A 84 anni ha tolto il disturbo anche il torinese Gianni Minà. “Zaccagnì come stai?” A Gianni, sei di Torino, nun fare il romano. “Sì, sono torinese, ti disturba se faccio il romano?”. Grande, piccolo, rotondo Gianni. Giornalista. Una vita, quelle di una volta, per la notizia. Che per lui poteva essere Cassius Clay, Robert De Niro, Martin Scorsese, Massimo Troisi, Pino Daniele, Fidel Castro, Ernesto "Che" Guevara, Sergio Leone. Oppure i programmi Blitz e Mixer. Una persona seria e vera. Che, bonariamente come il Bartleby di Hermann Melville, diceva no. Adesso tutti lo lodano e lo ricordano e lo piangono, ma quante risate e sbertucciamenti ha dovuto sopportare, quante prese in giro? No, lui non era nel giro, non si inchinava.
Piemontese tutto d'un pezzo. Anche i documentari che realizzò con la sua società sono grandi pezzi di giornalismo televisivo. Poco più che ragazzo, tra i crassi sghignazzi della stampa tutta, i Beatles alla loro prima, e ultima, tournée italiana. Anche lì disinteresse totale. Capelloni? Pussa via. Un ricordo? Rivedetevi il film che vinse l'Oscar per la musica, ma siccome c'era coinvolto lui la stampa italiana ne parlò poco e male. “I diari della motocicletta”, l'epico viaggio in moto dell'allora giovane dottore Ernesto Guevara. Film di grande poesia e semplicità. Giornalista castrista, Gianni, perché fece un'intervista di 16 ore all'amico Fidel Castro? E allora? Gianni non rinnegò mai il suo credo nella libertà, mai si mise in vetrina. Maestro di Giornalismo, quello che racconta la vita e, purtroppo, molto spesso il dolore. Per chi ama, e ha praticato, il giornalismo, una gran perdita. Maledizione. Mi consolo perché dove andrà avrà un sacco di amici, più o meno noti, e comincerà di nuovo a raccontare, raccontare, raccontare... Sarà una risata che li seppellirà.