“Ho letto le prime venti pagine di Cecità di Saramago. Saramago non ama molto la punteggiatura. È un premio Nobel per la letteratura, quindi lungi da me… però frasi molto lunghe, poche virgole”. Difficile controbattere, soprattutto se si tratta di Tommaso Zorzi, una creatura quasi mitologica, esempio, sul lato del profilo pubblico, dell’autentico prodotto televisivo, figlio di quella bella vita che, sì, “Saramago non ama molto la punteggiatura”, andiamo a fare nottata. Roba da Videocracy. A gente così servono frasi con un punto, frasi brevi, da poter dire in fretta, prima dell’assalto di voci, vuoti parlanti al cospetto del Dio semplicità. Vuoi per mancanza di tatto, vuoi per quel sorriso di chi sa di dire una caz*ata, in un modo o nell’altro Zorzi si fa perdonare. Ha letto venti pagine, non conosce il segreto della grande letteratura, la chiave che ti fa accedere un mondo e non è sotto lo zerbino, a pagina 1, o persino nella quarta di copertina. Così preso a partorire romanzi scritti di suo pugno. Potremmo impegnarci in un gioco di riscrittura di quelle pagine che in modo azzardato Feltrinelli o Mondadori hanno definito “romanzi”. Lo voleva fare Alessandro Baricco con Céline, possiamo farlo noi con il vincitore del Grande Fratello. Ma eviteremo.
Abbiamo letto le prime venti pagine, frasi troppo brevi. Zorzi non ama molto la punteggiatura. Conosce solo i punti. Non ne conosce il potere, non sa dire di una frase: sì, questo è il confine definitivo oltre il quale non puoi andare. Non deve tenere a bada i concetti, lasciarci lo spazio vitale di scalciare nelle coordinate per poi fermarsi alla staccionata, senza distruggere tutto. Di concetti, in effetti, in Siamo tutti bravi con i ragazzi degli altri, non è che ce ne siamo. Per lui i nemici sono “invisibili”, “come si sentimenti”. Come può comprendere una scrittura invisibile, fatta di rimandi, nascosta. Cosa ne sa, lui, delle virgole. Le virgole non sono gli scaffali di una biblioteca? E le coordinate non sono un libri nascosti dietro libri più grandi, finiti tra le pagine di un volume enorme riposto senza molta attenzione da uno studente distratto? Le coordinate non ti dicono di più di qualsiasi frase principale? Lui usa i punti come se fosse farina sul tavolo per non fare incollare un impasto. Li getta come se fossero niente, un po’ gli restano tra le unghie, sulle dita. Saramago, che invece amava realmente la punteggiatura, ha saputo tirarne fuori il significato ultimo, il senso profondo, quello che le opere letterarie, se sono tali, non cedono per soddisfare i limiti antropologici di una generazione di non lettori: la punteggiatura reinventa il viaggio.
A chi scrive: “Ora quindi, trovandosi nella mer*a fino al collo come un ex cantante di successo disposto a pagare una mazzetta pur di cantare alla Sagra della Polpetta Lessa di Crandola Valsassina”, cioè ricorrendo a tutte le tipicità, queste sì, da sagra letteraria (il nome specifico di una festa, una parolaccia per allietare il dolore della fabulazione, immagini rincoglionite per rendere l’idea), come spieghi cosa sia la letteratura? Cosa sia arrivare alla fine di una frase con il fiato corto e realizzare che è così che voleva l’autore, che non è un errore o un difetto di fabbrica del libro? Umberto Eco definì Saramago, un ateo, un tessitore di parabole. Quelle che non trovano quasi più spazio nelle libreria per colpa di chi come Zorzi imbratta vetrine e scaffali. I pochi che si salvano, perché ormai classici, come Saramago, andrebbero preservati. Quelli come Zorzi, invece...
In realtà, la storia di qualche giorno fa è stata successivamente ridimensionata e contestualizzata dallo stesso, che ha recensito Cecità e, pur continuando a considerarlo troppo difficile, ha intercettato quel senso di angoscia, quel crescendo che lo stile di Saramago, in questo magnifico romanzo, ha provato a rendere attraverso la scrittura, che era il punto della mia difesa. Meglio tardi che mai, accorgersene alla fine. Certo in un modo didattico, come fosse il compitino. E Saramago non lo merita. Manca il morso della tarantola al lettore, mentre abbondano i paradossi; per cui Zorzi recensisce Saramago, e chi dovrebbe recensirlo non avrà avuto alcun merito nel far conoscere questo autore ai più giovani. Difficile determinare vittime e carnefici, perché c’è chi, come Zorzi, di questo campa, come ingranaggio del sistema e quindi come parte del problema. Quello che resta dell’articolo, dunque, è lo stupore per chi a ventotto anni si stupisce di un libro difficile. Si stupisce della letteratura. Ma c’è di peggio, come credere che in Saramago la punteggiatura non sia al posto suo. Come si è detto, come parte del viaggio. La più importante.