Arrivato alla sua seconda stagione, non ci sono più dubbi: il reality coi vip in fuga continua a interessare solo il social media manager della piattaforma di streaming, costretto al gravoso incarico di estrapolare i frame meno soporiferi di queste prime tre puntate nella speranza – vana – che qualche utente abbia il buon cuore di trasformarli in meme. Praticamente lo show si riconferma un test di Cooper dal budget spropositato che, questa volta, ha per protagonisti Stefano Accorsi, Vanessa Incontrada, Achille Lauro & Boss Doms, Elodie & Miss Keta, Diletta Leotta. La loro missione è presto detta: darsi alla macchia per 14 giorni senza farsi beccare dai Cacciatori, ex membri dell’Intelligence italiana, che stanno alle loro calcagna come fossero pericolosissimi trafficanti internazionali di marshmallow avariati.
Un dispiegamento di forze che risulta quantomeno pretenzioso quando non proprio godibile come il sale nel caffè considerato che non c’è alcun motivo per mettere in piedi tutta questa pantomima che di adrenalinico ha solo il disperato tentativo, da parte del montaggio, di renderla tale. La mancanza di un vero movente che innesti l’azione è così manifesta anche agli stessi concorrenti che solo chi tra loro recita di professione riesce a risultare vagamente interessato a quanto sta accadendo. “Vagamente” nel senso che il pathos è quello di chi legge per la prima volta il copione di un corto a cui prende gratuitamente parte perché il cugino Luigi vuole tanto fare il regista da grande.
A tirare, comunque a stento, la (costosissima) carretta sono infatti Vanessa Incontrada e Stefano Accorsi, mentre gli altri vivono l’esperienza all’insegna del cazzeggio, ma un cazzeggio scritto, imposto, non divertito. Ed eccoci al secondo problema, proprio a livello strutturale, del format: spacciato per unscripted, Celebrity Hunted manifesta a ogni scena un copione invisibile ma pesantissimo che ammazza la spontaneità dei concorrenti. Così Achille Lauro e Boredom (pardon, Boss Doms) si travestono incessantemente – non può certo mancare l’abito da sposa di sanremese memoria -, le ragazze di Porta Venezia Myss Keta e Elodie (che doveva essere Elettra Lamborghini?) vanno in giro vestite da suore (ma dai?) e, seguendo questa scia di scioccante imprevedibilità, ogni concorrente non esce mai dai binari del proprio personaggio, facendo esattamente ciò che il pubblico medio si aspetterebbe che facesse. Compresa Diletta Leotta, qui in versione Barbie Fuggiasca, che, rapita dal brivido dell’inseguimento, fa una sosta dal parrucchiere per sistemarsi la chioma, si applica maschere di bellezza sul viso e via di selfie coi fan. Praticamente, per lo spettatore, è come ritrovarsi nel loop delle sue storie Instagram. Solo che per vederle, tali e precise, qui c’è prima da pagare l’abbonamento a Prime.
Passiamo al team dell’Intelligence che può fregiarsi di avere forse il ruolo più indigesto dell’intero show. L’idea che stimati professionisti con lunghissime e onorate carriere nei servizi segreti italiani ora prestino il fianco, il volto e tutto il loro entusiasmo al nobile scopo di catturare Achille Lauro travestito da Pocahontas oltre a essere svilente nei confronti del ruolo che ricoprono o hanno ricoperto, dà quell’impressione da giudice di Forum Mediaset che non ci si aspetterebbe di trovare su una piattaforma così trasversale e attenta alla freschezza dei contenuti quale (dovrebbe essere) Prime Video. In un certo senso, è come se stessimo guardando ciò che appassiona nostra nonna ogni pomeriggio. Però in streaming.
Celebrity Hunted è un “combattimento” dichiaratamente finto, con costumi sopra le righe e personaggi (fin troppo) ben definiti e riconoscibili, in pratica è come il wrestling ma senza quella teatralità, senza quei gesti agonistici che tengono incollati allo schermo nonostante la manifesta inconsistenza di ciò che stiamo guardando. Il format, di origine britannica, si è fermato alla prima edizione in Spagna, Russia, Stati Uniti, e Danimarca, chiudendo i battenti alla seconda in Francia e proseguendo fino alla quinta solo nei Paesi Bassi. Parafrasando Myss Keta, uno show che conta, uno show che 1, 2. E stop, grazie.