È finita la pacchia. Questa sembra la parola d’ordine del nuovo governo a forza motrice di destra. E se i primi a veder finire la pacchia sono stati i fannulloni, tutti abbiamo sentito e letto le parole che accompagnavano la rottamazione del reddito di cittadinanza, i cui beneficiari sono stati appunto indicati come fannulloni, gente che se ne sta sul divano a sbafo invece che andare a cercarsi un lavoro, i secondi a sudare freddo sono i criticoni, parola di direttore d’orchestra Beatrice Venezi. Premesso che in questo caso i criticoni non sarebbero i critici tromboni, come da lessico salviniano, che indicava come professoroni coloro che, ovviamente di sinistra, facevano sfoggio della propria inutile cultura (le origini di questa denigrazione parte da lontano, da quando il ministro Tremonti diceva che con la cultura non si mangia, o forse anche da più lontano, le tv private ad analfabetizzarci a suon di tette delle soubrette del Drive In), no, stavolta il direttore intende proprio i criticoni, cioè coloro che stanno sempre a criticare, incontentabili. La cosa, di suo, farebbe ridere, e quando una cosa fa ridere prenderla sul serio significa arrendersi a una sconfitta annunciata, ma a vederla con attenzione presenta almeno alcuni punti di rilievo.
Primo, a lamentarsi dei criticoni, aggiungendo che non basta uno smartphone a fare di chicchessia un critico, non è uno al bar, tra un commento sulla sconfitta dell’Argentina con l’Arabia Saudita, e una battuta sulle nomination al Grande Fratello Vip (giuro che il tablet su cui sto scrivendo traduce fratello in flagello, le macchine sono il prossimo passo evolutivo dell’uomo, è evidente), no, a lamentarsi dei criticoni, trasformandoli incredibilmente in critici musicali e non solo è un direttore d’orchestra, chiamato dal neo ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, e anche questo fa piuttosto ridere, a ricoprire il ruolo di suo consigliere, ruolo inizialmente in qualche modo promesso dal sottosegretario del medesimo ministero, Vittorio Sgarbi, a Morgan. Cioè un direttore d’Orchestra, non un passante, con un ruolo istituzionale, dice che per i criticoni con lo smartphone in mano è finita la pacchia, andando a proporre un albo dei critici, musicali e non. Di più, nel corso dell’intervista al Corriere della Sera in cui ha proposto questa cosa, ha anche detto che è un atto dovuto perché i critici con una loro critica possono stroncare una carriera, come se di colpo fossimo stati proiettati in un passato passato dove chi recensiva dischi li recensiva in anticipo sulla loro uscita, a questo servivano le recensioni, andando a raccontare ai suoi lettori di che tipo di disco si trattasse, affinché una volta che quel disco fosse approdato poi nei negozi di dischi, lì si trovavano e solo li si potevano acquistare e poi ascoltare, uno potesse decidere se spendere dei soldi per averlo, perché un tempo, il direttore d’orchestra sembra non saperlo, i dischi si compravano e poi si ascoltavano, tramite supporti preposti a questo, oggi no, la musica esce sulle piattaforme, gratis, e il critico li ascolta contemporaneamente all’avventore del bar di cui sopra, al limite fornendo ai propri lettori una analisi atta a capire qualcosa che dall’ascolto sarebbe potuto sfuggire, sicuramente non influendo sull’esito di quella uscita, già avvenuta.
Non sapendo però il direttore tutto questo, è evidente, va anche oltre, e facendo sua la antica proposta di Morgan, cui ha soffiato il posto ma con cui, ci fa sapere, si scambia messaggi simpatici e col quale avrà modo di collaborare in seno al ministero, rilancia l’idea di tutelare il mercato discografico italiano, troppo esterofilo, come gli ottanta, dico ottanta, album italiani presenti nella classifica top 100 degli album, in effetti, dimostrano. La faccenda è tragica, ma non è seria, per dirla col maestro. Ma tornando alla faccenda dell’albo dei critici, il direttore d’orchestra con ruolo istituzionale non ci ha ancora spiegato, chi la intervistava era forse troppo inchinato per chiederlo, come la questione potrebbe mai prendere corpo, dal momento che chi scrive per riviste e quotidiani, quasi sempre online, non è neanche tenuto a essere iscritto all’albo dei giornalisti, lo dico perché scrivo articoli da oltre venticinque anni e, facendo mie le parole di Groucho Marx, non ho mai preso neanche il tesserino da pubblicista, pur potendo serenamente concorrere per quello da professionista, perché “non vorrei mai essere socio di un club che ha uno come me tra i suoi soci”. Nel senso, cosa succederà se mai l’albo nascerà? Potrà fare recensioni ritenute tali solo chi è iscritto? E chi non lo sarà dovrà dare altro nome ai suoi scritti? Chi non è iscritto all’albo non potrà proprio scrivere? Neanche su un blog o su un social, criticone con lo smartphone in mano sembrerebbe essere questo tipo di persona? Ma soprattutto, togliendo di mezzo la musica classica, del resto si insegna in un luogo chiamato Conservatorio, che vogliamo pretendere, ma per la musica leggera chi e come stabilirà chi è abilitato a svolgere il ruolo di critico musicale?
Fino a oggi funzionava che a deciderlo erano gli editori, quasi sempre, i lettori, nei casi del blog, ma soprattutto la comunità del mondo della musica, che riconosceva un ruolo a chi questo ruolo lo aveva. Svolgo il ruolo di critico musicale da venticinque anni, discografia, artisti, editori, lettori, tutti mi riconoscono questa competenza, conquistata sul campo. Oh, magari potremmo essere noi criticoni sul campo a essere chiamati a decidere chi è dentro e chi è fuori, parlo di quel che si anima dentro la testa del direttore d’orchestra, sotto la cascata di capelli biondi, grazie a Bioscalin, immagino. Del resto da non laureato di tanto in tanto vado, proprio come critico musicale, a tenere lezioni all’università come nelle scuole, parlo di pubblico, quasi sempre, e di privato, così come da anni tengo masterclass a riguardo e pubblico libri che sono a loro volta finiti in corsi universitari e citati dentro tesi di laurea, magari il direttore d’orchestra pensava proprio a me, vallo a sapere. Ovviamente no, ma anche fosse, spiace, mi troverei a dover spiegare al direttore d’orchestra con ruolo istituzionale, lo sto già facendo qui e ora, che no, un albo di critici per fermare i criticoni non si può fare, e che no, critici e criticoni non stroncano più nessuna carriera, come anche che no, non serve una legge che tuteli la musica italiana dall’inesistente invasione straniera e barbarica. La critica si auto regolamenta da sempre alla medesima maniera, confondere critici e criticoni è come pensare che chi si lamenta del governo al bar abbia poi una diretta influenza sul lavoro del governo, o chi fa il commissario tecnico della nazionale di calcio nel medesimo luogo possa cambiare formazione e modo di far scendere la squadra in campo.
Il fatto che lo si debba sottolineare immalinconisce, se non addirittura imbarazza. Del resto un altro membro del governo, con ruolo anche più centrale del direttore d’orchestra biondocrinuto, Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione e del merito, vai poi a capire di che merito si tratti pensando al ruolo che lui e il direttore d’orchestra si trovano a ricoprire, ha giusto detto che i lavori socialmente utili cui gli studenti devono sottomettersi, uso la parola sottomettersi perché questo è il quadro che esce dalle sue parole, decisamente sbagliate, servono a umiliare pubblicamente i medesimi studenti, uccidendo in una frase il senso dei lavori socialmente utili, e indicando, queste invece sono proprio parole sue, nell’umiliazione pubblica un fattore fondamentale per la crescita e la costruzione della personalità, vanificando in una singola affermazione decenni di progressi nel campo della pedagogia. Cioè, confondere educazione e punizione, e trasformando la collettività in una arena giudicante, lì a deridere il giovane umiliato, pronto, immagino, a diventare poi un bullo, o più semplicemente a suicidarsi, il tutto per viva voce del ministro dell’Istruzione e del merito. Roba da far rizzare i capelli, sempre che prima o poi non ci dicano che anche quelli vadano rasati, perché i capelli troppo lunghi sono sintomo di uno stato d’animo molle, poco virile, non abbastanza umiliato a suo tempo per poter oggi vestire con orgoglio i panni dell’italico. E dire, parlo per me, che spesso vengo accusato, con le mie critiche, ovviamente nel tempo divenute altro, non più indirizzate a una sorta di consigli per gli acquisti, quanto più a un trattato lieve è ironico di antropologia culturale, e dire che spesso vengo accusato con le mie critiche di umiliare troppo gli artisti, di essere una specie di bullo, quello cattivo, politicamente scorretto, temuto e temibile. Un criticone, forse, sia nel senso salviniano, ho sicuramente un grado di cultura superiore al suo e anche a buona parte degli artisti di cui scrivo, sia in quello indicato dal direttore d’orchestra con ruolo istituzionale, Beatrice Venezi, è di lei il direttore d’orchestra di cui sto parlando da non so più quante parole, come il presidente del consiglio Giorgia Meloni a chiedere che la si chiami al maschile, uno che con le sue critiche prova a distruggere carriere, lo smartphone in mano, ma anche uno con una attività che gli dovrebbe valere un ruolo educativo nella visione del ministro dell’Istruzione e del merito, Valditara, costantemente impegnato a umiliare cantanti e artisti, anche discografici e colleghi giornalisti e critici musicali, parlando di buchi di culo di cavalli come di altre astrusità. Dovessero andare avanti con queste visioni folli ho un bel piano B, mollo la musica e vado nel campo scolastico, da criticone a professorone è un attimo, si chiude una porta e si apre un portone, senza neanche dover passare dal reddito di cittadinanza. È finita la pacchia un cazzo.