image/svg+xml
  • Attualità
    • Politica
    • Esteri
    • Economia
    • Cronaca Nera
  • Lifestyle
    • Car
    • Motorcycle
    • Girls
    • Orologi
    • Turismo
    • Social
    • Food
  • MotoGp
  • Tennis
  • Formula 1
  • Sport
    • Calcio
    • NFL
    • combattimento
  • Culture
    • Libri
    • Cinema
    • Documentari
    • Fotografia
    • Musica
    • Netflix
    • Serie tv
    • Televisione
  • Garlasco
  • Cover Story
  • Attualità
    • Attualità
    • Politica
    • Cronaca Nera
    • Esteri
    • Economia
  • Lifestyle
    • Lifestyle
    • Car
    • Motorcycle
    • girls
    • Orologi
    • Turismo
    • social
    • Food
  • motogp
  • tennis
  • Formula 1
  • Sport
    • calcio
  • Culture
    • Culture
    • Libri
    • Cinema
    • Documentari
    • Fotografia
    • Musica
    • Netflix
    • Serie tv
    • Televisione
  • Garlasco
  • Cover Story
  • Tech
  • Fashion
    • Fashion
    • Moda
    • Gear
    • Footwear
  • EVERGREEN
  • Topic
  • Journal
  • Media
Moto.it
Automoto.it
  • Chi siamo
  • Privacy

©2025 CRM S.r.l. P.Iva 11921100159

  1. Home
  2. Culture

Un altro cinema è possibile
coi fratelli D'Innocenzo? Sì,
ma in America Latina si muore di noia

  • di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

14 gennaio 2022

Un altro cinema è possibile coi fratelli D'Innocenzo? Sì, ma in America Latina si muore di noia
La terza fatica alla regia dei fratelli D'Innocenzo annega in uno scantinato di pretenziosità e noia portando lo spettatore al graduale assopimento. Al netto della mirabile interpretazione di Elio Germano nel ruolo del problematico protagonista Massimo Sisti, ecco tutto quello che non funziona nel nuovo America Latina in sala dal 13 gennaio

di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

Dentista, padre di famiglia, ossessivamente ligio al lavoro nonché devoto a moglie e figlie, vive a Latina in una casa assurda con due grandi oblò che spiano il mondo fuori da lontano lontano, sovrastando lo spicchio di piscina color blu dipinto di blu e una scala esterna che è difficile distinguere da uno scivolo d’Aquapark. Esteticamente molto Jacques Tati la stramba dimora di Massimo Sisti, interpretato da un superlativo Elio Germano. A chiudere il cerchio, un paio cani, un amico (Maurizio Lastrico, noto per i suoi monologhi in terzine dantesche a Zelig), un padre con cui è in guerra da una vita e un grande scomodissimo segreto nascosto in cantina che lo corrode lentamente ma inesorabilmente di giorno in giorno, coi ritmi della tortura della goccia cinese. Gli stessi ritmi (e medesimi risultati) che il film America Latina dei fratelli D’Innocenzo infligge a chi vi si approccia con la malaugurata idea di provare a prenderlo sul serio. Salutata da qualche pernacchia - come anche, a onor del vero, da timidi entusiasmi - già alla Mostra del Cinema di Venezia, la terza fatica dei consanguinei registi romani può contare, prima ancora di essere vista, sul richiamo del “grande cinema” per portare spettatori in sala. Su questo, infatti, si basa il pressante battage della comunicazione social. Su questo e su un poderoso segno della croce, vista la smattata straripante insulti in cui Fabio D’Innocenzo si è pur prodotto alla viglia dell’uscita di America Latina sul profilo di un giornalista reo di non aver gradito il lungometraggio. Tutto è bene, però, quel che finisce bene: il buon Fabio s’è scusato, i cinefili non hanno parlato d’altro per qualche ora e il pubblico s’è bellamente infischiato di tutta ‘sta caciara. Caciara che ha goduto, non ne dubitiamo, dello stesso destino che avrà il film. E non vediamo l’ora di spiegarvi come mai. 

Visualizza questo post su Instagram

Un post condiviso da Vision Distribution (@visionfilmdistribution)

America Latina è un viaggio nella testa rotta (come da eloquente locandina) del suo protagonista, Massimo Sisti. Con questo personaggio, Elio Germano dà l’ennesima mirabilissima prova d’attore ma la sua performance non basta a salvare il film dall’oceano di pretenziosità in cui annaspa scena dopo scena fino all’inevitabile naufragio. Se l’idea di base è di per sè promettente (delle due l’una: abbiamo davanti un disturbato mentale o qualcuno sta tentando la carta della circonvenzione di (un in realtà capacissimo) incapace?), il suo svolgimento è terribilmente lento, ferale: più che la discesa agli inferi del protagonista (pazzo? Sano di mente?), di America Latina si ricorderà l’assopimento dello spettatore. Si stima che almeno sette individui su dieci, infatti, giungano ai titoli di coda in piena fase R.E.M. Non la band di Michael Stype. Che qui, poi, la colonna sonora è curata dai Verdena. Quel gruppo che andava fortissimo negli anni Novanta e che oggi fa sdilinquire tutti ogni rarissima volta che produce un sottil peto in nome di un glorioso passato così passato che ora come ora si perde più nei contorni della leggenda che della fattuale realtà. Però che nostalgia i Verdena, i grandi, irreprensibili Verdena. Post-requiem per un wow.

Visualizza questo post su Instagram

Un post condiviso da VERDENA (@verdena_official)

La pretenziosità dei registi, dicevamo, uccide quello che poteva essere a tutti gli effetti un buon film tra inquadrature che trasudano amore (e auto-compiacimento) per la regia, scelte coraggiose e immagini più parlanti degli stessi personaggi (la sceneggiatura, praticamente disossata, è utilissima a conferire alla pellicola un’aria inquieta, disturbante, fatta di pochissime parole e lunghi silenzi malintesi). Cosa succede, però? Succede però che, se America Latina è di sicuro qualcosa di “diverso” dal “solito” cinema italiano, non è necessariamente detto che “diverso” significhi “migliore”. Detta brutale: Pieraccioni avrebbe raccontato questa storia in un’altra maniera o non l’avrebbe raccontata affatto? Sicuro. Ma, va da sè, ciò non basta a stabilire l’originalità di un’opera. Se questo tipo di inconoscibile sospensione vi affascina e i ritmi lenti non vi spaventano, per fortuna esiste il regista (da Oscar con La Favorita) Yorgos Lanthimos e, nel caso specifico, il suo esordio cinematografico Dogtooth da cui America Latina a livello di immaginario, location e verrebbe da dire pure scenografia attinge a piene mani. E lo stesso fa, novello Lupin, da Miss Violence di Alexandros Avranas, premiato a Venezia nel 2013, lui sì, con il Leone d’Argento per la Regia e che ha messo in saccoccia pure la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile tributata al suo meschino protagonista (l’attore Themis Panou). Per altro, attualmente, è disponibilissimo su Prime Video se vi va di canticchiare (all’indirizzo dei D’Innocenzo) Tu vò fa l’originale.

Attenzione, non stiamo parlando di plagio: stiamo semplicemente indicando come i due registi abbiano ripreso da un immaginario già pre-esistente e consolidato (che però conoscono - bene - in tre gatti qui da noi) per apparire come qualcosa di nuovo, diverso, una voce fuori dal coro all’interno del pressoché desolante panorama cinematografico nostrano. Però, se questa dev’essere l’innovazione, ridateci pure amorazzi, corna e trame che si snodano in modo lineare tra le loro cause e i conseguenti effetti con qualche equivoco qua e là. Anche perché il rischio, quando si imitano i grandi, è quello di rassomigliare più che a illuminati cineasti, al nipotino che snocciola Leopardi prima del pranzo domenicale in famiglia perché la maestra Laura gli ha appena fatto imparare a memoria L’Infinito. Con tanto di nonni che gli battono le mani in odore di presta mancetta. 

Visualizza questo post su Instagram

Un post condiviso da Vision Distribution (@visionfilmdistribution)

Sì, ma se uno non avesse mai visto Lanthimos e compagnia, questo America Latina potrebbe apprezzarlo, invece? Forse. A patto però che si rechi al cinema dopo aver trangugiato dodici Redbull e a seguito di un rigenerante riposino della durata di qualche giorno. Ai fan di una certa comicità (qui, purtroppo, smaccatamente involontaria) non sfuggirà certo la scena “a piedi scarzi” di fanelliana memoria. Oltre a questo, resta l’ottima interpretazione di Elio Germano, una specie di James McAvoy in Split di M. Night Shyamalan, diluita in un film purtroppo soporifero. Se vi sono piaciuti i precedenti lavori dei d’Innocenti dietro la macchina da presa, ovvero La terra dell’abbastanza e Favolacce, sappiate che il duo ora vi propone qualcosa di completamente diverso. E restando in tema di citazioni (parafrasate alla bisogna), facciamo scendere in campo Boris perché, una volta usciti dalla sala, ve lo assicuriamo, non resterà che da chiedersi: un altro cinema è possibile? Sì, ma si muore di noia. Peccato. Adesso corriamo a lucchettare il nostro profilo Instagram. Che non si sa mai… 

More

L'isola delle rose e le altre micronazioni realmente esistite

di Federico Vergari Federico Vergari

Netflix

L'isola delle rose e le altre micronazioni realmente esistite

“Un eroe”, i social e la reputazione: e se il film capolavoro arrivasse dall’Iran?

di Maria Eleonora Mollard Maria Eleonora Mollard

Cinema

“Un eroe”, i social e la reputazione: e se il film capolavoro arrivasse dall’Iran?

Drive my car: quando la mano di Dio non può nulla contro un giro su una Saab 900 rossa

di Redazione MOW Redazione MOW

Come ai Golden Globe

Drive my car: quando la mano di Dio non può nulla contro un giro su una Saab 900 rossa

Tag

  • Cinema
  • Festival di Venezia
  • recensione

Top Stories

  • Siamo stati al concerto dei Modà a San Siro, ma com'è stato? Un live che zittisce chi li considera "finiti". E se pensate che siano solo nostalgia per cinquantenni non avete capito un caz*o e vi spieghiamo perché…

    di Benedetta Minoliti

    Siamo stati al concerto dei Modà a San Siro, ma com'è stato? Un live che zittisce chi li considera "finiti". E se pensate che siano solo nostalgia per cinquantenni non avete capito un caz*o e vi spieghiamo perché…
  • Facile invecchiare bene se sei ricco sfondato: abbiamo letto “Socrate, Agata e il futuro” di Beppe Severgnini, ma com’è? Un cocktail di banalità e vigliaccheria. Ma la filosofia è una cosa seria, il contrario di quello che scrive il “guru” del Corriere

    di Leonardo Caffo

    Facile invecchiare bene se sei ricco sfondato: abbiamo letto “Socrate, Agata e il futuro” di Beppe Severgnini, ma com’è? Un cocktail di banalità e vigliaccheria. Ma la filosofia è una cosa seria, il contrario di quello che scrive il “guru” del Corriere
  • W IL LESBO PATRIARCATO! Elodie si inginocchia a Gianna Nannini che le strizza le tette: a San Siro si consuma l'addio al femminismo, facciamo largo al clitoride rock? [VIDEO]

    di Ottavio Cappellani

    W IL LESBO PATRIARCATO! Elodie si inginocchia a Gianna Nannini che le strizza le tette: a San Siro si consuma l'addio al femminismo, facciamo largo al clitoride rock? [VIDEO]
  • Ma la cinquina finalista al Premio Strega ha mai fatto così cagare? Spoiler: no. Abbiamo letto i libri di Paolo Nori (Chiudo la porta e urlo), Nadia Terranova (Quello che so di te), Andrea Bajani (L'anniversario) e gli altri…

    di Jacopo Tona

    Ma la cinquina finalista al Premio Strega ha mai fatto così cagare? Spoiler: no. Abbiamo letto i libri di Paolo Nori (Chiudo la porta e urlo), Nadia Terranova (Quello che so di te), Andrea Bajani (L'anniversario) e gli altri…
  • Non rompete il caz*o al Premio Campiello: Saviano, Terranova e Ciabatti fuori dalla cinquina uno scandalo? Vi meritate il mainstream del premio Strega (dove vincono i best seller tipo “L’età fragile” di Donatella Di Pietrantonio)

    di Jacopo Tona

    Non rompete il caz*o al Premio Campiello: Saviano, Terranova e Ciabatti fuori dalla cinquina uno scandalo? Vi meritate il mainstream del premio Strega (dove vincono i best seller tipo “L’età fragile” di Donatella Di Pietrantonio)
  • Siamo stati al concerto di Ed Sheeran allo Stadio Olimpico di Roma, ma com'è stato? Zero ballerini o braccialetti. Solo lui, autentico, con le chitarre e plettri giganti come schermo. E Ultimo come ospite...

    di Angela Russo

    Siamo stati al concerto di Ed Sheeran allo Stadio Olimpico di Roma, ma com'è stato? Zero ballerini o braccialetti. Solo lui, autentico, con le chitarre e plettri giganti come schermo. E Ultimo come ospite...

di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

Se sei arrivato fin qui
seguici su

  • Facebook
  • Twitter
  • Instagram
  • Newsletter
  • Instagram
  • Se hai critiche suggerimenti lamentele da fare scrivi al direttore moreno.pisto@mowmag.com

Next

Johnny Palomba: “Chi non capisce il romano è soltanto un pigro”

di Federico Vergari

Johnny Palomba: “Chi non capisce il romano è soltanto un pigro”
Next Next

Johnny Palomba: “Chi non capisce il romano è soltanto un pigro”

  • Attualità
  • Lifestyle
  • Formula 1
  • MotoGP
  • Sport
  • Culture
  • Tech
  • Fashion

©2025 CRM S.r.l. P.Iva 11921100159 - Reg. Trib. di Milano n.89 in data 20/04/2021

  • Privacy