Leggere Cecilia Sala a Teheran è più pericoloso che leggere Lolita. Se Azar Nafisi riusciva a insegnare Lolita beffando il regime culturale, Cecilia Sala o è stata troppo seriosa, oppure le ha detto sfiga. Fatto sta che dal 19 dicembre abita le patrie galere iraniane. Era lì con regolare visto giornalistico e si suppone non abbia picchiato nessuno, come Ilaria Salis, né che abbia detto ad alta voce “Ma ‘o metto er ketchup?”. Quindi, al momento, non si conoscono le accuse, né sono state rese note dall’Iran. Si sa che è nella prigione di Evin, quella destinata ai dissidenti. La Farnesina, come si dice, si è attivata e l’ambasciatrice italiana a Teheran ha avuto la possibilità di incontrarla. E già sui social è un fiorire di “se l’è andata a cercare e adesso chi paga?”, atteggiamento che dopo la Salis ha investito anche la speleologa Ottavia Piana e adesso tocca alla Cecilia Sala. Ai social interessa molto sapere “e adesso chi paga?”, ed è stato inutile spiegare che, nel caso della Piana, pagava l’assicurazione (gli speleologi devono essere assicurati), ai social piace indignarsi e urlare “chi paga?” ed è inutile spiegare che la diplomazia esiste anche per questo. La Sala ha trent’anni, scrive per Il Foglio, e viaggia per il mondo raccontando storie nel suo Podcast “Stories”. Claudio Cerasa, come direttore del giornale per cui la Sala scrive, ha vergato un toccante e profondo editoriale molto distante dalle parole che aveva usato per Ilaria Salis, quando sosteneva che il caso Salis avesse “attirato l’attenzione solo perché nelle carceri di un leader politico”. Adesso, allora non abbiamo capito molto, in generale, se esistono anche carceri non appartenti a un leader politico, ossia a un capo di governo, e se abbia contezza di carceri private totalmente slegate dal potere politico in cui privati cittadini detengono altri privati cittadini per puro capriccio e perché, in questo caso, identificabile come sequestro di persona, la cosa non dovrebbe fare notizia. Ma Cerasa dirige Il Foglio, che è un giornale intelligente, ma troppo intelligente, per cui non capirci una minchia dei suoi ragionamenti fa parte del gioco. Ma torniamo a Cecilia Sala. Chi paga?
Dice giustamente Claudio Cerasa che “il giornalismo non è reato”, lo dice con una penna intinta nella passione civile, per cui, non essendo il giornalismo un reato, anche nei paesi come l’Iran, lo vogliamo vedere, tipo domani, in piazza a Teheran, col cartello “il giornalismo non è reato” e “Ma ‘o metto er ketchup?”. Anche perché chiude la sua ammirevole intemerata con la frase: “Il giornalismo non è reato neanche nei paesi dove reprimono la libertà di stampa”, che è un’altra frase dalla logica troppo sopraffina perché chi scrive sia in grado di comprenderla, ma avrà sicuramente ragione lui per cui non si capisce perché ancora non sia là (se è là siamo pronti a smentire, ca va sans dire). Chiudiamo con l’invito ad ascoltare il podcast di Cecilia Sala.
Vi consigliamo l’intervista alla comedian Zeinab Musavi, e vi riportiamo le parole con cui Cecilia la presentava: “Ho incontrato una persona a cui ho voluto bene per anni da lontano. Si chiama Zeinab Musavi, è la stand up comedian più famosa d’Iran. È stata arrestata per le parole pronunciate da una maschera, uno dei personaggi dei suoi sketch – da allora ha accumulato un po’ di battute divertenti sulla vita da detenuti. Ha riso dei giorni in cella di isolamento: “Even this is funny?”, “Everything is funny”. La carcerazione preventiva è finita ma il processo davanti alla magistratura islamica è ancora in corso, per questo non era scontato che accettasse di incontrarmi, le sono grata per averlo fatto”. Adesso, le carceri iraniane saranno pure divertenti, ma speriamo la tirino fuori presto (prima di scrivere il pezzo ho chiesto al caporedattore “Ma ‘o metto Cerasa?”, nda).