Mescolare alto e basso è bello. Bello, ma rischioso, come praticare qualsiasi tipo di commistione tra generi in apparenza troppo distanti tra loro. Tipo mettere insieme un calciatore e una cantante politicamente impegnata, verrebbe da pensare, magari, leggendo il titolo, ma sarebbe un clamoroso andare fuori strada. Il fatto è che sono nato nel 1969, figlio di genitori nati prima della seconda guerra mondiale, normale che abbia vissuto un po’ male il fatto che di colpo tutto il futuro possibile sul quale avevano basato la loro idea di famiglia, di vita insieme, fosse andato serenamente all’aria, sostituito di volta in volta dalla cupezza degli anni di piombo, nei quali sono stato bambino, della guerra fredda, e via via, fino a che è stato chiaro a tutti, ma proprio a tutti tutti, che quel modello di progresso così tanto idealizzato altro non era che una menzogna, loro, i miei genitori, cattolici praticanti avrebbero detto una casa costruita sulla sabbia. Qualcosa cui contrapporre dell’ironia, quella era la sola cosa che ci rimaneva, mescolare l’alto e il basso, appunto, postmodernismo laddove prima c’era la cieca fiducia nel domani. Quindi eccomi qui a mescolare alto e basso, correndo scalzo su un filo di rasoio, lo so, ma i piedi sono miei, sia mai che non voglia correre un rischio. La bachata è un genere musicale, accompagnato da un tipo di danza, nato nella Repubblica Domenicana nel XX secolo, recita Wikipedia, e Dio mi fulmini per essere andato a cercare lì qualche informazione. Un genere che mescola ritmi latini, siamo nei caraibi, con quelli africani, come se i ritmi latini arrivassero da qualche altra parte, andando a mashuppare il tutto con suoni europei, dice sempre quel sito. A lanciarla verso il mondo intero è stata una band, gli Aventura, e so che sapete perfettamente di chi stia parlando, con una canzone che si intitola Obsesion. Il ritornello con quei versi “No no es amor/ lo es tu sientes se llama obsesion/ Una ilusion/ En tu pensamiento/ Que te hace hacer cosas/ Asì funciona el corazòn”, traducibili così “No non è amore/ quello che senti/ si chiama ossessione/ Un’illusione/ nei tuoi pensieri/ Che ti fa fare cose/ il cuore funziona così”, elevati a vero tormentone, tutti a provare i passi di quella danza sensuale, sì, ma anche abbastanza ridicola, se praticata da chi poco sa applicare i movimenti sul ritmo, parlo per me. Dubito che Mercedes Sosa, detta la Negra, cui Simona Molinari e Cosimo Damiano Damato hanno dedicato uno spettacolo teatrale a metà tra parola e musica, diciamo pure tra la poesia e la musica, perché le parole scritte da Damato e recitate da Simona e lui stesso sono pura poesia, di impegno e di storie, di sentimenti e di resistenza rivoluzionaria, Diego Armando Maradona, qui El Pelusa, a farne da contraltare, abbia mai intonato, anche incosapevolmente una bachata. Sicuramente, su questo mi sentirei di metterci una mano sul fuoco sulla fiducia, non ha mai cantato Obsesion degli Aventura, anche se, proprio per quella faccenda dell’alto e del basso, del postmodernismo e del progresso, non mi sarebbe spiaciuto in caso ascoltarla. Altrettanto sicuramente non l’ha mai cantata, almeno in pubblico, Simona Molinari, ma questo magari posso pure chiederglielo personalmente. Perché, e poi passo a parlare di questo spettacolo che, come il disco che qualche mese fa è uscito, inaspettato e anche per questo essere inaspettato ancora più bello di quanto già non sarebbe stato solo per il fatto che a cantarlo sia Simona Molinari, che per intendersi è una delle più grandi cantanti che l’Italia tutta ospiti oggi, ma anche guardando allo ieri, perché, dicevo, Simona Molinari, sempre lei, è la mia obsesion. Niente di piccante, di morboso, sia chiaro, parlo di ossessione musicale. La sento cantare e vado in estasi. Roba che per fare lo stesso, ho da poco visto la puntata uscita su One More Time, Gio Evan ci si è dovuto fare dieci anni mangiando bacche e dormendo a terra. Vado in estasi perché la trovo, a ragione, è, non è che sono io a essere strano, una voce che è capace di toccare corde che altrimenti restano intoccate, e perché sapendo come farlo lo fa con grazia, senza mai strafare, anzi, elargendo anche eleganza e, questo sì, quella carica di sensualità che la musica in genere dovrebbe portare con sé. Ok, quindi Simona Molinari es mi obsesion.
Obsesion che, visto e sentito il recital, diamo alle cose il giusto nome, El pelusa y la negra, non può che essere aumentata. Perché se il canto è indubbiamente il talento che Simona Molinari si è trovato in dote, talento che, evangelicamente, non ha sotterrato, sperando fruttasse, ma educato e elaborato, toccando vette davvero altissime, quando si tratta di recitare, lo avevamo già intuito nel film C’è tempo, di Walter Veltroni, la nostra non è indubbiamente da meno. Del resto, il talento di un artista non si limita solo a esprimere la propria arte assecondando la propria cifra personale, ma anche scegliendo appunto a cosa applicarlo, detto talento, il testo scritto per lei e intorno a lei da Cosimo Damiano Damato, con lei in scena, è di quelli che ti tengono incollato al palco con le soglie dell’attenzione sempre attive, non bastasse la presenza su detto palco proprio di Simona Molinari, lì a cantare e recitare. Due storie, quella di Mercedes Sosa, cantante altrettanto estatica, pasionaria, politica, sì, politica, e Diego Armando Maradona, dio del calcio, artista, politico, anche lui, sembrano esistite proprio per finire in un testo che le legasse definitivamente tra loro, la comune terra di origine, un comune sentire, pur nelle mille diversità di espressione e di condotta. Ecco, so che potrei passare per uno che dice enormità, ma qui sono io a scrivere e io a firmare, direi che mi posso permettere azzardi su cui metto poi la mia faccia, ma direi che pensando a Simona, che canta in italiano, spagnolo, napoletano, nella splendida Nu fil’ ‘e voce, scritta per lei da Bungaro, quanta grazia, sfiorando pure il francese, la voce sempre perfetta, emozionante, impeccabile, direi che pensando a Simona, Simona Molinari, una dea del canto, sentite la Povera patria con cui chiude per credere, accompagnata da un carismatico Cosimo Damiano Damato, drammaturgo e istrione, direi che pensando a Simona Molinari ci stiamo muovendo nello stesso territorio proprio delle Mercedes Sosa, dei Diego Armando Maradona, non confondete le platee, si parli dell’ex San Paolo di Napoli o la Bombonera di Buenos Aires o, ieri, il Teatro Carcano di Milano, un fuoriclasse è fuoriclasse sempre, lo si capisce da cosa fa, e come lo fa. El Pelusa Y la Negra, di e con Cosimo Damiano Damato, con una divina Simona Molinari a incantare in scena è uno spettacolo che non potete perdervi, non dovete perdervi, fidatevi di chi l’ha visto e ne ha goduto. No es amor, lo que siento se llama obsesion.