L'intervista rilasciata da Guido Meda al Corriere vale come un saggio sul mondo delle moto, e non solo. La storica voce della MotoGP arriva in ritardo, colpa del cambio della sua Guzzi V7: “Stavo avvitando le viti nel verso sbagliato”, scherza, ma per uno come lui, che di motori vive e racconta, un ritardo del genere è quasi simbolico. La vita, per Meda, è sempre stata una corsa, fatta di accelerazioni improvvise e curve impreviste. Chi lo avrebbe detto che Guido Meda, oggi simbolo della MotoGP, non voleva fare il giornalista sportivo? “Sognavo di diventare cardiochirurgo o chirurgo ortopedico” racconta. Ma negli anni ’80 le prospettive di lavoro in medicina sembravano incerte e gli esami di matematica e fisica troppo ostici: “Avrei dovuto copiare per passarli”. Così, la strada cambiò direzione: “Avevo sempre avuto interesse per il giornalismo. Forse c'era del talento, forse ho avuto culo. Gli anni ’80 erano così: le occasioni ti piombavano addosso”. Altri tempi, come purtroppo sappiamo bene oggi. Dal praticantato all’Ansa fino alla lunga avventura a Mediaset e, successivamente, a Sky, passando per il Giornale di Indro Montanelli. Una carriera invidiabile da qualsiasi giornalista. Poi, nel 2001, il destino lo porta alla MotoGP. Valentino Rossi vince il suo primo titolo mondiale in 500 e Mediaset fiuta il potenziale del fenomeno nascente, strappando i diritti alla Rai. “Nico Cereghini, il telecronista designato, si tirò indietro e fece il mio nome”, ricorda Meda. Per uno che da bambino sognava il motorino a 14 anni e il bombardone a 18, l’incarico era perfetto. Quella passione per le moto, però, non si è mai limitata alle dirette televisive: “A 8 anni non vedevo l’ora di averne 14 per il primo motorino”, confessa Meda. La sua vita è stata segnata da due ruote e motori rombanti, a tal punto che ogni pausa tra un impegno e l’altro è stata dedicata alla guida. “La moto è sempre stata libertà, uno spazio tutto mio dove nessuno poteva raggiungermi”.
Gioie e dolori, purtroppo: Guido Meda racconta di quando la sua enorme passione lo ha quasi ucciso. Era il 2003 quando un grave incidente stradale a Milano lo riduce in fin di vita: “Dieci fratture, braccio paralizzato a penzoloni. Per 10 centimetri non ho battuto il collo. Ma non ho mai avuto l’impressione di morire, forse non era arrivata la mia ora”, spiega. Il suo racconto dell’incidente è vivido, segnato da dettagli che ancora oggi lo colpiscono: “La moto si spaccò in due: una metà prese fuoco, l’altra volò su un taxi. Io rimasi steso nel mezzo”. Ma anche in quel momento, il suo spirito da guerriero non lo ha mai abbandonato: “Il dottore del Fatebenefratelli mi guardò e disse: Non siamo attrezzati per un politrauma come il suo. Mi mandarono a un chirurgo del Galeazzi, uno che si chiamava Berlusconi. Risposi: ‘Non credo proprio che il presidente venga a trovarmi”. L’incidente, come spesso accade, gli cambia la prospettiva, di vita e professionale: “Mi ha reso più forte e più unito alla mia famiglia. E mi ha fatto entrare in empatia coi piloti: nel paddock se ne parlava, mi sentivo uno di loro”.. Eppure, anche dopo un simile evento drammatico, non ha mai abbandonato le due ruote la passione non cambia: “Dopo quell’incidente decisi di smettere con le sportive e comprare una Harley-Davidson. Poi... ho continuato a guidare tutto” e a frequentare tutti ,viene da aggiungere. La carriera da giornalista infatti lo ha portato a conoscere da vicino alcuni personaggi che definire leggende è quasi riduttivo. La vita di Guido Meda è costellata di episodi incredibili. Dalla festa di compleanno di Alberto Tomba, dove si è ritrovato sul balcone con Vasco Rossi e Biagio Antonacci: “Cantarono per noi, Vasco mi guardò e disse: Hai lo sguardo complicato stasera”. Poi le serate improvvisate con Valentino Rossi. Una volta, il campione gli chiese di provare la sua MV Agusta Brutale 750: “Sfrecciò via nella nebbia. Pensavo a chi se lo sarebbe trovato davanti: ‘Ma chi si crede di essere, Valentino Rossi?”. Anche il suo primo incontro con Marco Simoncelli resta impresso nella memoria, e non poteva essere altrimenti: “Era un ragazzo con una grinta e un cuore enormi. Lo ricordo sempre così”. Purtroppo, Meda era nel paddock anche nel giorno della tragica scomparsa di Sic: “Esco dalla cabina, nel paddock c’era un silenzio inquietante. Daniel Pedrosa mi abbracciò e pianse con me. Poi andai al centro medico a salutare Marco”. Guido Meda racconta anche di quando ha conosciuto sua moglie, e in quel caso non c’entravano le moto, ma gli orologi: “Ho usato l’ironia, non certo la bellezza. Eravamo al Giro d’Italia, io da inviato, lei con gli sponsor. Che bell’orologio al polso, mi fa. Avevo un Daytona Paul Newman, feci il figo. Lo vuoi? Te lo presto. Lo tenne per un paio di giorni. L'ultima sera, sotto il diluvio universale, abbasso il finestrino della macchina: Ti devo svelare una cosa, ma non so come dirtela. E lei, speranzosa: Dimmi!; L’orologio è falso!. È una donna fortissima, oggi abbiamo tre figli di cui siamo molto orgogliosi”. Poi c’è spazio per il suo tragico incidente in barca, quando “ci sorprese una tempesta improvvisa. La barca affondò a 500 metri dalla costa del Giglio, ci ritrovammo sulla zattera in acqua con 30 nodi di vento e onde di tre metri. Per fortuna, da terra, un gruppetto di persone vide la scena e diede l’allarme. La capitaneria di porto ci fece soccorrere da una barca che stava lavorando al recupero della Concordia”.
Da esperto di sport, e non solo di moto, Meda interviene anche su tre personaggi leggendari: Marco Pantani, Alberto Tomba e, immancabile, il Dottore. Sul Pirata dice di averlo intervistato dopo l’infortunio a Cava de’ Tirreni causato da un gatto nero: “Un grave intoppo gli stava frenando la carriera, ma non riusciva a pensare negativo. Parlava di sé come di un’auto dal meccanico. Pensai: ‘mazza questo che iena, non appena l’osso si rinsalda torna come prima. Così fu”, mentre sulla Bomba spiega di averne “seguito tutta l’epopea. Il talento superava enormemente la preparazione. Si concentrava solo a pochi minuti dalla gara, prima cazzeggiava allegramente. Scavava una buca nella neve, ci metteva gli scarponi e copriva tutto perché la plastica, raffreddandosi, si stringeva intorno al piede, rendendolo più sensibile”. Su Valentino? A parte l’episodio della moto in prestito, Meda dice che “è rimasto uno di Tavullia, coi piedi per terra senza snobismi. Ricordo un sabato sera, vigilia di un Gran premio del Mugello, primi anni Duemila. Saranno state le 2 di notte, torno con i colleghi dal ristorante e incrocio un amico che mi indica il bosco: lì c’è una festa, ci sono anche i piloti. Pensavo si riferisse alle vecchie glorie, vado, mi aprono la porta. Valentino era a capotavola con un bicchiere di rosso. Volevo andarmene, ero imbarazzato, se la gara fosse stata un disastro avrei dovuto ometterlo. Ma il giorno dopo stravinse”. Parlando di Vale, Meda non poteva non passare per la questione Marquez: “Come tutti quelli che erano lì e hanno sofferto un capitolo brutto. Ma da diversi anni non ne parlo più. Se penso alla gente, al mio ruolo, al fatto che sono un padre di famiglia, dico che trascinarsi dietro i rancori non porta da nessuna parte. Mettiamola così: se c’è una persona legittimata ad avercela con Marquez è Valentino, ma per il resto è meglio andare avanti che restare indietro”. Pecco Bagnaia invece “paga la vedovanza degli italiani per Valentino, ma ha vinto tre Mondiali e solo quest'anno 11 gare, è un fenomeno con qualità umane esemplari. Grazie a lui gli ascolti della MotoGp su Sky sono tornati a crescere. Oggi c'è la caccia al personaggio: e se lo fosse per la sua sobrietà? Guida anche una Ducati, insieme sono un patrimonio per il nostro Paese”. Oggi, Guido Meda guarda avanti, anche se il cuore resta legato ai motori. “Non mi vedo in pensione a giocare a carte. Mi immagino su una barca a vela o con un brevetto da pilota d’aliante”*. E se non avesse intrapreso questa carriera? “Forse meglio così… Altrimenti avrei sbagliato a mettere le viti. Come con la moto”.