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Ma perché non mi sono ubriacato al release party del nuovo disco di Irama? Non ne ho idea. Il reportage del lancio di "Antologia della vita e della morte"

  • di Gianmarco Serino Gianmarco Serino

  • Foto: Profilo Instagram @irama.plume

18 ottobre 2025

Ma perché non mi sono ubriacato al release party del nuovo disco di Irama? Non ne ho idea. Il reportage...
Non ho bevuto, e non so spiegarmi il perché. Forse volevo restare lucido per capire Irama, tra i bracieri del Sanctuary e i giornalisti col bicchiere pieno. "Antologia della vita e della morte" è un rito di purificazione. Ma il dubbio rimane, forse ho sbagliato a non bere...

Foto: Profilo Instagram @irama.plume

di Gianmarco Serino Gianmarco Serino

Il fumo che si solleva dal braciere nella corte del Sanctuary, in porta Genova, si sposta a seconda del vento come una lancetta che ruota nel quadrante di un orologio e finisce addosso ai giornalisti di questa o quella testata, che si spostano a turno per evitare di affumicarsi. Un tipo vestito di nero, con abiti in japan-style, dal capello un po’ lunghetto e l’aria dimessa, tiene d’occhio il focolare, attento che non si spenga, e a più riprese gli si avvicina, come se fosse un figlio, per alimentarlo e curarlo. Le cameriere, nel frattempo, servono calici di moscato per intrattenere gli invitati che attendono, ma io rifiuto, questa volta non posso bere. Basta, non posso ubriacarmi ad ogni release party a cui mi invitano. Un signore dall’aria giocherellona, che si trova lì per caso, domanda in giro di che evento si tratti. I giornalisti rispondono che è il release party dell’ultimo disco di Irama, che però è un po’ in ritardo. Si trova ancora da Maria De Filippi, ad Amici. L’attesa riflette la luna decadente di un giovedì sera qualunque, come lo specchio d’acqua calmo della piscina circondata di palme - cifra del locale che ha aperto da poco a Milano - dove verrà presentato "Antologia della vita e della morte". Prodotto da Warner, è un titolo che certamente innalza l’asticella delle aspettative, rifletto, ma senza ispirazione. Tutti gli artisti di successo sono persone ambiziose, ma dalla figura di Irama trasuda particolarmente quella determinazione, quella tensione corporea volta a curare ogni minimo dettaglio della propria musica e della sua promozione, quel fuoco creativo fanciullesco e allegro tipico di quei cantanti nel pieno delle loro forze. Fossi stato ubriaco probabilmente non avrei pensato tutte queste sciocchezze, che però potrebbero anche avere un senso nel mondo delle persone serie.

Sanctuary Milano
La piscina del Sanctuary di Milano porta Genova

In un panorama musicale dove gli album vengono sfornati a profusione per rincorrere un pubblico sclerotico, Irama questa volta ha scelto la via più interiore e notturna dell’esercizio spirituale, quella che, secondo Ignazio di Loyola, è necessario imboccare per dominare il tempo, come il dolore, un sentimento come gli altri. Irama è un gesuita della musica pop, penso e a questo punto mi rendo conto di quanto la sobrietà possa essere onirica. Proprio attorno al dolore ruotano i pezzi del disco. Amori spezzati che lasciano tracce di affetto, brandelli di intimità e frammenti di ricordi. La scrittura di Irama è asciutta, ma capace di adagiarsi sull’intero ciclo armonico, coerentemente e senza retorica, senza voler dare lezioni a nessuno, ma con l’esigenza di tirar fuori un dolore per dargli un senso condiviso con il pubblico. In fondo, scrivere una canzone è un processo di traslitterazione e traduzione di emozioni in pensieri, quindi in suoni e parole. E la traduzione è una preghiera, e la preghiera è al tempo stesso intima e corale. Questa è, peraltro, l’atmosfera di cui è intriso il Sanctuary. Però una bella bestemmia, lanciata così, per rompere un po' la tranquillità della serata poteva pure starci. Già all’ingresso si notano, su alcuni tavolini illuminati da candele di cera bianca, delle buste contenenti una lettera scritta da Irama, ciascuna sigillata con un francobollo. Su di esso, il disegno di due bicchierini da shot che brindano. Poi, sulla carta intestata della lettera, un timbro rotondo in cui è iscritto l’acronimo del disco, "Advdm", nel mezzo di un serpente che si morde la coda, simbolo dell’eterno ritorno di nietzschiana memoria. Entrando nella grande sala dell’ex scalo ferroviario - dalle sembianze di un vero e proprio santuario in stile industrial - sulla destra, in quello che potrebbe somigliare all’abside di una chiesa protestante, un tappeto di candele dalla fiamma tremolante che circondano il palchetto dove si esibirà Irama. Una chitarra acustica, un basso elettrico fretless, un pianoforte a coda lungo e nero, un cajon con qualche Zildjian sparso qua e là, e al centro il microfono del sacerdote. La gente, in gran parte vestita di nero, dopo il consueto pellegrinaggio al bancone per assaggiare la lista dei drink - immancabilmente ispirata all’album dell’artista - si affolla in un semicerchio attorno all’altare dove la messa sta per avere inizio. Mi faccio il segno della croce, accanto a me le immancabili giornaliste di Chi, anche loro totalmente sobrie, in estasi quando Irama fa il suo ingresso insieme alla band. Porta una giacchetta nera con croci Swarovski, una canottiera bianca e pantaloni scuri. Lui sì, invece che ha bevuto, ma è una vera rockstar ed è sul pezzo. Vorrei essere lui in quel momento. Tutti, o quasi tutti, hanno già ascoltato il disco, ma tra l’entusiasmo dei più, si scorge anche l’attendismo di una certa parte del pubblico che, poco prima, commentava un po’ cinicamente alcuni brani dell’album.

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Il palco di Irama illuminato con le candele
Il palco illuminato con le candele

Eppure pezzi come "Arizona", realizzato con Achille Lauro, sono decisamente interessanti a livello stilistico, c’è voglia di sperimentare nuovi suoni e ritmi, seppur mantenendo un certo minimalismo di fondo. Un brano come "Senz’anima", invece, riprende il suo vecchio stile e può suonare in cuffia come nulla di nuovo. Eppure, dal vivo, il muro di suono è potente, anche se non hai bevuto, e Irama sa come sedurre il pubblico. Alza il gin tonic, esorta tutti a farsi una bella bevuta e canta "Tutto tranne questo", lanciando un guanto di sfida agli Oasis, che a Wembley (nella foga si confonde con Wimbledon) hanno infranto il record di birre vendute in un solo concerto. Risata generale e io mi trattengo dall'ordinare da bere al bancone mentre il pubblico si ricompone per i brani successivi, più lenti e dolorosi. Ad ogni modo, se "Arizona" è il pezzo con più groove e identità, "Galassie" è certamente il brano di punta dell’album. Uno di quei pezzi che, pur essendo composti da una progressione molto semplice di accordi, se suonati alla chitarra possono essere molto utili per rimorchiare in spiaggia e lì vi consigliamo di non bere onde evitare performance deludenti. Finito il breve concerto, la gente non rimane molto a lungo. Irama saluta i suoi per poi ritirarsi subito nel backstage con una bella biondina. Effettivamente, "Antologia della vita e della morte" è un disco che va ascoltato dal vivo per poterne cogliere la forza, che un po’ si perde in un ascolto su Spotify. Chiacchierando un po' in giro, pare che anche il pubblico più scettico si sia ricreduto positivamente, ma forse sono tutti ubriachi tranne me. Qualche giornalista si attarda per l’ultimo drink e, piano piano, il locale si svuota. Uno a uno, gli ospiti se ne vanno e salutano ciascuno il custode del braciere, che ormai, con un sorriso tiepido e malinconico, guarda il suo fuoco spegnersi insieme alla cerimonia e io mi sento un po' come lui. Perché ora sì, la messa di Irama può dirsi finita e mi domando perché mai, non ho voluto approfittare dell'openbar.

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