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The Voice senior, Houellebecq
e il potere catartico della vecchiaia

  • di Ray Banhoff Ray Banhoff

10 gennaio 2022

The Voice senior, Houellebecq e il potere catartico della vecchiaia
Li chiamiamo anziani o senior, ma sono vecchi e un tempo era sinonimo di saggi. Dopo le vacanze di Natale appena trascorse ci è rimasto uno strano torpore, dopo aver seguito per una serata intera The Voice Senior e subito dopo aver iniziato a leggere il nuovo romanzo di Michel Houellebecq: Annientare (La Nave di Teseo). C’è qualcosa che lega questi due mondi apparentemente lontanissimi e che infonde speranza

di Ray Banhoff Ray Banhoff

Il fatto che The Voice abbia uno spin off “senior” ci dice tutto sulla fascia di pubblico a cui è rivolto. Tuttavia, la fascia di pubblico a cui appartengo io (i millenial solitamente ipercolti, sottopagati e annoiati) è altrettanto conquistabile da un programma del genere. Uno inizia a guardarlo perché fa ridere, però poi c’è di più. “Senior” è un modo carino per dire: vecchi, un termine che solo a pronunciarlo rischia di offenderci e turbarci. Vecchiaia significa vicinanza con la fine, col futuro, con la morte. Tutti temi di cui non ci piace troppo parlare. 

Invece qui sta la forza del programma, la sua efficacia quasi commovente che lo rende forse un baluardo di servizio pubblico. I concorrenti sono tutti ex cantanti, ex glorie, quasi ex vivi in qualche caso viste le loro pelli decrepite di oggi messe impetosamente a confronto con le foto di quando erano giovani. Il programma si nutre di gente che ha fatto Sanremo ma solo da meteora, che ha cantato sulle navi, che era qualcosa prima di essere un vecchio per l’appunto. Però c’è di più.

Li chiamiamo senior o anziani per paura di offenderli ma nelle società arcaiche l’età era sinonimo di saggezza. Ora abbiamo paura delle parole, come abbiamo paura di ciò che è diverso, pure dei vecchi (o dei bambini che sono il loro opposto più somigliante, difatti se ne fanno meno, ne siamo terrorizzati).

Ecco perchè li abbiamo messi in una gabbia dorata. Ridiamo del loro lato umarell e li rendiamo dei meme. Un po’ se lo meritano e te lo ricordano ogni volta che sei in fila a un semaforo o alle poste, con le loro lentezze ostinate e le loro fisime e la loro ritrosia a tutto ciò che stiamo erigendo nel presente, ai nostri valori, ai nostri bisogni. Non li capiscono, non gliene frega.  

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I giudici e la conduttrice di The Voice Senior

A The Voice Senior colpisce la Bertè, con le sue labbra forse rifatte e i capelli blu elettrici, truccata di uno strato talmente denso di fondotinta da essere estemporanea, tipo un’opera d’arte. Non sappiamo come chiamare quel suo modo di essere, forse lo bolliamo come “fuori di testa” in realtà si tratta di una persona ormai libera da ogni condizionamento, da ogni giudizio, folle e strafottente come solo i vecchi sanno essere perché a differenza nostra devono rendere conto solo al poco presente che gli resta. E svincolata dal consenso al contrario di noi, non le frega se appare ridicola e questo la rende stupenda. Idem per Orietta Berti, la zia di tutti: semplice, con la permanente, un po’ naif ma signoreiddio lei è quella di “fin che la barca và”. Il lato debole del programma è Clementino, messo lì per fare il giovane finisce per ricordare fin troppo un bambino. Ma Clementino del resto stona ovunque, non si contiene, straparla, è abbastanza imbarazzante. Pure l’ottimo Gigi D’Alessio (competente, serio, professionale) gli intima di stare zitto ogni tanto.

I concorrenti di The Voice Senior sono dei veri cantanti, di solito molto emozionati e ispirati. Mettono subito alla luce un aspetto irritante della loro generazione pre tecnologica: sono intonati e hanno un'estensione vocale da far paura. Nati prima del vocoder, in un’era in cui per eccellere in qualcosa dovevi anzitutto avere delle doti oltre che dei followers, lasciano basiti e un po’ infastiditi. Come è possibile che cantino così bene a quell’età? Dove la trovano quella voglia di resistere? Cosa vogliono ancora dimostrare? Perché non si arrendono? Non capiscono che già dobbiamo lottare contro tutti per affermarci, almeno loro potrebbero non infierire.

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Lo scrittore Michel Houellebecq

Meglio guardare il programma e twittare, o fare delle Stories in cui li sfottiamo e tagghiamo gli amici. Ecco come facciamo a ingannare la morte. Così ho fatto e sono andato a letto leggendo le pagine di "Annientare" di Michel Houellebecq in cui un padre in coma riporta a galla nel figlio sensazioni che credeva perse. Nella lettura una frase mi ha devastato: "A sessantacinque anni ci si può ancora innamorare?". 

Nel silenzio della lettura, forse sballato dal programma, ho fatto due conti e avuto paura. Quest'anno ne compio 40, non ne mancano poi tanti per iniziare a farmi certe domande. Ho sperato di arrivarci a sessantacinque anni, di essere ancora capace di avere dei sentimenti e perché no di innamorarmi. Ho pensato a quegli ometti e donnine che cantavano coi capelli tinti e mi sono sembrati dei giusti esempi da seguire. Mi sono realmente commosso. È raro per un libro o un programma di intrattenimento, ma a volte può ancora succedere. E fino a che succederà ci sarà speranza per il genere umano.

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