“Ci sono diverse scuole di pensiero al riguardo”. È la mattina del 28 dicembre, sono le otto. Durante la notte immagino che la temperatura sarà scesa intorno allo zero. Indosso un elegantissimo pigiama con su la faccia di Brontolo, quello incazzoso dei sette nani. Mi sta abbastanza aderente, e immagino quindi che sarebbe stato più coerente indossarne uno di Gongolo, quello dei sette nani goloso. Ho la testa infilata sotto la caldaia, e cerco di mostrare dei rubinetti al tecnico che è collegato con me in una videochiamata su Whatsapp. Stamattina la caldaia era spenta, senza acqua nel serbatoio, dice un manometro posto sulla sua facciata. Il tipo mi ha ripetutamente detto di girare il rubinetto azzurro, una sorta di grande vite che in realtà non è un rubinetto, ma sorvoliamo, e di girarlo in senso antiorario. L’ho fatto, e non è successo nulla. Sono sempre più simile a Brontolo, anche perché mia suocera, al mio fianco, padrona di casa, impreca, cosa che il tecnico, dall’altra parte, sente benissimo, immagino. Finché non provo a girare il rubinetto, chiamiamolo così, in senso orario, al che si sente chiaramente l’acqua entrare nella caldaia, col manometro lì a confermare la cosa. Lo fermo a uno virgola cinque, come il tecnico mi dice. E quando gli faccio notare che era appunto da girare in senso orario e non antiorario, il tipo se ne esce con questa frase, filosofica: “Ci sono diverse scuole di pensiero al riguardo”. Non è vero. Il senso orario e il senso antiorario non hanno scuole di pensiero che le regolino. Ha sbagliato, succede. Forse mia suocera ha ragione. Cosa invece non ha scuole di pensiero è il fatto che Vasco sia ormai una divinità della musica italiana, e che chi lo segue, chi lo ammira, è parte di una religione di cui lui è il Dio.
I suo concerti sono una messa cantata, da non prendere col senso di scherno con cui si definisce solitamente qualsiasi cosa si indichi come una messa cantata. Niente di scontato, di banale, di ripetitivo. Ogni anno Vasco e il suo team, capitanato dal direttore artistico Vince Pastano danno vita a uno spettacolo diverso, avendo la possibilità di pescare in un repertorio ricchissimo. Questa sera, dopo la cena, andrà in onda I magnifici 7, su Canale 5, lo speciale che il solito Giorgio Verdelli ha dedicato ai sette concerti che Vasco ha tenuto questa estate a San Siro, record dei record. Qualcuno potrebbe pensare che in quel “solito” ci sia un giudizio da parte di chi, quando Vasco ha fatto sei concerti a San Siro, nel 2019, è stato autore del film Vasco Non Stop Live 018-019, cioè colui che sta scrivendo queste parole, ma vi giuro sulla testa di Brontolo che non è così. Il fatto è che Vasco è appunto oggetto di un culto, di una religione, e in quanto tale scuscettibile di critiche, bestemmie, adorazioni. C’è chi lo vorrebbe più silenzio, scevro di paramenti, quasi francescano, chi invece ama questa forma barocca di esporsi, record su record. Chi crede che era meglio quando era il cantore di quei “noi” che si svegliavano la mattina presto con il mal di testa, chi invece pensa che il suo unire più generazioni sia una labile speranza in un’epoca così catastrofica come questa. Chi scrive, che poi sarei io, cantore al suo fianco dei sei San Siro del 2019, oltre che col film anche con un libro, come già era successo nel 2017, con Modena Park, e lì i libri erano stati addirittura due, pensa che forse è inutile anche arrovellarsi intorno a Vasco, che in quanto divinità sta lì e c’è, come nelle scritte lungo l’autostrada che indicavano l’arrivo dell’eroina in certe zone. Vasco c’è, appunto. E stasera è su Canale 5, con una celebrazione religiosa dei suoi sette San Siro, record dei record, celebrazione che però va di pari passo con lui che racconta a Luca Valtorta di quando si faceva le seghe, ragazzino, in una macchina coi suoi amici di Zocca, come dire sacro e profano.
Curioso che proprio con Luca Valtorta, chi scrive, abbia interrotto una collaborazione e amicizia che aveva in qualche modo contribuito a rendere grande l’ultima stagione di Tutto Musica proprio perché io avevo scritto un libro intervista a Vasco, in occasione dei suoi primi tre San Siro di fila, altro record, era il 2003, mentre lui pensava che la cosa fosse una marchetta. I tempi cambiano, e anche le posizioni, filosofiche e fisiche. Ora sono qui a dire che io, fossi stato Vasco, mi sarei fermato dopo i duecentotrentamila di Modena Park, o avrei ripreso facendo duecento date da solo con la chitarra al Teatro del Sole, alla Bruce Springsteen, ma io non sono Vasco, e chi prova a paragonarsi a Dio finisce con le ali bruciate, figuriamoci se potrei ambire a questo mentre sto col pigiama di Brontolo, la caldaia che finalmente è partita. Non ci sono scuole di pensiero riguardo il senso orario e antiorario, né riguardo Vasco, che c’è e va bene, va bene così.