimono, immagino proprio volontariamente, così che noi affoghiamo la nostra disperazione indotta acquistando prodotti che in uno stato di lucidità non compreremmo mai. Sono qui davanti ai Pavesini quando partono le note riconoscibilissime, per me, di Psycho Killer dei Talking Heads, potere di essere andati a fare la spesa in un supermercato tedesco, mica all’Esselunga. Mi esalto, prendendo di conseguenza una doppia confezione di Coca-Cola senza caffeina, e inizio a canticchiare, facendo il verso a David Byrne. In realtà non canticchio, mimo, nel senso che penso le parole che però non pronuncio, inudibili se non ai cani della zona che riconoscono gli ultrasuoni. Di colpo sono di buon umore, nonostante ci sia Donald Trump alla Casa Bianca e qui fuori ci sia una nebbia cui Milano in ventotto anni che ci vivo non mi ha mai abituato, leggi alla voce “cambiamenti climatici”. Esco dal corridoio, pronto a affrontarne un altro, quando mi viene incontro un carrello di quelli più piccoli spinto da una coppia. Hanno intorno ai quarantacinque anni, forse anche qualcosa di meno. Lui spinge, ma è lei a guidare, mi sembra evidente. Ci incrociamo, forti dell’essere in uno spazio largo, rarità dentro supermercati come questi, e in assenza di altri clienti. Per questo, temo, riesco a sentire perfettamente quel che la tipa dice al tipo, accompagnando il tutto con la faccia di chi si è ostinato ancora una volta a provare un cibo che evidentemente gli fa schifo, leggi alla voce “ribrezzo”, “Senti che voce di merda che ha questo che canta”. Frase non rivolta a me, sia chiaro, la tipa sta guardando il tipo, non si è accorta del mio perfetto sync lip, ma proprio a David Byrne, lì a cantare “Psycho Killer, qu’est-ce que c’est?/ Fa, fa, fa, fa, fa, fa, fa, far better/ Run, run, run, run, run, run, run away”. Poi uno dice, perché ha vinto Trump.