Si scrive The Crown, si legge The Noia. La sesta e ultima stagione della serie Netflix ha posto fine alla lenta agonia di questo titolo, un tempo apprezzabilissimo per scrittura e precisa volontà di rompere i maroni allo storico aplomb della Corona Inglese, al monarchico status quo, riportando in auge fatti e fatterelli sepolti da tempo nelle segrete di palazzo. L'inizio della fine ha forse un nome e un volto: quelli di Dominic West, esteticamente il padre belloccio di un surfista californiano, scelto per interpretare il Principe Carlo dalla quinta stagione in poi. Eppure, la somiglianza con i membri originali della Royal Family sembra essere, per tutti gli altri personaggi, una priorità assoluta dell'ufficio casting. Basti vedere Diana (Elizabeth Debicki), ma pure William e Kate (Ed McVey e Meg Bellamy). Quest'ultimo capitolo è costruito sulle sottotrame meno interessanti, su tantissimi silenzi e su un'atmosfera cerchiobottista che non dà torto a nessuno, mai. Eccezion fatta per gli invisi alla Corona. Di certo, la scomparsa della reggente deve aver influito sul tono della serie. Ciò però non giustifica alcuni rozzi espedienti narrativi che sarebbero stati perfetti nel magma purulento di una fiction Ares e anche alcune scelte di racconto che lasciano lo spettatore pressoché assopito per la maggior parte del tempo. In morte di The Crown, qui non troverete un enfatico elogio funebre della sua magnificenza. Perché non c'è più. La serie come la sua passata magnificenza.
Già dal teaser era chiaro che la narrazione si sarebbe concentrata su William e Kate, raccontandoli come "una fiaba moderna". Pure troppo "moderna", dato che all'Università, dove si incontrano e innamorano, parlano di femminismo, patriarcato e "friendzone". Non esattamente tematiche e termini in voga oramai 20 anni orsono. E una serie così attenta alla scrittura come The Crown pretende di essere, non dovrebbe lasciare spazio a siffatti anacronismi. Bando alle quisquilie, che in ogni caso qui hanno un peso perché staremmo parlando di una sceneggiatura d'altissima qualità, The Crown 6 si focalizza su William dall'adolescenza all'età adulta, ignorando quasi completamente il fratellino Harry, relegato al ruolo di sciagurato comprimanio, ad andar bene una spalla, un giullare di corte che si vede tra il poco e il pochissimo. Grosso errore.
William, come la sua Kate, ha la personalità di una platessa bollita. Nonostante ciò, un'intera puntata è dedicata alla sua timidezza di fronte all'attenzione mediatica che, suo malgrado, suscita in giornalisti e fotografi. Questo mentre, come sappiamo dall'autobiografia che il roscio ha pur pubblicato, Harry scappava da palazzo per rinchiudersi in un bungalow a provare "ogni tipo di droga", si vestiva da nazista ai party universitari (di questo c'è un breve riferimento in coda alla stagione) e compariva sui tabloid inglesi sbronzo marcio a chiappe all'aria un giorno sì e l'altro pure. Tutto ciò prima, molto prima di incontrare Meghan Markle e mettere in piedi tutte le piccate polemiche di cui si è reso protagonista, a ragione o a torto. Scegliere William come protagonista assoluto significa fare una scelta ben precisa che trova senso solo perché coerente con la linea di successione al trono. Narrativamente, e qui siamo in una fiction non in documentario di regime, resta un enorme spreco.
La sesta stagione, nel suo complesso, è poi infestata da fantasmi come espendienti narrativi. C'è quello di Diana che appare a ognuno dei personaggi principali per fargli la morale, con sguardo obliquo. E anche la Regina Elisabetta, nel suo finale, ne incontrerà altri in una eterna pantomima che sa più di Don Matteo che di una serie Netflix con una scrittura da urlo. Queen Elizabeth versione Ghostbuster, chi ce lo doveva dire? La stessa Diana è stata una bella gatta da pelare per la Corona come per la serie che ha dovuto affrontare la morte della principessa triste senza esprimere giudizi, eccezion fatta per il padre di Dodi Al-Fayed, lasciato passare dall'inizio alla fine per approfittatore senza scrupoli che non riesce a farsi la ragione della morte prematura del figlio. I sospetti sulla dinamica dell'incidente vengono accennati, giusto il tempo di etichettarli come più o meno dolorose illazioni. Anche questa, dopotutto, è una scelta. Come quella di far intravedere solo di sfuggita il Principe Andrea, terzogenito della Regina, coinvolto in un terribile scandalo a tema stupri di ragazzine. Non se ne fa nemmeno lontano riferimento. Motivo per il quale è stato espropriato, a sentenza definitiva, dei suoi titoli e cacciato da corte. Era davvero molto più interessante soffermarsi sugli scazzi tra reggente e primo ministro Tony Blair riguardo alla politica estera? Un intero episodio da skippare senza rimpianti.
Depotenziati se non addirittura silenziati gli scandali a palazzo, The Crown diventa una soap come un'altra, ambientata in Inghilterra con personaggi molto facoltosi, ben vestiti e dotati del più tedioso degli aplomb possibili. Sono lontani i tempi in cui la Corona si diceva, tramite comunicato ufficiale, ben poco compiaciuta alla vigilia dell'uscita di pressoché ogni stagione della serie. E non stentiamo a capirne il perché. Nata incendiaria, The Crown muore pompiera in pensione. Netflix ha salvato la regina.