Un arresto che dopo dieci giorni non ha ancora una motivazione formale. È il caso di Cecilia Sala, giornalista arrestata giovedì 19 dicembre a Teheran dai servizi di sicurezza dell’Iran. Quel giorno sarebbe dovuto essere l’ultimo in Iran, dove si è recata per lavoro, e sarebbe dovuta rientrare in Italia con un volo già prenotato. Ma così non è stato. Sala, infatti, è stata prelevata intorno all’ora di pranzo nell’albergo dove alloggiava a Teheran e portata nel carcere di Evin, alla periferia della capitale, dove vengono rinchiusi dissidenti iraniani e cittadini stranieri sospettati di avere rapporti con l’opposizione al regime. L’arresto, come detto, al momento non ha ancora una motivazione formale, ma solo riferimenti generici a “comportamenti illegali” non specificati. Ci sarebbe, però, una coincidenza che non è passata inosservata.
Quale? Il fermo, nel nostro Paese, di Mohammad Abedini Najafabadi, cittadino svizzero-iraniano bloccato dalla Digos all’aeroporto di Malpensa su ordine della giustizia americana. L’uomo è accusato dai procuratori della Corte federale di Boston di cospirazione per esportare componenti elettronici dagli USA all’Iran in violazione delle leggi americane sul controllo delle esportazioni e sulle sanzioni contro l’Iran. Il fermo di Mohammad Abedini, avvenuto il 16 dicembre, sta lasciando aperta l’ipotesi che la giornalista sia rimasta incastrata in un "intrigo internazionale" che non riguarderebbe in nessuno modo il lavoro che stava svolgendo nella capitale iraniana. A Cecilia Sala, dopo ventiquattr’ore di isolamento e silenzio, è stato concesso di fare due telefonate, una alla madre e l’altra a Daniele Raineri, fidanzato e giornalista de Il Post. La giornalista ha spiegato di star bene fisicamente, invitando però le autorità italiane a muoversi in fretta per tentare di risolvere il caso. Solo il 27 dicembre, a quasi dieci giorni dall’arresto, è stata resa pubblica la notizia. “Rendiamo pubblica questa terribile notizia solo ora perché le autorità italiane e i genitori di Cecilia ci hanno chiesto di stare in silenzio, un silenzio che si sperava avrebbe portato a una rapida liberazione. Che purtroppo non c’è ancora stata”. Così Chora Media, podcast company italiana con cui Cecilia Sala lavora dal 2022, ha dato la notizia dell’arresto della giornalista. Ci potrebbe essere, quindi, una reale connessione tra l'arresto della giornalista italiana e quella del cittadino svizzero-iraniano? Non sarebbe la prima volta che ci si trova di fronte a quella che viene definitiva "diplomazia degli ostaggi", che già in passato ha permesso di ottenere favori o la liberazione di iraniani detenuti all'estero.