Er Colosseo e i Fori, er Fontanone e Piazza de Spagna, er Pincio, l'Isla Tiberina, Trevi, Colle Oppio. Maddeché, il posto più bello de Roma è la Stazione Termini. Inflessioni (orgogliosamente) romane a parte, lo snodo della Capitale – per affluenza il primo in Italia e il quinto in Europa – è un posto nevralgico di accecante e umana bellezza. Provate a passarci di venerdì, magari a maggio, nel tardo pomeriggio, quando la luce arancione riflette sul granito bianco e sulle vetrate, rimbalzando sugli ATAC rossi parcheggiati a Piazza dei Cinquecento, fino ad arrivare poco più giù, a Piazza della Repubblica. È uno spettacolo, vivo e pullulante che incrocia verticalmente donne e uomini di ogni età e di ogni estrazione sociale. Studenti, piccioni, zingari, famiglie, turisti, manager, poveracci, cani, storpi, pendolari, preti, gabbiani, ladri, artisti, puttane, immigrati. Protagonisti di una Roma popolare e irrinunciabile, nonché protagonisti del libro Stazione Termini, LookBook 2009-2021 realizzato dal fotografo Niccolò Berretta.
Più di 500 scatti in dodici anni, raccolti in un volume incredibile che cita Diane Arbus e Brandon Stanton (quello del magnifico progetto Humans of New York), alternati ai testi di Pierpaolo Piccioli (direttore creativo Maison Valentino), di Federico Lodoli (scrittore e documentarista) di Carlo Gabriele Tribbioli (documentarista e artista), di Gabriele Silli (artista) e dell'editore Paulo von Vacano. L'opera, edita da Drago Publisher e in vendita da Aprile (ma che trovate già in stock sul sito di Drago, super gentili e super veloci, quindi andate e ordinate) è così una immersione di facce.
Facce sporche, belle, brutte, strane, inquiete, anonime, folgoranti. O meglio ancora, allucinazioni di un mondo tanto grande quanto piccolo, in cui trovare qualcosa mentre si cerca qualcos'altro ancora. Come la vita, come una fotografia, la Stazione Termini è, poeticamente, anche uno stato mentale. Alcune volte astratto, alcune volte tangibile e brutale nella sua romantica malinconia.