Guido Meda, voce iconica del motorsport (in particolare della MotoGP) e appassionato di auto, trasforma una disavventura autostradale in un racconto vivace e profondo, con riflessioni che vanno ben oltre i limiti di una corsia. Sul mensile Auto, il giornalista ripercorre l’incidente che ha visto la sua Alfa Romeo Stelvio “uscire di scena” e rende omaggio alla professionalità degli agenti della polizia stradale, non senza una stoccata nostalgica verso il glorioso passato delle auto delle forze dell’ordine.
L’incidente e la Stelvio da buttare
“Piccola storia triste: mi sa che la Stelvio è da sbattere via”, esordisce Meda con la sua inconfondibile ironia. Il tamponamento avviene in autostrada, a causa di un classico rallentamento improvviso. “Il primo della fila ha inchiodato come se dietro non ci fosse nessuno. E invece c’erano due auto: un’Audi A4 con due ragazzi simpaticissimi e la mia vecchia Stelvio”.
Nonostante la velocità moderata – “25-30 km/h” – l’urto è sufficiente a deformare l’avantreno e far esplodere l’airbag: “Dopo l’urto, non chiedetemi perché, la Stelvio non frena più. Scende inesorabile, a cinque chilometri orari, finché decido di appoggiarla dolcemente al muro e la stoppo lì”.
Guidone e la polizia stradale
In pochi minuti, due giovani agenti della polizia stradale sono sul posto. “Hanno visto l’incidente dalle telecamere e sanno che ho torto. Ma lo so anch’io. Non c’è che una soluzione: ammetterlo. Gli agenti sono simpatici, comprensivi e straordinariamente efficienti. In venti minuti le pratiche sono concluse, le auto sono sul carro attrezzi, e noi abbiamo trovato un modo per tornare a casa”.
Meda elogia il lavoro degli agenti: “Non è frequente sentirsi così protetti e in buone mani. Penso che, in generale, ai ragazzi in divisa dovremmo più gratitudine e meno rabbia o timore”.
“Altro che Lamborghini…”
Da questa esperienza, Meda si lancia in una riflessione amara ma realistica sulle auto delle forze dell’ordine: “Sulle riviste ci finiscono con la Lambo (tre esemplari) e la Quadrifoglio, ma poi in città li vedi ancora operativi sulla Punto sgangherata. Hanno avuto pure la Tipo, la Marea e anche la Toyota Carina”.
Con un pizzico di nostalgia, ricorda il passato glorioso: “Giulia? Alfetta? Ciao. Quel tempo che ci rendeva un simbolo nel mondo è finito da un pezzo ed è un peccato. È un peccato perché dentro quei mezzi continuano a vivere e a lavorare degli italiani davvero in gamba”.
Un grazie agli uomini in divisa
“Spesso si spostano a bordo di auto che non sono nemmeno all’altezza dell’impegno che devono sostenere, appesantite da blindatura e attrezzature di servizio”, scrive Meda. “Eppure, nonostante i limiti, fanno il loro lavoro con un’efficienza e una dedizione che meritano il nostro rispetto”.
La conclusione del giornalista è un invito a riflettere: “Ai ragazzi in divisa dovremmo dire grazie più spesso. Un grazie che, a volte, pesa più di una multa o di un ammonimento, perché dentro quelle vetture ci sono uomini e donne che lavorano per noi, spesso senza gli strumenti adeguati”.