La bellezza salverà il mondo. La monnezza, invece, l'Auditel. Grazie a Mefisto esistono le piattaforme streaming ma, a voler fare un giro sui canali della generalista, anche solo per sentirsi un po' vintage, il quadro che ne emerge è disperante. Da quando la tv è diventata così brutta? Lo è sempre stata e non ce ne accorgevamo? Abbiamo scelto la pillola rossa di Morpheus e ora, novelli Neo, riusciamo a intravedere una Matrice che era lì, sotto ai nostri occhi fin dalla prima volta in cui abbiamo preso in mano un telecomando? Chissà. Di certo, il livello di orripilanza televisiva è andato a crescere in maniera esponenziale negli ultimi anni: se pure "prima" si vedevano sketch così così e programmi tristanzuoli, quantomeno restituivano tutti o quasi l'impressione di essere stati pensati, scritti e poi, solo poi, mandati in onda. Anche perché per i dilettanti allo sbaraglio, c'era la Corrida. E i campanacci del pubblico. Oggi quei campanacci si sono tramutati in scroscianti applausi, mentre professionisti si camuffano da dilettanti allo sbaraglio portando in scena il peggio di sé. Le performance di Gabriele Cirilli e Francesco Paolantoni a Tale e Quale Show sono il paradigma perfetto di tale trend. Oramai da anni, intasano il talent di Carlo Conti con "imitazioni" sempre più loffie, quando non proprio rancide. Che diventano, puntualmente, le clip più virali sui social all'indomani della puntata. Un cane (noi come insieme di telespettatori) che morde la coda ad altri cani (quelli sul palco), generando un livellamento verso il basso dell'intero cast. Di Tale e Quale Show come di ogni altro programma tv che i vari canali mandano dolorosamente in onda. Che abbiamo fatto di male? Li guardiamo. E poi li condividiamo pure. Giulivi.
Sette giorni fa ha tenuto a battesimo la tredicesima edizione di Tale e Quale Show un fetido siparietto: Paolantoni e Cirilli, in combutta con un amico, hanno ucciso definitivamente Disco Paradise. Se l'orginale già non è un capolavoro di melodia e scrittura, la voce con cui Paolantoni fa Annalisa è qualcosa che popolerà i nostri incubi da qui a lungo tempo. Non dà nemmeno per un secondo l'idea di essere un'esibizione "studiata". Il comico è entrato in scena con il preciso scopo di ferire, tirando fuori i peggiori ultrasuoni che fosse in grado di riprodurre. A completare lo strazio, costumi e trucco. Di tutti e tre.
Fatta male per fatta male, il giorno dopo tale perfomance era ovunque sui social, totalizzando più views di quelle dei concorrenti che pur ci avevano provato a fare qualcosa di buono (su tutti, un fenomenale Luca Gaudiano più Tiziano Ferro dell'originale). Come mai il brutto piace più del bello? Forse perché, poi, dà sempre un certo tono ritrovarsi a parlar male del trash televisivo, con fare snob, intellettuale e mocolo acquistato su Amazon. Che tempi, signora mia! Eppure, sono i tempi che abbiamo voluto, se non proprio preteso, decidendo di preferire l'orrore a un lavoro - perché anche esibirsi in tv è un lavoro - ben fatto.
Ed ecco allora Cirilli e Paolontoni fare ritorno in diretta, venerdì 29 settembre, al solo scopo di martoriare i Bee Gees con un inglese improvvisato, un falsetto delinquienziale e Biagio Izzo. Si divertono tutti, social in primis, e il trio diventa di nuovo viralissimo. Se questo è il massimo che la "linea comica" dei programmi tv può offrire, andasse pure in onda il rosario da Lourdes 24 ore su 24. A reti unificate. Tanto ormai.
Tanto ormai questo trend che premia il brutto al posto del bello ha già condotto a conseguenze nefaste. Il numero di concorrenti oggettivamente bravi a Tale e Quale Show negli anni è sceso in picchiata, di edizione in edizione. Stavolta, per esempio, è emorragia di ex gieffini vip (Alex Belli + Ginevra Lamborghini) e residuati degli anni Ottanta (Jo Squillo + Pamela Prati) che non saprebbero imitare nemmeno un ciottolo. E che, però, lo fanno ogni venerdì sera. Lo fanno male, ovvio, ma per il nostro intrattenimento. Se il folklore ci sta, catastrofe compresa, vero è anche che sbagliare è ben diverso dal redigere una scaletta, per la prima serata di Rai 1, che contenga solo "mostri"/freak, esibizioni che nascono già solo con l'intento di riuscire al peggio possibile, abbastanza da diventare, massima speranza nonché ambizione, virali.
Il paradigma Cirilli-Paolantoni vizia l'intero palinsesto televisivo, non solo quello della Rai. Tra show e fiction, sembra oramai essersi innestata una gara a chi lo fa peggio. Non c'è cura e nemmeno rispetto per il telespettatore, costretto a divertirsi di fronte a siparietti che sarebbero considerati irricevibili perfino sul palco di una sagra di paese. Fanno ridere? Forse, a volte. Ma il troppo storpia e, quel che è peggio, contagia.
Siamo così disabituati al bello che la monnezza oramai ci pare arte varia, estrosa, pirotecnica, avanguardia perfino. Nei fatti, però, la monnezza resta monnezza e, di conseguenza, oggi come oggi stare davanti alla tv equivale a passare ore di fronte a un camion della differenziata che raccoglie sacconi per strada di notte. Non è una questione individuale o soggettiva. Dire con fierezza "Io non guardo mai la tv" non sposta di una virgola il problema: milioni di persone lo fanno tutte le sere, premiando il brutto perché quello passa in convento. E, forse, se passasse un fois gras s'annoierebbero pure. La Premiata Teleditta, per becera e "di pancia" che fosse, aveva più dignità di una qualunque pillola di intrattenimento contemporaneo. Tanto per dire.
Le eccezioni, per fortuna, non mancano. Anche se sono rarissime. E allora vogliamo lasciarci con una speranza. Esiste ancora chi ci tiene a confezionare contenuti che non siano volutamente da sciacquone. In settimana, è ripartito "Una Splendida Cornice", il varietà culturale di Geppi Cucciari su Rai 3. La prima puntata è stata tenuta a battesimo da una sigla in cui la conduttrice si è misurata in una versione ironica di Ballo Ballo, Raffaella Carrà. Con coreografia, orchestra in studio, corpo di ballo e affilati affondi al vetrioli nel testo, variato, della canzone. Non dovremmo gridare al miracolo perché questo dovrebbe essere il livello dell'intrattenimento nostrano. E potrebbe esserlo pure, se solo lo volessimo. Il punto, però, è proprio questo: lo vogliamo?