Quando Vasco Rossi racconta la sua storia, non lo fa con il distacco di chi vuole costruire un mito. Anzi. Parla come se stesse conversando con un vecchio amico, con quella sincerità brutale che l’ha sempre contraddistinto. Su Robinson, l’inserto de La Repubblica, Vasco si mette a nudo, scavando nei ricordi di un’infanzia che, come lui stesso dice, “era piena d’amore, ma sotto il matriarcato”.
“Io non sono eccezionale, sono proprio normale”
Fin dall’inizio, Vasco smonta la narrazione del “grande artista nato per il successo”. “Quando si pensa ai grandi miti, si pensa a persone eccezionali, fuori dall'ordinario. Almeno per me era così. Io invece non sono eccezionale, sono una persona proprio normale. Sono sempre vissuto così, nel senso che magari ho anche un talento che sono riuscito ad affinare nel tempo che è quello di scrivere, di cantare delle canzoni, però non sono un fenomeno. Sono la rivincita dell'uomo comune. L'uomo comune nei confronti dei fenomeni. Oggi molti fanno i fenomeni, ma sono solo quello. Dei fenomeni appunto. Io invece ho sempre cercato di dissociare il fenomeno da quello che uno è veramente. Ma quello che sei veramente lo sai solo tu”.
Un’infanzia piena di donne e di noia
“Io ho vissuto un’infanzia piena d'amore. Da piccolo ero un bel bambino biondo e, senza che me ne potessi rendere conto, sono subito diventato una vittima del matriarcato: a casa mia c'erano tutte queste donne che mi facevano fare le cose anche più strane tipo il paggetto o il valletto ai matrimoni. Ero il loro giocattolo e facevo tutto quello che mi dicevano. Fino a dieci anni non è che stai lì a pensare, accetti tutto. Queste cose che mi facevano fare mi incuriosivano. Quando si è piccoli non si giudica niente e tutto quello che ti dicono tu lo fai, i bambini sono al tempo stesso serissimi nel loro comportamento, se gli dici di fare una cosa la fanno con il massimo impegno”.
Ma c’era anche la noia, quella che ti mangia dentro e che, per Vasco, ha segnato un punto di svolta: “Mi ricordo ancora la sensazione di una volta che ero in cucina seduto su un tavolo di formica verde e mi annoiavo in modo spaventoso. Chiedevo alla mamma di avere un fratello. Volevo un fratello, una sorella, perché avevo bisogno di qualcuno con cui far qualcosa. Mi ricordo che avevo del pongo e continuavo a tenerlo in mano ma non mi divertivo senza qualcuno che giocasse con me”.
La televisione e Sanremo: la prima scintilla
Poi, il primo colpo di fulmine per la musica. “Una delle cose che mi attraeva era la televisione, in particolar modo quando c’era il festival di Sanremo: è proprio uno dei primi ricordi che ho. Mi colpiva quello strano mondo e mi piacevano le canzoni. In casa non ce l'aveva ancora nessuno, andavamo al bar”.
I primi amori e la delusione
L’infanzia di Vasco è segnata anche dai primi approcci con l’amore. “A un certo punto, quando avevo sette, otto anni c'era anche una ragazzina che abitava in un appartamento sotto casa mia, si chiamava Annamaria. Ci incontravamo sulle scale perché abitavamo lì entrambi, lei era la figlia di quelli che avevano un bar proprio sotto casa. A quei tempi tra bambini non ci si diceva ‘ti amo’ ma ‘mi piaci’ e, se lei diceva di sì, a quel punto eri fidanzato. Così ogni volta che la incontravo le chiedevo conferma e quando diceva ‘sì’ era una sensazione fantastica. Poi un giorno invece mi ha risposto: ‘No’. E io: ‘Ma perché?’ e lei: ‘Adesso mi piace un altro’. Mi è crollato il mondo addosso”.
La scoperta del sesso: “Ce lo misuravamo in macchina”
Ma è quando Vasco parla della scoperta del sesso che il racconto si fa davvero esplicito. “Il sesso l'ho scoperto verso gli undici, dodici anni ma non con le donne: l'ho scoperto con la masturbazione. Non con le ragazze, ma con i miei amici. Noi ragazzi facevamo dei gruppetti che andavano a farsi le seghe. Era così che scoprivamo la nostra sessualità: ce lo guardavamo, ce lo misuravamo e poi c'era una macchina abbandonata e noi si andava dentro e ci facevamo le seghe in compagnia. Era come un'iniziazione, una cosa che condividevi con gli amici. Ce lo dicevamo: ‘L'hai scoperto anche te’, e via che andavamo”.
Il bullismo: “Ero un soggetto facile”
Vasco non ha mai nascosto che la sua infanzia, seppur felice, non è stata immune dal bullismo. “E poi c'erano i bulli del paese che ci assaltavano perché c’era un giorno in cui si usciva alle 12 e ci toccava aspettare che la macchina venisse a prenderci. Il capo di questi, che era molto più grande di me, una volta mi stava proprio menando, per fortuna arrivò mia cugina, la Graziella, che aveva due anni in più e faceva la terza che mi difese, lo prese, lo buttò per terra e gli disse: ‘Non toccare mai più mio cugino’. E per quell'anno mi lasciò in pace. Poi però quando lei andò via lui ricominciò subito, io ero un soggetto facile: perché, essendo andato a scuola un anno prima, ero più piccolo rispetto agli altri”.
Il fatto di essere precoce non lo aiutava a integrarsi: “Anche a scuola mi sentivo sempre quello che non capiva, e allora ho fatto le elementari copiando un po' da tutti quelli che avevo vicino e non riuscendo veramente ad appassionarmi allo studio”.
I soldi che non c’erano (ma non mancava mai l’amore)
L’infanzia di Vasco è stata segnata anche da ristrettezze economiche, ma non per questo meno felice. “Comunque la mia era un'infanzia molto positiva, serena, direi proprio felice, anche se la mia era una famiglia che non arrivava alla fine del mese. Mia mamma mi mandava gli ultimi giorni nei negozi a comprare le cose e poi a dire ‘segni’ perché lei si vergognava e quindi se andavo io che ero bambino era più facile. Ma, nonostante questo, non mi è mai mancato niente perché evidentemente l'amore della madre e del padre ti riempie anche se i soldi non ci sono”.
C’era però una grande differenza tra lui e i figli delle famiglie benestanti del paese, ma senza invidia: “Il mio amico Gherardo, invece, che era il figlio del benestante del paese aveva sempre tutti i giocattoli più nuovi, così andavo tutti i giorni a casa sua e mi divertivo come un pazzo. Ma non ero invidioso, anche se può sembrare strano, non ho mai desiderato averli anch'io quei giocattoli. Per me andava bene così. Non c'era né invidia né gelosia. Solo il fatto che lo provavo affetto nei suoi confronti perché mi faceva giocare”.
L’incontro con la musica: “La chitarra è stato il mio colpo di fulmine”
Il momento che cambia tutto arriva con la musica. “La prendo in mano, tocco le corde e viene fuori un suono. È stato il mio colpo di fulmine. La chitarra è stata la mia salvezza. Prima avevo cominciato a prendere lezioni di pianoforte, ma il pianoforte mi ha stancato subito. Io volevo sentire suonare subito lo strumento e la chitarra era perfetta”.
La rivincita dell’uomo comune
“Se a vent’anni mi avessero detto che avrei fatto il cantante, non ci avrei mai creduto. Sono talmente autocritico che o le cose vanno come dico io o ci resto malissimo. Infatti, quando qualcuno critica le mie canzoni mi viene da ridere perché i difetti li ho già pensati tutti io”.
Ed è proprio in questa franchezza che Vasco Rossi si conferma il mito che è. Perché, come dice lui stesso, “non importa se per gli altri va bene: io non posso deludere me stesso”.