Alice Passacqua, volto dialetticamente virginale, avvocato, mi è apparsa d’improvviso nell’autoclave prismatica di Instagram, non so come sia esattamente accaduto, a un certo punto però il suo volto, la sua faccina, capelli corti corti, quasi penitenziali come la Renée Falconetti che incarna “La passione di Giovanna d’Arco” nel capolavoro di Carl Theodor Dreyer, contraddetti da un rossetto vermiglio acceso, adolescenziale, quasi suprematistico della volontà caratteriale, mi sono arrivati, hanno raggiunto la mia attenzione. Nella sua carta d’identità, quasi in modo ricattatorio, racconta d’essere la seconda di tre figlie, quanto all’anno di nascita, è il 1987, in Emilia Romagna, poi maturità classica a Bologna e un’esperienza da bancaria presto abbandonata. Alice, si sappia, nell’indistinto social che tutto somma e innalza, ha creato un proprio Caf professionale, proprio in rete, tra Instagram, YouTube e TikTok, dove muovendo dai suoi strumenti di laurea, ha fatto in modo di rivolgersi a un pubblico presto accorso fino a lei, alle sue labbra, al suo sguardo, alle sue parole.
Nelle note bio, come fosse un diario intimo, Alice Passacqua, si restituisce “perbene, persona concreta e di pensiero”. Per poi aggiungere d’essere abilitata all'esercizio della professione forense e di amministratore condominiale, rispettivamente dal 2015 e dal 2021. “Mi occupo di consulenza legale e attività stragiudiziale. Ho scritto FEMMENAPRETA”. Dove quest’ultimo dettaglio serve quasi a restituire la sua natura quasi da clarissa. In verità il video che ha risucchiato la mia attenzione andava oltre gli ideali faldoni della consulenza legale penetrando invece nell’ambito del tema delle discese ardite e delle risalite del romanzo amoroso, forse anche dolente, quotidiano: le relazioni, le attese, le “ragioni del cuore”. Non so se Alice Passacqua sia un misto tra lo sportello del professor Alessandro Cutolo della televisione un tempo in bianco e nero e la mia amica Marta Flavi con la sua “agenzia matrimoniale”, se abbia un talento assimilabile a chi ha investito nell’ambito della narrazione mediatico-immobiliaristica non senza narcisismo, ritengo però che in lei sia mirabile il suo debordare oltre il dato professionale, nell’aldilà dei millesimi d’ogni bega o tumulto condominiali. Spiego meglio: sembra infatti che Alice Passacqua, armata di una particolare forma di timidezza esibizionistica, mostrando nudità interiore, mostri qualcosa di intensamente femminile e insieme di androgino, ma soprattutto che utilizzi le piattaforme social per “riprendersi la vita”, un pronunciamento, uno slogan che vive tra Rimbaud e la rivolta giovanile del ‘77. Segnatamente, sono rimasto ipnotizzato da un post nel quale Alice B. descriveva la dinamica dell’incontro destinato a una possibile relazione infine mondanamente carnale con una progressione che fa così: “Chi è? Ti piace? Ci esci: cinema, gelato, ristorante, weekend. La scopi, godi. Stai bene? E allora? Cinema, gelato, ristorante, weekend...” Così da entrare nel merito della reale sostanza della comprensione dell’altro. Non vorrei però che questo possa sembrare un discorso troppo “sentimentale“, no, non tornerei all’immagine di Giovanna d’Arco con il volto di Renée Falconetti.
C’è qualcosa di lieve, burocratico, denotativo, e insieme intenso e drammatico in Alice Passacqua, sembra infatti che il proprio vissuto intimo governi questo suo Caf dentro il quale lei si è insediata sia in nome del proprio riscatto emotivo – Alice racconta di avere perso la verginità a 27 anni, probabilmente limitata in quello che i surrealisti chiamano “istinto desiderante” dunque sotto il peso dell’autorità familiare, in questo senso c’è perfino modo di immaginarla bambina il giorno della prima comunione – e di una natura che mostra una dimensione interiore fortemente adolescenziale, accompagnato altrettanto da una vocazione attoriale inizialmente messa in sonno sotto il peso dei tomi di diritto tributario e dei testi di estimo, che appunto in certi altri post la mostra trasfigurata in una parodia della signora snob che rimanda al verso di una Franca Valeri. C’è da immaginarla al mattino, appena sveglia, il trucco essenziale, un tubino nero accollato, braccia e omeri in mostra, ora le occorre soltanto decidere se trattare di usucapione o dove buttare il profilattico dopo l’uso, come regolarsi in presenza di un’eredità, i genitori che picchiano un prof, le spese del riscaldamento condominiale, le rampe per i disabili, i tempi della giustizia e forse, su tutto, l’interrogativo assoluto sull’Anima, come in un simposio portatile sull’assoluto mentre si tratterebbe piuttosto di sciogliere il dilemma filosofico e ancora una volta condominiale: ciò che distingue l’umidità dalla condensa, temi che metterebbero paura anche a Wittgenstein. Ci sarebbe altrettanto da riflettere sulla sua prossemica, sulla sua gestualità palesemente, sfacciatamente seduttiva, come se Alice volesse dire al suo “utente” sono venuta a salvarvi sia dagli autovelox sia dalla finitezza della vita e degli amori. Cinema, gelato, ristorante, weekend...