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SIC, il docu-film
su Marco Simoncelli
non fa piangere
e proprio per questo è bellissimo

  • di Alberto Capra Alberto Capra

14 dicembre 2021

SIC, il docu-film su Marco Simoncelli non fa piangere e proprio per questo è bellissimo
A 10 anni dalla scomparsa di Marco Simoncelli, il prossimo 28 e 29 dicembre arriva nei cinema il nuovo film documentario a firma di Alice Filippi. Un modo nuovo di concentrarsi sulla vita e sulla carriera di Marco, focalizzando l’attenzione sul percorso che l’ha portato a conquistare il titolo della 250 e arrivando, così, a coronare il suo sogno d’infanzia. Un viaggio tra filmati e interviste capaci di raccontare dettagli inediti senza lasciare mai spazio a una inutile malinconia

di Alberto Capra Alberto Capra

Lo ammetto candidamente: quando le prime immagini di ciò che avremmo visto all’interno del film sono state divulgate, ho pensato al peggio. Un finto Simoncelli, dentro a un capannone, indossa una tuta da moto, fino a quel momento sospesa nel vuoto. Un ambiente asettico, una dimensione onirica, prima che il tutto si sposti in pista, apparentemente a Misano, in sella a una replica della sua Aprilia 250. Ecco, ci risiamo, ho pensato, il motociclismo raccontato di nuovo da chi, di moto, non ne capisce nulla. Non era colpa del teaser in sé, intendiamoci: quelle stesse immagini fanno parte dell’incipit di SIC, il docu-film diretto da Alice Filippi, scritto con Vanessa Picciarelli e Francesco Scarrone, prodotto da Sky, Fremantle e Mowe, e distribuito da Nexo Digital. Ma “recitare” le moto, rappresentare in maniera artificiosa qualcosa di così tecnico e così profondamente ricco di dettagli, per di più volendolo fare a proposito di uno dei personaggi più amati e già raccontati dell’intero patrimonio sportivo nostrano, rischiava davvero di essere un’operazione ad alta probabilità di insuccesso. La notizia, invece, è che SIC è davvero ben riuscito: la finzione, al suo interno, è ridotta al minimo e ha il solo scopo di raccordare filmati più o meno inediti, con interviste molto interessanti, fornendo suggestioni utili al racconto di quella parte della vita di Marco Simoncelli troppo spesso trascurata: la conquista del Campionato del Mondo Classe 250 del 2008.

Approvato da mamma Simoncelli

Non si piange guardando SIC e questa è la seconda notizia. O meglio, non si piange come di solito lo si fa quando vengono raccontate le gesta di questo ragazzo e le sue ultime ore di vita. Non si piange perché sono proprio queste ultime a non far parte di questa narrazione. Ettore Paternò, tra i produttori esecutivi di SIC, lo ha spiegato bene: “Le vicende di Marco, ciò che gli è successo nel corso della prima parte della sua carriera, fino al 2008, rappresentavano una storia già sufficientemente ricca di tutti quegli elementi che rendono la narrazione delle gesta di un eroe assolutamente perfetta: l’ascesa, la caduta, la rivalsa. Perché concentrarsi anche su quello che gli è poi successo in Malesia? Quell’evento è un fatto triste, qualcosa che non c’entra con questa storia, con la storia del coronamento di un sogno che Marco aveva fin da bambino: diventare un giorno un campione del mondo”.

Un approccio che, non a caso, ha trovato la benedizione anche della mamma di Marco Simoncelli, notoriamente restia a condividere con il resto del mondo un dolore così grande come la perdita di un figlio. Paolo Simoncelli l’ha raccontato, in occasione della presentazione del film alla stampa, avvenuta ieri mattina in un cinema di Milano: “Ho rischiato il divorzio per quanto ho insistito, ma alla fine anche mia moglie si è convinta a permettere che Alice desse vita a questo progetto. Posso dire che anche lei l’ha visto e che le è piaciuto molto”.

Il ricordo della Kate e di Valentino

A rendere SIC un prodotto convincente contribuisce di certo la presenza, al suo interno, della sostanziale totalità delle persone a lui più vicine, in quel periodo. Oltre a Mattia Pasini, Carlo Pernat, Paolo Beltramo, Alvaro Bautista, Claudio Costa, Aldo Drudi, Aligi Deganello, Sanzio "Malabrocca" Raffaelli, Giampiero Sacchi, Guido Meda, c’è, insomma, anche Valentino Rossi e c’è pure “la” Kate, come tutti la chiamano da quando abbiamo imparato a conoscerla, al fianco di Marco, in giro per i circuiti di tutto il mondo. Sono proprio i loro gli interventi più gustosi e ricchi di particolari inediti, nel corso del film: dall’approdo di Marco alla Cava, passando per i momenti di difficoltà, confidati in camera caritatis all’idolo divenuto amico, per finire con quel primo bacio dato a Kate, diventato qualcosa di più, nei racconti agli amici, senza che lei lo sapesse per anni

Alice Filippi, la regista cresciuta tra i piloti

Alice Filippi ha così il pregio di aver messo insieme un racconto che è prima di tutto reale, credibile, che aggiunge qualcosa a un argomento su cui tutti noi appassionati di moto siamo convinti di sapere già tutto. Un piccolo miracolo reso possibile anche grazie all’unicità della figura di Alice, regista sì, ma proveniente da una famiglia di piloti, in cui molte delle esperienze vissute da Marco, nella prima parte della sua carriera, sono comuni a quelle provate da Luca Filippi, suo fratello, volto di Sky e pilota già impegnato in IndyCar e Formula E, oltre che vice campione del mondo di GP2. “Di certo non mi hanno dovuto spiegare che cosa c’è nella testa di un pilota” ci conferma, dopo la proiezione, “perché uno, anzi due, ce li ho avuti in casa per anni. Mio padre è stato campione italiano di rally, nel 1982, su Lancia Stratos; mio fratello è un pilota, è stato collaudatore in F1… Insomma da quando lui era piccolino, dai tempi dei go-kart, sono sempre andata in pista… È una passione che involontariamente mi è arrivata. So benissimo cosa c’è dietro questi successi, so benissimo qual è lo stimolo che ha mosso una persona come Marco. A tanti sembra una follia portare i propri figli a correre, ma in realtà non è così. Io ho messo i miei figli sui go-kart quando avevano 5 anni (ride, nda)! È uno sport come tanti altri, che richiede grinta forza e determinazione”.

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La regista, Alice Filippi, durante le riprese sul circuito intitolato a Marco Simoncelli

Come mai la scelta di concentrarsi solo sul 2008? “L’idea era proprio quella di fare un film non solo per gli addetti ai lavori ma anche per chi fosse solo incuriosito dalla figura di Marco. Raccontare una storia di talento e di coraggio. E per farlo, a mio parere, era necessario lavorare su un arco temporale ridotto. Volevo raccontare la storia positiva dell’ascesa di un campione che mi sembrava una sceneggiatura già scritta. Il campione che ha grandi aspettative, la caduta, nessuno crede in te e poi ce la fai! Un po’ come Rocky (ride, nda)”. Cosa ti porti a casa di questa immersione nella famiglia Simoncelli? “Mi ha arricchita tanto, a livello personale, è stata una bella esperienza, ma è stato anche molto difficile. Non ci conoscevamo e ho dovuto in qualche modo conquistare la loro fiducia. Abbiamo parlato della persona più cara che hanno! Loro si sono fidati molto di me ed io, insomma, a tratti ho provato una certa ansia da prestazione, anche perché l’idea era di raccontare prima di tutto una persona e non soltanto un personaggio. Ma Paolo ha un cuore grande dietro quel baffo! Sembra un po’ burbero ma ha un cuore gigante (sorride, nda)”. E poi c’è stata l’approvazione della mamma di Marco… “È stata una grandissima soddisfazione. In certi frangenti, non ti nego di essere stata un po’ in difficoltà perché, essendo anche io una madre, comprendo perfettamente la motivazioni che la portano ad essere così riservata. Credo che lei abbia capito che il mio intento era quello di rivalutare Marco, di fare in modo che sia ricordato anche e soprattutto per ciò che è raccontato nel film, non per quello che è successo dopo. Questa è la storia di Marco: la storia del suo carisma, delle sue vittoria e del campione che è riuscito a diventare.”

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