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Suburra, ecco che fine ha fatto il vero Samurai Massimo Carminati

  • di Redazione MOW Redazione MOW

30 ottobre 2020

Suburra, ecco che fine ha fatto il vero Samurai Massimo Carminati
La maggior parte delle persone, anche appassionati alla serie, lo ritiene ancora dietro le sbarre. E invece è un uomo libero già da qualche mese. E ha anche commentato il suo personaggio in film e fiction: "Mi prendono in giro tutti"

di Redazione MOW Redazione MOW

Stasera riparte Suburra, una delle serie di Netflix più attese ma, forse se lo dimenticano in molti, si basa su circostanze e personaggi realmente esistiti. Anzi, i personaggi sono ispirati a persone tutt’ora vive e vegete e in molti casi che non si trovano neanche più in carcere, come si potrebbe pensare.

È il caso di Massimo Carminati, in Suburra “Samurai”, l’uomo chiave di “Mafia Capitale” (che le sentenze hanno stabilito non essere più “mafia”) e che forse la maggior parte degli amanti della famosa serie, così come del film e della serie Sky Romanzo Criminale nei panni del “Nero”, credono ancora dietro le sbarre.

E invece non è così, perché nel giugno scorso Carminati è tornato libero. Dopo una detenzione di 5 anni e 7 mesi, l'ex militante dei Nar, accusato dalla procura di Roma di essere il promotore e l'organizzatore, assieme al 'ras' delle cooperative Salvatore Buzzi, di un'associazione per delinquere di stampo mafioso che ha minato le fondamenta delle istituzioni, condizionando le gare di appalto e corrompendo funzionari, imprenditori ed esponenti politici dal 2011 al 2015, ha lasciato il carcere di Oristano.

Camicia e pantaloni blu, una borsa e una busta tra le mani, alle 13.30 in punto, il Nero è salito su un taxi venuto a prenderlo appositamente all'ingresso del carcere dove ad attenderlo c'era solo una pattuglia di giornalisti. Carminati è apparso piuttosto infastidito dalla loro presenza e non ha risposto ad alcuna domanda. Quindi si è subito allontanato a bordo del taxi.

La sua scarcerazione è stata un successo dei nuovi difensori (Cesare Placanica e Francesco Tagliaferri, subentrati all'indomani della sentenza di secondo grado allo storico legale Bruno Giosuè Naso), formalizzato dal tribunale della libertà secondo cui per Carminati erano scaduti i termini di custodia cautelare (scattati il 30 novembre del 2014) e ha scontato i due terzi del reato più grave (la corruzione, essendo caduta la mafia). A ottobre dello scorso anno la sentenza della Cassazione secondo cui il processo al 'Mondo di Mezzo', ex Mafia Capitale, ha dimostrato che Carminati "non ha gestito alcun ruolo con settori finanziari e servizi segreti" né è mai stato "terminale di relazioni criminali con altri gruppi mafiosi". Si era detto e scritto che Carminati e il suo gruppo avessero "contatti significativi" con il clan dei fratelli Senese, con il clan Casamonica, con Ernesto Diotallevi ("esponente della cosiddetta banda della Magliana e tramite del sodalizio con la mafia siciliana di Pippo Calo'"), e con il clan dei Santapaola, come raccontato da un collaboratore di giustizia. Niente di tutto questo. Per la Suprema Corte, Carminati ha coltivato "relazioni determinanti solo con alcuni ex commilitoni nella medesima area politica di estrema destra che, in un dato periodo, erano stati inseriti nell'amministrazione comunale".

Perché è stato arrestato

Milanese di 62 anni, viene arrestato il 30 novembre del 2014 poco lontano dalla sua abitazione di Sacrofano. Gli viene contestata la detenzione di armi, che non si troveranno mai. Di lì a qualche giorno, vanno in carcere altre 36 persone nell'ambito dell'inchiesta mediaticamente conosciuta come Mafia Capitale. L'ex Nar sconterà 5 anni e 7 mesi dietro una cella per questa vicenda. Dopo Rebibbia, va a Tolmezzo, quindi a Parma (quando viene sottoposto al 41 bis) e Oristano. Il 20 luglio del 2017 il tribunale lo condanna a 20 di reclusione per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e a tanti altri reati. L'11 settembre del 2018 la corte d'appello riconoscendo la sussistenza della mafia e infligge a Carminati 14 anni e mezzo. Verdetto annullato dalla Cassazione il 22 ottobre del 2019 che fissa un nuovo processo solo per la rideterminazione delle pene. Dopo quattro giorni, il regime del carcere duro viene meno. Incassato il parere positivo della Dda di Roma e della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, il Guardasigilli Alfonso Bonafede firma il decreto di revoca del 41 bis per Carminati, che è poi tornato libero.

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Massimo Carminati scarcerato

Dove nasce la leggenda

Nasce a Milano, ma arriva a Roma con la famiglia, da ragazzino. Fuan, Avanguardia nazionale, i Nar di Valerio Fioravanti segnano i suoi vent'anni. «A quattordici anni avevo la pistola, una 7,65, 20.000 lire la pagai... Ci andavo a scuola con la pistola...», si vanta con un giovane dell'estrema destra di oggi. Dopo gli anni di piombo, la fuga in Libano. Poi ancora Roma, con la Banda della Magliana. «Ero amico del 'Negrò (Giuseppucci, ndr), il capo, l'unico vero che c'è mai stato nella banda - dice, intercettato - Con lui un grande rapporto di amicizia e conoscevo tutti l'altri. Quando lo hanno ammazzato, sono rimasto dispiaciuto. Ho avuto, diciamo, una sorta di rapporti con tutti 'sti cialtroni».

Nella sua carriera criminale c'è posto anche per le accuse nell'omicidio di Mino Pecorelli (assolto) e per il furto al caveau della Banca di Roma del luglio 1999, operazione messa a segno all'interno del Palazzo di Giustizia di piazzale Clodio. Nell'aula bunker di Rebibbia romperà il silenzio, a quasi un anno dall'inizio del dibattimento, per attaccare L'Espresso, per quella copertina 'Ricatto alla Repubblica' - in cui si fa riferimento a documenti rubati nelle cassette della cittadella giudiziaria, con cui Carminati terrebbe in pugno avvocati e magistrati - e ammettere per la prima volta che i soldi li ha fatti grazie al colpo al caveau. «In quel caveau è vero che c'erano molti documenti ma tra un documento e l'altro ho preso anche qualche soldo. Solo i carabinieri fanno finta di non capire da dove ho ricavato la mia disponibilità economica», dirà in aula.

Colleziona arresti e condanne ma grazie a tre indulti è libero quando il 2 dicembre viene bloccato su una stradina di campagna di Sacrofano, a due passi dalla villa dove abita, Carminati scende dalla smart grigia, con le mani alzate, da uomo senza conti in sospeso con la giustizia. È uno dei «quattro re di Roma». Nel corso del maxiprocesso, lo storico difensore di Carminati, Giosuè Naso, parlerà di «processetto» dal punto di vista tecnico-giuridico e «stalinista, per cui ti metto sotto indagine per quello che sei e che rappresenti e non per quello che hai fatto». La figlia Ippolita Naso conierà il termine «mafia parlata» per dire che al di là delle chiacchiere e delle vanterie, Carminati non ha niente di mafioso, secondo quanto almeno è previsto dal 416 bis.

Carminati commenta il personaggio delle fiction

Nel corso del processo «Mafia capitale» (2017) l'imputato Massimo Carminati esprime il proprio disappunto in merito ad alcuni personaggi di romanzi, film e serie Tv ispirati alla sua figura con queste parole: “È una cosa ridicola la percezione che avete di Massimo Carminati, una finta leggenda per vendere i giornali, i libri, i filmetti. Mi rompevano tutti le palle con questo ‘Nero’ di Romanzo criminale o il ‘Samurai’ di Saburra. Mi prendevano tutti in giro per questa cosa. Non sto dicendo che sono una mammoletta, ma se fossi quello che raccontano volerei via dal 41 bis come Superman. Questo è solo info intrattenimento”. 

E per ora ha avuto ragione lui - anche se i colpi di scena con lui potrebbero non mancare -, visto che da questa sera Suburra se la guarderà comodamente seduto a casa propria. 

 

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