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Parla come mangiano! Ecco perché Achille Lauro funziona e fa parlare sempre di sé e tu fai l'intellettuale ma non capisci un cazzo

  • di Paolo Borzacchiello Paolo Borzacchiello

23 febbraio 2022

Parla come mangiano! Ecco perché Achille Lauro funziona e fa parlare sempre di sé e tu fai l'intellettuale ma non capisci un cazzo
Piaccia o non piaccia l'ex trapper romano trova sempre il modo per far parlare di sé. Un grandissimo studioso della comunicazione ci dice perché ci riesce. Ecco le sue tre regole: vestiti come gli altri si aspettano che tu ti vesta, parla semplice, usa parole che fanno figo ma non significano niente. Le jeux sont faint, rien ne va plus. Sex toy. Playboy. Olé

di Paolo Borzacchiello Paolo Borzacchiello

Piacere a (quasi) tutti non è poi così complicato: basta cavalcare l’onda, toccare due o tre tasti facili facili, adeguare il proprio livello della comunicazione al pubblico a cui si vuole piacere, ricordandosi che più in basso si scende e più persone si prendono. Prendiamo ad esempio Achille Lauro, il performer/cantante (o viceversa) che esce dall’armadio in zona Sanremo e poi ci ritorna fino al prossimo giro di fiori: unghie nere (che originalità: lo facevano Steven Tyler e Freddie Mercury quando i ribelli di oggi non erano ancora nati), un po’ di nero sotto gli occhi, ammiccamenti blasfemi (che originalità: lo facevano Madonna, Alice Cooper e Twisted Sister quando i ribelli di oggi non erano ancora nati) e, soprattutto, un linguaggio che sia basico, che più basico non si può (a questo punto, dovrei dire che lo faceva anche Vasco Rossi, che ha scritto – ricordiamolo – Tofee, canzone che ancora oggi per chi scrive rappresenta un mistero misterioso, altro che i segreti della Madonna di Fatima). Ma restiamo sulle parole, che altrimenti rischio di sembrare il vecchio babbione che parla male dei giovani di oggi ricordando i bei tempi andati e concentriamoci su quel che possiamo imparare, dal punto di vista linguistico, dalla performance di Achille Lauro a Eurovision 2022 che, con la sua Stripper, ci ricorda che davvero possiamo imparare proprio dappertutto, se abbiamo il giusto atteggiamento mentale.

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Qual è uno dei grandi segreti, dunque, per una comunicazione straordinariamente efficace? Dimenticarsi del proverbio parla come mangi e abbracciare il proverbio, inventato da me e che vi condivido volentieri, parla come mangiano. Dovremmo, cioè, adottare un linguaggio adatto a chi ci ascolta e non necessariamente un linguaggio che rispecchi le nostre strutture mentali. Se prendiamo il testo di Stripper, è un concentrato di regole auree (non è dato sapere se frutto di una strategia deliberata): anzitutto, periodi e sintassi scarnificati, adatti praticamente a qualsiasi cervello in grado di intendere e di volere (“e vado fuori, eh”, “e vado fuori di me”, “questo amore è uno strip club, yeah” e vi ometto altre meraviglie); rime facili facili in stile “La formicuzza e il grillo” (nella filastrocca citata, si canta ad esempio “vanno in Chiesa per darsi l’anello/cade lo grillo e si rompe il cervello”, mentre Lauro canta “Cowboy, il mio cuore è il suo sexy toy/il mio bad boy/Madonna su Playboy”, wow); paroline inglesi altrettanto facili che danno quel tocco di internazionalità alla portata di tutti, citazione (si spera) ai Beatles e perfetto strumento per creare un sacco di fumo dove di arrosto ce n’è pochissimo (“All I need is love”, ripetuto per una dozzina di volte). Tutta roba, insomma, che se ti piacciono le parole e testi di canzoni che dicano qualcosa, può destare un po’ di perplessità ma che, per l’appunto, può esserci utile per imparare qualcosa. Tiriamo quindi una riga (frase che, mi rendo conto, dato il contesto, potrebbe sembrare equivoca: ah, il potere della polisemia!) e facciamo il totale. Ecco, quindi, la guida alla comunicazione efficace ispirata dalla performance del nostro nostrano eroe (nostro nostrano è voluto, un mio omaggio ai testi di Baglioni).

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Prima regola: ricordati che l’abito fa il monaco. Perciò, vestiti come si aspettano che tu sia vestito, perché il cervello giudica in fretta (si chiamano euristiche) e ha bisogno di capire in fretta se le cose vanno come si aspettava oppure no. Cioè: se devi presentarti a un colloquio in una azienda di consulenza finanziaria, presentati in abito. Se devi piacere a ragazzini pruriginosi in cerca di provocazioni che accendano le loro aree cerebrali dedicate ai tabù (esistono), due colpi di mascara, tatuaggio e petto nudo, come vuole lo stereotipo attuale.

Seconda regola: ricordati di farla semplice. Senza raggiungere gli abissi del testo di Lauro, tuttavia rammenta di parlare e scrivere in maniera semplice, evitando periodi troppo lunghi e frasi troppo complesse (a meno che tu ti stia rivolgendo a un cattedratico di 96 anni a cui vuoi per forza piacere). Suggerisco, a tal proposito, la lettura o rilettura di Calvino e delle sue lezioni americane, che pur essendo state scritte oltre 30 anni fa, potrebbero essere vendute come un manuale attuale per la comunicazione efficace.

Terza regola: usa parole esca. Le parole “esca” sono parole che agganciano il cervello di chi le legge o le ascolta, perché sono semplici da capire o perché sono straordinariamente evocative, nel senso che le hanno già dette così tante persone che per il cervello hanno quel magnifico sapore di “già sentito” (visto che il cervello non ama le novità): “Stupida voglia”, “All I need is love”, “Nessuno mi può giudicare” (nemmeno tu. Ops), “Madonna su Playboy”, “Metto la gonna”, e via dicendo (o via ripetendo), esca dopo esca.

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Insomma: può piacere o non piacere, ma Achille Lauro sa come si fa a ottenere consenso e, quindi, il minimo che possiamo fare è imparare quel che possiamo imparare per farlo nostro, magari con il nostro stile, con o senza smalto, a seconda del fatto che vogliamo fare i ribelli come adesso va di moda (ribelli che vanno di moda, che ossimoro!) oppure che vogliamo fare i ribelli davvero e scrivere qualcosa in italiano decente. Senza mascara. 

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