Da lontano, illuminate dalla luce riflessa del palco montato al centro della piazza, le Vele di Scampia sono immense, imponenti, quasi maestose nella loro decadenza: dei transatlantici arenati nella notte, come li definisce poeticamente un collega mentre le osserviamo a distanza. Fino a questo momento le avevo viste solo nei film, nelle serie tv, nei videoclip, o ancora più spesso al telegiornale. Non avrei mai pensato, però, che mi sarebbe capitato di poterle osservare dal vivo così da vicino, e probabilmente vale anche per molti altri: chi mai metterebbe piede in quella che è stata definita la più grande piazza di spaccio d'Europa? Eppure da tre anni a questa parte, almeno per una serata all'anno (e per le settimane di intensa preparazione che la precedono), piazza Ciro Esposito a Scampia è diventata l'epicentro di uno dei più importanti eventi musicali del territorio, e come me, migliaia di persone da tutta Italia si riversano qui per un rito collettivo che celebra un genere vittima a sua volta di pregiudizi e incomprensioni, proprio come il luogo che lo ospita: il rap.
L'evento in questione si chiama Red Bull 64 Bars Live in cui si sono alternati sul palco nomi del calibro di Gué, Tony Effe, Kid Yugi, Rose Villain, Lele Blade, Massimo Pericolo, Artie 5ive e naturalmente Geolier, che giocava in casa. Per chi non avesse familiarità con il format, si tratta di brani inediti in cui il rapper di turno si produce in una sola lunghissima strofa, senza ritornelli o pause, di ben 64 barre, sinonimo di versi: una performance da lasciare senza fiato, letteralmente e in senso figurato. E soprattutto un modo per gli artisti per dare libero sfogo al proprio estro, senza freni, retropensieri o autocensure, tant'è che molti di quelli finora coinvolti hanno usato i loro pezzi per prendersela con lo status quo o direttamente con qualcuno. È il caso di Tony Effe, ad esempio, che da qui aveva fatto partire l'ormai famigerato dissing con Fedez. Ma se siete qui per leggere di questo, potete anche passare oltre, perché in conferenza stampa ha affermato di non aver “seguito granché la vicenda” (beato lui, aggiungeremmo noi), quindi non abbiamo nulla da dire in merito. Insomma, sia per il luogo che per il contenuto, Red Bull 64 Bars Live potrebbe rappresentare la celebrazione di tutto ciò che l'opinione pubblica considera spiacevole e sconveniente, da nascondere sotto il tappeto come se fosse polvere che offusca l'immagine dell'Italia. Si sa, per l'establishment l'immagine del Paese da promuovere all'estero dovrebbe essere quella del belcanto, della costiera amalfitana e del lago di Como, e non certo quella dei rapper sboccati e delle colate di cemento pronte a crollare per l'incuria. Eppure anche tra i più illuminati e liberali – o sedicenti tali – c'è chi nutre fortissimi dubbi su operazioni del genere. Un giornalista molto affermato una volta mi disse che non avrebbe mai mandato un inviato a documentare l'evento di Scampia, perché “noi non sponsorizziamo safari nel degrado”. E ovviamente ha torto, perché è proprio andando a Scampia che si scopre che il degrado sta nell'incapacità delle istituzioni di affrontare i problemi, e non certo in tutto il resto. È un posto normalissimo, con i ragazzini che si allenano a calcio nei campetti, le pizzerie che accolgono tavolate di amici, il classico traffico pazzesco di Napoli e sì, anche un paio di palazzi dalla concezione architettonica futuristica e un po' alienante, abbandonati a se stessi a marcire insieme ai suoi abitanti. Ma quegli stessi abitanti, anziché piangersi addosso, si sono inventati i modi più disparati per sopravvivere e continuare ad aspirare a un'esistenza migliore. “Ho amici che consegnano la spesa a domicilio agli anziani pur di guadagnare almeno 200-300 euro al mese” mi aveva raccontato Geolier, che in zona ci è nato e cresciuto, in un'intervista di qualche anno fa. “La colpa non è dei ragazzi che lavorano in nero, e non è neanche di quelli che cadono nella tentazione di fare cavolate: è di chi non fornisce nessuna alternativa”.
Portare la musica del riscatto in un quartiere che cerca riscatto non è una semplice operazione commerciale: è soprattutto un'iniziativa simbolica. In primis perché aiuta anche chi non ha speranze a capire che non sono stati dimenticati. Red Bull 64 Bars è un evento partecipatissimo, ieri sera c'erano oltre diecimila persone, senza contare quelle affacciate ai balconi. In prima fila, infatti, ci sono le famiglie del posto, che accorrono numerosissime dai nonni ai nipoti (tra il pubblico c'erano perfino lattanti in carrozzina), ma arrivano anche tantissimi ragazzi da fuori per vedere i propri idoli, che in una situazione normale non avrebbero mai messo piede in un posto del genere. E poi crea infrastrutture e lavoro: per organizzare un mega concerto di questo tipo ci vogliono settimane e c'è bisogno di driver, manovalanza, security, bisogna fare pressione sugli enti preposti perché ripristinino il cablaggio dove manca e sistemino la viabilità dove è carente, bisogna che le forze dell'ordine presidino più del solito e che le istituzioni territoriali siano presenti e partecipi, e via dicendo. Insomma, non solo si accende un gigantesco riflettore sulle Vele, ma perché tutto funzioni bene si è costretti a risolvere tante piccole e grandi magagne. Certo, per il quartiere non è una vera svolta definitiva, d'altronde non basta certo un concerto per ottenerla. Resta però un problema di fondo: in passato l'immaginario delle Vele di Scampia è stato spesso saccheggiato e vampirizzato da più personaggi, a fini puramente spettacolari, senza restituire nulla al territorio. Ma Scampia non è un'attrazione turistica, come giustamente ha fatto notare Geolier (il più acclamato della serata, una specie di novello Maradona per il tipo di entusiasmo che riesce a scatenare tra la folla) in una lettera aperta che ha letto prima della sua performance. “Non si può sfruttare l'immagine di una madre”, dice, riferendosi al quartiere che l'ha cresciuto. La morale della favola è: non sentitevi in colpa se siete curiosi di vedere luoghi come Scampia di persona, ma andateci con rispetto, e soprattutto consapevoli che ci abitano persone vere, che quando quel gigantesco riflettore si spegnerà saranno ancora lì a sperare che chi di dovere si attivi, prima che un altro pezzo di casa loro crolli sotto i piedi dei loro figli.