Ottobre di fuoco per Valerio Piccolo. L'artista, cantautore e traduttore ha appena lanciato il suo ultimo album, Senso, un autentico diario di bordo che cattura le piccole battaglie quotidiane e le gioie nascoste nei gesti più semplici. Ospite nel nostro spazio MOW durante la Festa del Cinema di Roma, Valerio ci ha raccontato del corto Il Presente, per il quale ha composto le musiche, presentato al festival. Con l'occasione gli abbiamo chiesto quale sia la direzione attuale della musica italiana (le parole che fine hanno fatto? E il suonato?), come è nata la sua collaborazione con Paolo Sorrentino (sì, è sua E si' arrivata pure tu, la canzone originale del film Parthenope) e molto altro ancora. Ecco l'intervista completa a Valerio Piccolo.
Ciao Valerio, sei alla Festa del Cinema di Roma per un cortometraggio speciale.
Sì, è un cortometraggio che si intitola Il Presente, scritto e diretto da Francesca Romana Zanni con cui collaboro da tanto. Francesca è la regista dei miei videoclip musicali. Ho scritto le musiche per questo corto insieme a Pino Pecorelli che poi è anche il mio produttore del disco. Il Presente è molto interessante, ha un cast notevolissimo perché ci sono Massimiliano Caiazzo, Iaia Forte, Alberto Malanchino e Barbara Chichiarelli. In questo progetto credo che parole e musica si intreccino molto bene, è un progetto a cui tengo molto e sono davvero contento di avere avuto la possibilità di farne parte.
A proposito di parole e musica. Ti occupi di adattamenti cinematografici e traduzioni. Penso al tuo lavoro più recente, The room next door di Almodovar che ha vinto il Leone d'oro a Venezia 81. Ecco, domandona, per quali fra questi film, avresti voluto comporre la colonna sonora?
Questa è una domanda molto bella, di difficilissima risposta, considera che io ho adattato circa 350 film, quindi insomma, pescare qualcosa è difficile. Però ce ne sono alcuni anche più piccoli che mi sono rimasti nel cuore, specie per le musiche, per esempio c'è un film che si intitola Nebraska di Alexander Payne, che ha una colonna sonora stupenda, ambientato nella provincia americana, ecco, quello è un mondo dove mi piacerebbe molto mettere le mani musicalmente.
Questo è un periodo molto intenso per te perché oltre al film di Sorrentino, per cui hai composto la canzone originale, uscirà il tuo disco. Come ti senti?
È stata una grande soddisfazione per me essere stato scelto da un regista che ammiro da sempre. Questa canzone è anche la prima che ho scritto per il mio nuovo album, Senso, che esce in concomitanza con il film. Sarà molto stimolante gestire una promozione che unisce musica e cinema: da una parte parteciperò a eventi legati al film, dall’altra terrò i miei classici showcase per il disco. Questa fusione tra i due mondi, per me, è molto significativa. Sto cercando di far convergere la mia carriera cantautorale con quella cinematografica, anche perché il mio lavoro nel doppiaggio e nella recitazione mi porta naturalmente verso questo incontro. Questo ottobre è davvero speciale per me: ho la mia canzone nel cortometraggio di Paolo e vivo un momento artistico incredibilmente emozionante.
Sorrentino in Parthenope ci mostra una donna ma ancor prima una città affascinante quanto misteriosa. Come hai tradotto questa atmosfera nella canzone originale?
Secondo me, questa canzone è nata in un percorso parallelo al film. Lo dico spesso: a un certo punto, canzone e film si sono incontrati, quasi come se fossero predestinati a farlo. Credo molto in questo, senza voler sconfinare nell'esoterismo o nell'energia universale, ma penso che alcune canzoni abbiano una vita propria, che ti mostrano loro stesse il cammino da seguire. Tra l'altro, questa è la mia prima canzone scritta in napoletano. Sono di Caserta e ho sempre composto in italiano o in inglese, quindi è stata una novità importante. È anche la prima canzone che ho scritto per il progetto del disco. Penso che avesse un richiamo particolare, in qualche modo. È una canzone che parla di un ritorno a casa, sia dal punto di vista linguistico che metaforico: dopo aver esplorato altre lingue e culture, torno alle mie radici. Questa canzone, con il suo tema del ritorno alla lingua d'origine, si è trovata in perfetta sintonia con un film in cui il regista racconta se stesso attraverso la città in cui è nato e cresciuto, con cui ha un legame profondamente sentimentale. Queste due visioni, la mia e quella del regista, sembrano essersi incontrate come se fossero destinate a farlo. Insomma, mi piace immaginare che sia andata proprio così, con una sorta di simbiosi tra la canzone e il film.
Altra domanda difficile. Qual è la canzone che più riesce a raccontare Napoli?
È davvero difficile rispondere, perché io appartengo a una generazione cresciuta con la musica di Pino Daniele. Diciamo che Napul’è o Terra mia, sono così profondamente radicate nella tradizione napoletana, ma capaci di traghettare la musica popolare verso il moderno e il futuro. Credo che Pino sia stato l’anello di congiunzione per tutti noi che veniamo da quella zona, compresi i giovani artisti che oggi stanno riportando in auge la musica in lingua napoletana. Tutti noi ci ispiriamo a quel percorso iniziato da Pino, che a sua volta affondava le radici nella tradizione musicale napoletana. È stato il ponte che ha portato brani storici come Passione fino ai nostri giorni. Quindi, anche se è difficile scegliere una sola canzone, è facile riconoscere in lui la persona che ha traghettato l’anima della musica napoletana verso il futuro.
Negli ultimi anni la musica napoletana sta avendo grande successo soprattutto tra i giovanissimi. Perché?
Credo che questa tendenza si inserisca chiaramente in un filone in cui la musica folk, intesa come tradizione popolare, è tornata a essere popolare negli ultimi quindici anni. Pensiamo alla pizzica, alla tarantella, e ad altre espressioni musicali del Sud che, rispetto a trent'anni fa, oggi sono state rivalutate e hanno riconquistato il loro spazio. In questo contesto, Napoli si inserisce portando con sé una forza artistica unica, forse irripetibile in altre città italiane. È stata una combinazione inevitabile: da una parte lo sdoganamento del dialetto, e dall'altra Napoli, con la sua immensa vitalità artistica, pronta a cogliere questa opportunità per riproporsi di generazione in generazione. Oggi, i giovani trovano una loro chiave d’accesso nelle canzoni in napoletano, un modo di comunicare che risuona profondamente con loro. Così, come è accaduto con Pino Daniele 40 anni fa, oggi assistiamo a un fenomeno simile, ovviamente in una forma diversa, più attuale e in sintonia con i tempi e con i ragazzi di oggi. Per me, è qualcosa di assolutamente naturale per una città come Napoli, che da sempre ha una potenza artistica straordinaria. Ogni generazione trova una nuova declinazione per esprimere questa energia e affermarsi nel panorama musicale, e oggi lo vediamo con grande evidenza.
Ti sei occupato di testi, traduzioni e sei un cantautore, guardando la musica di oggi, la trap, questa attenzione verso la parola e il suono, inteso come suonato, si è persa secondo te?
È un momento particolare per la musica, e cerco di non esprimere un giudizio troppo netto su quello che sta accadendo. La situazione musicale in Italia non è delle migliori: c'è una sorta di imbuto strettissimo da cui pochissimi artisti riescono a emergere, e quando lo fanno, durano poco prima di essere dimenticati. Il mainstream consuma e trita tutto troppo velocemente, lasciando poco spazio alla musica indipendente, che fatica a trovare visibilità. Fortunatamente, grazie ai social, come avveniva agli inizi con YouTube e Internet, è possibile far passare dei messaggi. Non esprimo un giudizio negativo su questi artisti perché, se riescono a comunicare con i giovani, evidentemente hanno trovato un linguaggio che funziona. Può sembrare a volte superficiale o scarno, ma è comunque una forma di comunicazione efficace. Non credo che la musica sia 'sbagliata' o che ci sia qualcosa di intrinsecamente errato, forse si potrebbero fare riflessioni più profonde, di tipo sociologico o antropologico, ma il fatto è che questi ragazzi riescono a intercettare un linguaggio veloce, immediato, adatto ai social. Alla fine, ci sono artisti che riempiono stadi, e non è facile farlo solo seguendo una tendenza. Per riempire uno stadio, devi essere in grado di parlare a un pubblico vastissimo, e questo, in qualche modo, è una vittoria. Io, personalmente, osservo senza giudicare. Mi rendo conto che forse questi artisti 'parlano' più che cantare, ma riescono a intercettare un bisogno del pubblico, e non so se io riuscirei a comunicare allo stesso modo. L'importante sarebbe garantire spazio anche per tutto il resto.
In che senso?
Il problema è che in Italia si cura molto il mainstream, ma c'è un grande divario tra mainstream e indipendente, cosa che, per esempio, in paesi più grandi come gli Stati Uniti, non esiste. Lì esiste un forte mainstream, ma anche una scena indie altrettanto rilevante. Il rischio, in questa situazione, è che si tolga spazio alla creatività e alla sperimentazione, e questo sarebbe davvero un peccato.