40 anni fa moriva Bobby Sands, dopo 66 giorni di sciopero della fame. Di lui la allora lady di ferro Margaret Thatcher disse “era un criminale, ha scelto di morire”, ma per qualcuno Bobby era un poeta, un rivoluzionario ed un romantico idealista il cui crimine peggiore, probabilmente, fu amare la sua idea di libertà, amare le sue idee.
“Avevo visto troppe case distrutte, padri e figli arrestati, amici assassinati. Troppi gas, sparatorie e sangue, la maggior parte del quale della nostra stessa gente. A 18 anni e mezzo mi unii all'IRA” - eccolo Bobby, un ragazzino dal ghetto nazionalista di Belfast, cresciuto nelle discriminazioni e nei soprusi tipici dell’Irlanda dei Troubles, dove essere cattolico ed irlandese significava non lavorare, non avere accesso alle case popolari, dove non essere inglese significava venire disprezzati e dove un voto protestante valeva molto di più di uno cattolico.
Era un ragazzino Bobby, cresciuto con la convinzione che, alla fine, il dio degli inglesi e quello degli Irlandesi sono la stessa cosa, e che una casa popolare od un posto di lavoro non vadano assegnati in base alla nazionalità o alla religione. Un ragazzino convinto che chi governa dipende dal popolo ed al popolo sempre dovrà rispondere. Era pure un soldato Bobby Sands, uno di quei soldati poeti che con la lancia in pugno oppongono un’oplitica resistenza a ciò che considerano ingiusto, dimostrando che anche gli ultimi possono opporsi ai primi. Uno di quei soldati pronti a sacrificare la vita per ciò in cui crede.
Si lasciò morire, primo di altri nove suoi compagni, nel carcere di Long Kesh, quello noto per la brutalità dei secondini, quello dove si racconta che ragazzine di appena 15 anni venivano violentemente perquisite anche 3 volte al giorno, quello dove bastava poco per ricevere percosse violente e disumane, dove i detenuti venivano denudati pure nei rigidi inverni nord irlandesi, e dove anche il detersivo provocava ustioni e ferite. Un carcere in cui i soldati dell’altra fazione venivano trattati come feccia comune, colpevoli di aver creduto in qualcosa di diverso, puniti per non aver parteggiato per il governo centrale. Un carcere che avrebbe spezzato chiunque, tranne gli ideali e tranne Bobby, che da lì faceva uscire poesia e riflessioni scritte su un pezzo di carta igienica. La stessa carta igienica che usava anche per insegnare il gaelico agli altri giovani prigionieri.
E’ morto 40 anni fa Bobby Sands, cosi come sono morti molti altri giovani d’Irlanda e di ovunque si combattono guerre fratricide in nome di un qualche più o meno sacrosanto ideale. Le parole sono sempre le stesse per tutti: eguaglianza e giustizia, riscatto e libertà. Bobby se ne andò dopo 66 giorni, lasciatosi morire di fame sotto gli occhi pieni d’odio ed indifferenza di chi, lì come altrove, allora come oggi, non riesce a vedere l’uomo oltre il nemico. Era stato eletto appena tre settimane prima nel parlamento inglese, che però si sbrigò a ratificare una legge per cui i detenuti non potevano venire eletti. Morì nella convinzione che la carne è nulla in confronto all’immortalità della storia, morì da criminale per qualcuno, da martire per altri, da romantico rottame per chi ha guardato oltre il conflitto e il sangue.
Tiocfaidh ar la Bobby!